domenica 11 settembre 2011

6 Settembre 2011


"Gheddafi ci dava denaro per partire verso l´Italia"

TRIPOLI - Nel porticciolo bruciato dal sole, i resti di vecchi pescherecci marciscono lentamente. Coperte luride sono appese sui fianchi delle barche tirate a secco, a creare un piccolo riparo per la popolazione dei neri arrivati troppo tardi per inseguire il sogno dell´Italia. Nigeriani, ghanesi, maliani, togolesi, nigerini: nei giorni scorsi qui a Sidi Blal erano un migliaio, accampati alla meglio sotto la flotta in disfacimento.
Questa popolazione di disperati era l´"arma finale" di Gheddafi contro il governo italiano, colpevole di aver tradito la Jamahiriya appena tre anni dopo la firma del trattato di amicizia. Il colonnello voleva sommergere l´Europa, e l´Italia in particolare, con questa umanità diseredata, che adesso aspetta.
«Da qui non ci muoviamo. Siamo tutti neri, abbiamo paura di essere scambiati per mercenari», racconta padre Anthony, pastore protestante arrivato fin qui da Benin City. Il racconto è affidato a un colonnello della Marina del raìs che vuole restare anonimo: «Fino a pochi mesi prima, fermavamo i migranti africani e li arrestavamo, chiudendoli nei centri di raccolta. Poi il governo libico ha cominciato a riunirli nei porti, a Sidi Blal come a Zwara, per spedirli in Europa. C´era persino un corso di navigazione molto elementare, che comprendeva l´uso del timone e del sistema Gps. Se ne occupavano sia militari che funzionari civili», dice l´ufficiale.
La conferma viene da Hafez, immigrato sudanese che invece ha deciso di restare in Libia: «Quando il governo libico ha deciso di imbarcare la gente verso l´Europa, pagava tutto lui. Nessuno doveva sborsare niente, come con gli scafisti. Poi, quando il regime ha cominciato a mostrare segni di cedimento, i funzionari hanno preteso una tangente dai migranti, in genere qualche decina di dollari. Ma la intascavano loro direttamente».
Il porticciolo, vicino a Janzour, a pochi chilometri da Tripoli, è ancora un punto di raccolta dei migranti in arrivo dall´Africa sub-sahariana. L´accampamento è l´immagine della povertà: fra gli stracci appesi ad asciugare si diffonde un odore di cibo, da sotto una barca arriva l´eco di una discussione. A curare gli ultimi sfortunati «c´è solo qualche buon samaritano», dice padre Anthony.
L´acqua è arrivata quattro giorni fa, grazie a Médecins sans Frontières. Ora sarà l´Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati a curare lo smistamento. I neri di Sidi Blal erano venuti coltivando un sogno, raggiungere l´Occidente. Ma il sogno gli si è dissolto fra le dita, assieme alla Jamahiriya di Gheddafi. «Quando siamo arrivati qui, le barche migliori erano già partite», dice padre Anthony, indicando l´orizzonte: «Erano rimaste queste, in pessime condizioni. Fra di noi non c´è nessun marinaio, non ce la siamo sentita di affrontare il rischio. Le dico la verità, se mi potessi fidare delle barche, partirei anch´io».
Secondo il pastore, molti africani erano arrivati in Libia nel 2008, speranzosi di poter attraversare il mare. Poi il flusso si è fermato, in parecchi hanno deciso di restare, attratti da possibilità di lavoro migliori che in patria. «A febbraio e a marzo, funzionari del governo libico venivano a proporci la partenza. La meta era l´Italia. Ma negli ultimi due mesi non è partita nessuna barca. Io sono arrivato troppo tardi, altrimenti sarei già via da qui. In Europa ho parenti e amici, dicono che si sta bene», ammette padre Anthony.
Nel centro di Sidi Blal, invece, i neri hanno ancora paura. Racconta un migrante: «Uno di noi è stato annegato dal datore di lavoro libico solo perché aveva chiesto di essere pagato. Altri sono stati incarcerati per mesi, in celle sotterranee, senza motivo. Ero abituato a chiudere la mia porta alle sei di sera e non uscire per nessuna ragione. Qui ho sempre avuto l´impressione che da un momento all´altro potessero attaccarmi, pugnalarmi. Per i libici ero un animale da opprimere, da cacciare». Per Diana Eltahawy, di Amnesty International, «è la riprova dell´abitudine libica di trattare male i neri. Ed è una vergogna che Paesi come l´Italia abbiano firmato accordi con il regime libico per trattenere i migranti senza nessuna garanzia di rispetto per i loro diritti più elementari».



Giampaolo Cadalanu, La Repubblica



La Nato: "Mai raid così accurati"

TRIPOLI - A David Cameron non sono piaciute le accuse sul legame fra i servizi segreti di Sua Maestà e quelli di Muammar el Gheddafi. Il primo ministro inglese ha ordinato un´inchiesta, affidata alla Gibson Inquiry, la stessa commissione che indaga sulle accuse all´Mi-6 di aver torturato cinque britannici rinchiusi a Guantanamo. La commissione Gibson ha subito chiarito che l´incarico «fa già parte del suo mandato».
Le accuse ai servizi del Regno Unito erano partite dalla scoperta da parte di Human Rights Watch nell´ufficio del capo dei servizi gheddafiani di documenti riservati che documentano come gli agenti occidentali, e in particolare la Cia e lo Mi-6, avessero lavorato per trasformare il regime di Tripoli in un alleato, dopo la rinuncia di Gheddafi alle armi di sterminio, nel 2003. Nel mirino c´è la vicenda delle rendition: l´abitudine, da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, di consegnare i sospetti di terrorismo a regimi meno "scrupolosi" per farli interrogare pesantemente. In altre parole, alla Libia, così come ad altri Paesi in pubblico condannati per la mancanza di rispetto dei diritti umani, Usa e Gran Bretagna affidavano i detenuti da torturare. Questo era successo fra gli altri anche all´attuale capo militare di Tripoli, Abdel Hakim Belhaj, catturato dalla Cia e consegnato ai servizi libici. Belhaj adesso chiede «scuse formali» ai servizi segreti dell´Occidente.
Intanto la Nato fa un primo sommario bilancio delle operazioni: secondo il segretario generale Anders Fogh Rasmussen, l´Alleanza atlantica «ha messo in atto il suo mandato con una precisione senza precedenti». Per Rasmussen «nessuna operazione aerea simile nella storia è stata così accurata e così attenta ad evitare danni ai civili».
Sul terreno la situazione è di stallo: mentre i lealisti di Sirte aspettano la scadenza dell´ultimatum ribelle, a Bani Walid non si spara. L´offensiva dei rivoltosi contro la città in mano ai gheddafiani non è ancora partita, ma il cerchio si stringe. Gli ultimi fedelissimi del vecchio regime non sembrano disposti a cedere le armi, ancora meno lo sono i rivoluzionari. Le trattative si sono fermate proprio sul nodo degli armamenti: secondo Saadi Gheddafi, sarebbe colpa del fratello Seif al-Islam, che ha da poco pronunciato un discorso molto aggressivo contro i rivoltosi del Consiglio nazionale di transizione. Saadi ha parlato al telefono con la Cnn, dicendo di essere «poco fuori» da Bani Walid, di non avere notizie del fratello e del padre da due mesi, e di essere pronto a svolgere un ruolo di mediazione fra il Cnt e il vecchio regime, di cui «non ha mai fatto parte». 
Attualmente le truppe del Cnt sono ferme a 120 chilometri dall´abitato, in attesa di ordini. Alcune fonti ribelli prevedono un attacco massiccio per oggi, a meno che i fedelissimi di Gheddafi non decidano di arrendersi per evitare lo spargimento di sangue.
Giampaolo Cadalanu, La Repubblica

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