Peres benedice le primavere arabe "Un mondo nuovo, non la Jihad"
CERNOBBIO - «Può darsi che i jihadisti abbiano avuto un ruolo nella rivolta in Libia, ma a pesare di più sono stati i 42 anni di oppressione del regime, non gli incitamenti degli estremisti islamici. Le rivoluzioni arabe sono già una grande promessa per il Medio Oriente. Ho fiducia nelle giovani generazioni. Il futuro è affidato alla scienza, è costruito da relazioni pacifiche». A 88 anni Shimon Peres, il presidente di Israele, si muove al workshop di Cernobbio con la lentezza di un vecchio saggio, ma con la velocità intellettuale di un ragazzo che sa immaginare un nuovo mondo.Presidente, alla fine di settembre l´Anp di Abu Mazen chiederà un voto all´assemblea Onu per riconoscere uno Stato palestinese. Potrebbero avere l´appoggio del mondo anche se sarà un voto simbolico.
«La posizione di Israele, del popolo, del suo governo, è che uno Stato palestinese dovrà sorgere. La questione non è più il "se", ma "come" si possa raggiungere l´obiettivo garantendo anche la sicurezza di un altro Stato che già esiste: Israele. Abbiamo avuto l´esperienza di Gaza, che una volta diventata indipendente si è trasformata in una base per lanciare attacchi contro Israele. Mi chiedo: con quel voto le Nazioni Unite possono garantire la sicurezza di Israele? L´Onu può fermare il lancio di missili su Israele? Può bloccare il contrabbando di armi dall´Iran, un Paese membro della stessa Onu?».
Si metta nei panni del leader palestinese Abu Mazen: lei non farebbe lo stesso? Non chiederebbe un voto all´Onu per sbloccare un negoziato paralizzato da anni?
«Non sono sicuro del risultato di quel voto. Ho paura che sarà una mera dichiarazione che rinvierà la possibilità di un negoziato vero. Certo, è passato molto tempo, ma la pace richiede tempo: essere impazienti e ottenere solo una dichiarazione non servirà a molto».
Sappiamo che, in accordo col governo Netanyahu, lei ha avuto contatti riservati con la dirigenza palestinese.
«La risposta alle domande di arabi e israeliani sarebbe avere colloqui bilaterali e diretti. Ne sto parlando con i palestinesi, non escludo la possibilità di un accordo diretto fra noi e loro. Lo dico chiaramente: la soluzione è andare a negoziati diretti».
Israele congelerà i fondi dell´Anp, bloccherete la collaborazione con i palestinesi dopo un eventuale voto Onu?
«Sui versamenti non ci sono problemi, c´è stato un breve blocco, c´era un dibattito interno al governo, ma quei soldi appartengono ai palestinesi e vanno versati a loro. Per il resto credo che dovremmo continuare a negoziare».
Un fattore essenziale è il supporto dell´opinione pubblica: la società politica israeliana sta cambiando. Crede che gli israeliani sosterranno la pace?
«Le rispondo con un paradosso: non so se la maggioranza sosterrà la pace, ma di sicuro la pace creerà una maggioranza. Se un primo ministro si presenterà con un progetto di pace, otterrà sostegno. I sondaggi non sono il verdetto finale: sono come i profumi, gradevoli da odorare, pericolosi da bere. Se ci sarà un vero progetto di pace, la pace verrà approvata».
Di fronte a voi, la "primavera" del mondo arabo. Per Israele la rivoluzione più delicata è stata quella in Egitto. Quale sarà il futuro dei rapporti con questo Paese cruciale per la vostra sicurezza?
«Queste rivoluzioni sono già una grande promessa per tutto il Medio Oriente. Per ora, però, abbiamo dei rivoluzionari, non una vera "Rivoluzione": non hanno leader, né un´ideologia, né piani. Hanno la forza dell´età. Le giovani generazioni vedono le cose in maniera differente, in tutto il mondo. Ma far funzionare la macchina del cambiamento non è semplice. Ci vorranno tempo, elezioni e passi successivi. Aggiungo una cosa: non si può cambiare una società se non vengono garantiti uguali diritti alle donne. Una volta il presidente Obama mi ha chiesto: «Chi sono i principali oppositori alla democrazia in Medio Oriente?». Gli ho risposto: i mariti, gli uomini. Non vogliono dare diritti alle donne. La loro libertà è essenziale per la libertà delle società».
Non crede che in Egitto la giunta militare sarà portata a cavalcare i sentimenti anti-israeliani? Arriverà a mettere in dubbio la pace con Israele?
«Non c´è una sola ragione di conflitto fra noi e l´Egitto. È stato il Paese più importante del Medio Oriente, e noi ci auguriamo che rimanga il Paese più solido e importante come l´abbiamo conosciuto. La pace fra noi e l´Egitto è un interesse comune: si fanno molte critiche a Mubarak, ma per 30 anni ha preservato la pace, ha salvato la vita di migliaia di egiziani e di israeliani».
C´è un altro Paese cruciale per voi, la Siria.
«Assad sta mantenendo il potere, ma ha completamente perso la testa. Non puoi rimanere al potere se non hai la testa a posto: ha già ucciso troppi fra i suoi cittadini, non è possibile cancellare quel che ha fatto. Ammiro il coraggio dei cittadini siriani: hanno protestato per mesi, sfidando il fuoco dei fucili, per difendere la loro dignità, la loro libertà. Avendo ordinato di assassinare così tanti cittadini, Assad ha ucciso anche il suo futuro. Credo che il regime abbia raggiunto la sua fine, è solo questione di tempo».
In Libia la scomparsa di Gheddafi potrebbe assegnare un ruolo importante a leader islamisti o jihadisti?
«Può darsi che i jihadisti abbiano avuto un ruolo, ma il ruolo principale nella rivoluzione l´ha avuto Muammar Gheddafi. La rivolta del popolo libico è stata creata da Gheddafi, per i 42 anni della sua oppressione, non dagli incitamenti dei jihadisti. Ha trattato un Paese come una sua proprietà privata, difesa con violenza disumana».
Crede che in Libia la "buona politica" riuscirà a limitare il ruolo di jihadisti e terroristi?
«Io spero di sì, ma le dico una cosa: già il regime di Gheddafi era un regime estremista, terrorista. Hanno fatto attentati, hanno abbattuto aerei carichi di passeggeri innocenti, pensi a Lockerbie. Non dobbiamo dimenticarlo. Il futuro è davanti a noi: non ho mai ceduto alla previsione dello scontro fra civiltà; c´è invece uno scontro fra generazioni, ovunque nel mondo. Io ho fiducia nelle nuove generazioni. Il futuro è globale, è affidato alla scienza, è costruito da relazioni pacifiche. Il problema del Medio Oriente è il cibo, il benessere, la vita dei cittadini. La jihad può rispondere a questi problemi? Si possono mangiare i proiettili a colazione? Non credo, le risposte possono offrircele solo politiche corrette di sviluppo economico. Per questo vengo a Cernobbio, a un convegno in cui ogni volta sento parlare di economia, di sviluppo: questo è lo strumento migliore per la pace. Negoziare per favorire lo sviluppo dei popoli».
Vincenzo Nigro, La Repubblica
Torture e sequestri: così Gheddafi aiutava la Cia
TRIPOLI - Regime canaglia o meno, la Libia di Gheddafi collaborava attivamente con i servizi segreti dell´Occidente. Agli uomini di Tripoli toccava, manco a dirlo, il lavoro sporco: il «trattamento energico» dei sospetti terroristi. In parole povere, la tortura. La Libia faceva parte del programma delle «rendition», il sequestro e la consegna dei sospetti a governi le cui mani erano meno legate dalla normativa sui diritti umani. Oltre alla Libia, gli Usa hanno adoperato questo sistema con il Pakistan, l´Egitto, e altri, comprese appunto nazioni con cui i rapporti restavano difficili. Secondo Peter Bouckaert, di Human Rights Watch, il piano consisteva nel consegnare i sospetti membri di Al Qaeda perché fossero torturati per strappargli informazioni richieste. La collaborazione con i fedelissimi del colonnello, sia da parte della Cia che da parte dei colleghi britannici dell´Mi-6, era iniziata dopo il 2004, l´anno della rinuncia libica alle armi non convenzionali. Anzi, secondo una serie di documenti scoperti nell´ufficio di Moussa Koussa, capo dei servizi libici, gli agenti di Sua Maestà erano pronti persino a fare intercettazioni telefoniche per conto degli amici libici: molto probabilmente per controllare i dissidenti libici rifugiati nel Regno Unito.I documenti sono stati scoperti da Human Rights Watch. Tra questi ci sarebbe anche la bozza di una proposta di discorso di rinuncia alle armi non convenzionali scritto dagli 007 occidentali per il raìs. Per ora non ci sono garanzie sulla loro autenticità. La Cia non conferma, ma Jennifer Youngblood, portavoce dell´agenzia, ha detto al New York Times che «non dev´essere una sorpresa che l´agenzia collabori con governi stranieri per proteggere il Paese dal terrorismo e da altre minacce».Intanto a Tripoli la situazione continua a normalizzarsi: Ali Tarhouni, membro del direttivo del Consiglio nazionale di transizione e ministro "virtuale" del Petrolio, ha presentato un comitato che garantirà la sicurezza della capitale, formato in prevalenza da militari. In altre parole, i checkpoint sono ormai rari, i negozi riaprono e la vita riprende, anche se per ora gli approvvigionamenti restano difficili, e l´acqua manca ancora.
L´ambasciata italiana resta devastata e aperta, ma sul tetto sventola di nuovo il tricolore.
Giampaolo Cadalanu, La Repubblica
Nessun commento:
Posta un commento