di oro e banconote
TRIPOLI - Gheddafi e Seif al Islam, il figlio prediletto, l'erede a un trono che non c'è più, in fuga con la cassa forse verso il Burkina Faso via Niger. Oro e miliardi di dollari sarebbero stati portati via nottetempo dalla filiale di Sirte della Banca centrale libica. Le smentite fioccano, ma il dubbio rimane. L'imponenza stessa dei numeri - l'avvistamento, testimoniato da più fonti, di un convoglio di 200-250 veicoli civili e militari che hanno attraversato il deserto del Fezzan e sono penetrati in territorio nigerino - in qualche modo lo impone. Un tale spiegamento di forze per mettere in salvo, come vari portavoce si sono poi affrettati a spiegare, soltanto figure di secondo piano del passato regime appare poco credibile. Ciò che è certo è che il clan si è spaccato, che i figli del raìs si rimpallano le responsabilità della disfatta e che lui stesso sia vicino a realizzare che ormaiè finita. Morire con la pistola in pugno, come la propaganda vuole, essere processato come uno qualunque o vivere da nababbo lui e i suoi in quel Burkina Faso che si sarebbe detto disponibile ad accoglierlo? Tripoli non fa in tempo a svegliarsi che subito si diffonde la notizia o meglio la voce: Lui ha sgombrato il campo e si è portato via tonnellate di oro e tre miliardi di dollari. Una notizia buona quindi, la sua uscita di scena, e una cattiva: il trafugamento del tesoro dei libici, i soldi della gente. Cifre, non è escluso gonfiate, che innescano rabbia e voglia di menare le mani, visto che la partita di Bani Walid non è ancora conclusa. Occhi puntati quindi al confine con il Niger, dove viene segnalato da giorni un viavai di convogli. Nelle ultime ore un'imponente carovana di mezzi militari avrebbe attraversato la frontiera desertica, lambito la città di Agadez, culla dei Tuareg molto vicini al deposto leader e sarebbe diretto verso la capitale Niamey. La Reuters ha contato tra i 200 e i 250 veicoli e la voce insistente è che a bordo di una delle auto ci fosse Gheddafi e uno dei figli, scortati mezzi militari nigerini. Sotto l'occhio attento di Rhissa Ag Boula, una delle figure chiave delle due ribellioni Tuareg in Niger, personaggio molto vicino a Gheddafi. Se le cose stanno davvero così potrebbe non essere la solita bufala. A metà giornata però, l'Eliseo precisa di non aver elementi per poter confermare la notizia e il Dipartimento di Stato annuncia di «non credere» che Gheddafi sia arrivato in Niger. Anche se da Washington ritengono che della carovana facciano perlomeno parte alti funzionari del regime e chiedono al governo nigerino di arrestarli. Seccamente il Niger nega l'ipotesi della presenza del raìs libico sul suo territorio, ma alla domanda sull'eventualità che possa concedere asilo a Gheddafi per «ragioni umanitarie», il ministro dell'interno, Abdu Labo, ha detto: «Se la richiesta sarà fatta, ci penseremo». Dal canto suo, invece, il governo del Burkina Faso nega le voci sulla sua disponibilità a dargli ospitalità: «Escludiamo totalmente la possibilità di concedergli asilo politico», hanno dichiarato da Ougadougou. Certo è che in questo momento la frontiera col Niger in quanto traffico di mezzi libici è da bollino nero. Domenica, secondo fonti locali, il confine sarebbe stato attraversato da un'altra maxi carovana di lealisti che portavano in salvo il capo della sicurezza personale del colonnello, Mansour Daw. Molti qui rimproverano alla Nato di stare a guardare. Ma la missione d'altra parte è esclusivamente quella di proteggere i civili. Ecco perché da Bruxelles ribadiscono per l'ennesima volta che gli aerei dell'Alleanza non si metteranno a seguire le tracce di nessuno.
La "fortezza armata" di Bani Walid, per dirla con una delle ultime sparate del Colonnello, rimane assediata dalle forze ribelli che sostengono di poterla far capitolare in un paio d'ore, ma non volendo spargimenti di sangue stanno tentando di arrivare a un accordo. Per ora le armi tacciono. Ma il nodo da sciogliere è grande: catturare e processare i responsabili del regime, come vorrebbe l'ala più radicale della Libia rivoluzionaria, o amnistiare tutti, come propongono gli anziani delle tribù della città assediata. Si tratta, dunque. Di buono c'è che dagli assediati arrivano rassicuranti segnali di "pace": «I ribelli sono nostri fratelli». Comunque sia non ci saranno vendette. I negoziatori del nuovo corso hanno assicurato ai delegati di Bani Walid che «la legge sarà rispettata», che non ci saranno regolamenti di conti, saccheggi e attacchi alle proprietà degli abitanti della città.
Renato Caprile, La Repubblica
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