martedì 12 aprile 2011

IN PIAZZA PER LA DEMOCRAZIA

Articolo di Tahar Ben Jelloun, La Repubblica, 11/04/2011


Dall´Egitto allo Yemen, la protesta laica dei manifestanti.  I dimostranti non sono scesi in strada in nome 
dell´Islam, ma i loro slogan facevano riferimento ai valori universali di dignità, giustizia e libertà.Darsi fuoco è qualcosa del tutto estranea alla cultura e alle tradizioni arabe, e soprattutto alla tradizione islamica che,
come le altre religioni monoteiste, vieta il suicidio perché lo vede come un affronto alla volontà divina.
Chi muore suicida non ha diritto a un funerale. Altri cittadini hanno seguito l´esempio di
Mohamed Bouazizi, nel Maghreb e nel Mashrek. Sono tutti musulmani, eppure, al momento di
sacrificarsi, non hanno tenuto conto della parola di Allah. La prima sconfitta dell´islamismo ha
origine da questa disubbidienza ad Allah; il fatto che centinaia di migliaia di persone siano
uscite nelle strade a protestare contro un regime corrotto e dittatoriale, senza che venisse mai
evocato in alcun modo l´islam o Allah è la dimostrazione che le tesi islamiste ormai sono
superate e non riescono più a fare presa. È comprensibile che in Tunisia, che era stata
laicizzata dall´ex presidente Bourghiba (1903-2000; deposto con la forza da Ben Ali il 7
novembre 1987) e che comunque è piuttosto refrattaria in generale al fanatismo religioso, i
manifestanti non abbiano pensato a protestare in nome dei valori islamici. Per la prima volta la
piazza araba non se l´è presa né con l´Occidente né con Israele. Il fatto che l´islam come
costituzione e riferimento principale per un nuovo potere sia stato totalmente ignorato dai milioni
di persone scesi in piazza è una chiara dimostrazione di quanto questa rivolta si discosti dalle
abitudini consolidate. La peculiarità delle rivolte arabe sta nella loro natura spontanea e
nell´obbiettivo che si pongono, l´ingresso nella modernità, vale a dire l´affermazione
dell´individuo e il suo riconoscimento come cittadino e non come suddito sottomesso. Questa
modernità nessuno dei partiti politici esistenti l´aveva reclamata in modo tanto diretto. Ma è in
Egitto che l´assenza degli islamisti durante le manifestazioni che sono riuscite a cacciare
Mubarak, lo scorso 11 febbraio, colpisce maggiormente. Questo Paese è la culla dell´islamismo
dal 1928, quando nacque l´associazione dei Fratelli musulmani. Questo movimento è sempre
stato combattuto dal potere, perché Nasser fece impiccare il 29 agosto 1966 un grande
intellettuale, Sayyid Qutb, il maître à penser dei Fratelli musulmani, e perché Anwar Sadat fu
assassinato il 6 ottobre 1981 da un commando islamista infiltratosi tra le forze armate. Lo
scorso mese di febbraio, l´Egitto è stato «liberato» senza la partecipazione degli islamisti. Gli
slogan che scandivano i dimostranti di piazza Tahrir facevano riferimento ai valori universali di
democrazia, dignità, giustizia, lotta contro la corruzione e il ladrocinio. La gente non reclamava
soltanto il pane, ma anche valori fondamentali che faranno sì che i regimi corrotti non possano
più regnare in piena impunità. È questa novità che ha aiutato la rivolta a penetrare in altri Paesi
altrettanto chiusi e autoritari, come la Siria o lo Yemen. Gli islamisti reclamano costantemente
«un´igiene morale» dello Stato, ma sacrificano sempre l´individuo a beneficio del clan, il clan
dei credenti. Non si sono resi conto dell´evoluzione del popolo, non hanno percepito la potenza
di questo vento di libertà che cresceva in silenzio, perfino all´insaputa della maggior parte dei
protagonisti della rivolta. Questa è la novità. Non è stata la prima volta che gli egiziani sono
scesi in piazza in massa. Non è stata la prima volta che la polizia li ha repressi con ferocia; non
è stata la prima volta che dei giovani sono stati arrestati, torturati e perfino assassinati negli
scantinati dei commissariati di polizia. Ma è stata la prima volta che la collera è esplosaradicale, profonda, irreversibile. Ed è stata anche la prima volta che questa rivolta ha assunto
caratteristiche laiche, senza che i manifestanti lo avessero stabilito. Qualche militante dei
Fratelli musulmani ha cercato di salire in corsa sul treno della rivoluzione, ma gli hanno fatto
capire che non era aria, e i Fratelli musulmani hanno mantenuto un profilo basso. Questa
assenza, nella dinamica della rivoluzione egiziana, ha avuto conseguenze importanti nel
panorama politico del Paese. Dopo la partenza di Mubarak e il trasferimento della direzione
dello Stato nelle mani dei militari, gli islamisti si sono ritrovati nella mischia, fra tanti partiti
politici, costretti a mettere in sordina un fanatismo divenuto anacronistico. Come e perché gli
islamisti hanno perso il treno? Innanzitutto perché i Fratelli musulmani sono da tempo in crisi al
loro interno. Le nuove generazioni non si intendono con le vecchie. La retorica e i metodi di una
volta non funzionano più. Questa crisi è deflagrata al momento della rivolta popolare. I Fratelli
musulmani si sono ritrovati superati, marginalizzati, più nessuno credeva alle loro litanie.
Questo non vuol dire che il movimento scomparirà. Avrà un suo posto nel contesto
democratico. Prima della partenza di Mubarak si calcolava che in caso di libere elezioni gli
islamisti non avrebbero superato il 20 per cento dei voti. Oggi queste stime sono riviste al
ribasso. Oggi constatiamo la scomparsa della retorica islamista tra i giovani libici che resistono
alla furia del dittatore Gheddafi. Anche in questo caso la resistenza di Bengasi è guidata dalle
nuove generazioni, gente che nella maggior parte dei casi ha meno di trent´anni, che in alcuni
casi è rientrata dall´Europa e dall´America, dove lavora e studia. Sono arrivati con nuovi metodi
di lotta, in particolare Facebook, Twitter e le notizie diffuse attraverso i cellulari. La retorica
gheddafiana non li tocca. Hanno bruciato il «libro verde», accozzaglia di pensieri egocentrici
senza fondamento e senza interesse. All´inizio, quando gli insorti hanno preso la città di
Bengasi, Gheddafi ha cercato di agitare lo spettro della paura e del terrorismo, dichiarando alle
televisioni estere che si trattava di islamisti, di gente di Al Qaeda. Lo ha ripetuto talmente tante
volte che si è capito chiaramente che il suo intento era principalmente quello di mandare un
messaggio agli occidentali: attenzione, se accorrerete in soccorso degli insorti di Bengasi
darete una mano ad Al Qaeda. La manovra non è riuscita. I ribelli non esibivano il Corano,
invocavano l´aiuto delle Nazioni Unite, dell´America, dell´Europa. Il mondo non poteva
abbandonare una popolazione male armata di fronte all´artiglieria del dittatore che aveva
promesso che sarebbe andato a cercarli «casa per casa, fin dentro gli armadi». Quando il
Consiglio di sicurezza, con la benedizione della Lega araba e dell´Unione africana, ha votato la
risoluzione 1973, che autorizza gli alleati a intervenire in soccorso del popolo in pericolo,
Gheddafi ha utilizzato lo stesso stratagemma, parlando di crociate! Ma né la Francia, né la Gran
Bretagna né nessun altro è andato in Libia per ammazzare musulmani. Il solo che ammazza e
continua a massacrare musulmani è Gheddafi. La sua retorica islamista è completamente
sfasata. Ricorda quello che aveva fatto Saddam al momento dell´invasione del Kuwait, nel
1991, quando aveva aggiunto un riferimento islamico sulla bandiera e si era fatto riprendere in
preghiera, lui che era un famigerato miscredente. Ma facciamo un passo indietro. L´Occidente
per molto tempo ha creduto che fosse preferibile avere a che fare con un dittatore che avere a
che fare con gli islamisti. Ha creduto che gente come il tunisino Ben Ali o l´egiziano Mubarak
fossero dei «bastioni» contro il pericolo islamista. Gli europei chiudevano gli occhi e aiutavano
questi regimi, facevano affari con loro. Improvvisamente l´islamismo acquisiva un´importanza
che non corrispondeva alla realtà e ai fatti. Certo, i Fratelli musulmani contestavano il potere
egiziano e si presentavano come l´alternativa di fronte al regime del partito unico. La società è
attraversata da varie tendenze politiche, e una di queste è islamista, ma non ha l´ampiezza e la
forza che certi osservatori occidentali le attribuivano. Certo, Al Qaeda ha cercato di insediarsi
nel Maghreb, ha fatto sequestri di persona, ha ricattato gli Stati. Ma nessuno pensa più che Al
Qaeda sia il vero volto dell´islam. In Tunisia la lotta antislamista era diventata l´alibi perfetto per
consentire il radicamento di una dittatura, mettere il bavaglio all´opposizione e fare affari
indisturbati. Il leader del movimento islamista Ennahda, Rashed Ghannouchi, rifugiato a Londra,
ha detto, appena tornato dall´esilio, che non vuole instaurare una repubblica islamica in Tunisia
e che non intende presentarsi alle elezioni presidenziali. La novità che cambierà radicalmente i
rapporti tra l´Occidente e il mondo arabo è che l´alibi del terrorismo islamico non funziona più.
L´islamismo continuerà a esistere, perché risponde a un´esigenza culturale e identitaria. Ma è
l´assenza di democrazia che ha favorito la sua espansione. Una democrazia ben assimilata
terrà conto delle correnti religiose, come terrà conto delle varie correnti laiche. L´islamismo è
stato sconfitto dal popolo. È il popolo che l´ha ignorato e che non ha voluto fare la sua
rivoluzione in nome dell´islam, e questo è merito delle nuove generazioni della diaspora araba e
musulmana nel mondo. Il vento della rivolta ha spazzato via nella sua evoluzione le vecchie
litanie che cercavano di far tornare il mondo islamico ai tempi del profeta Maometto (VII secolo).
Ma i giovani hanno una nuova griglia di lettura del libro sacro: una lettura intelligente,
razionalista e non letterale. È questo l´elemento nuovo e rivoluzionario.


Nonostante l'ammirazione che nutro per lo scrittore Ben Jelloun, non posso non polemizzare con asprezza con lui per i contenuti del testo pubblicato sopra e che reca come titolo originale:
"In piazza per la Democrazie - Così le rivoluzioni arabe hanno seppellito l'islamismo. Dall'Egitto allo Yemen la protesta laica dei manifestanti". Cercherò di ascriverne le affermazioni a volte arbitrarie, più spesso volutamente equivoche facendo riferimento al fatto che l'insieme è sopra titolato con il termine "Il Racconto": consideriamolo in altri termini come una creazione di fantasia ascrivibile alla categoria del romanzo storico breve. Vado per ordine:
A - Per i circa 10 milioni di musulmani tunisini (il 99% della popolazione) il giovane Muhammad Bouazizi, che si è bruciato vivo per protestare contro i ripetuti atti di insostenibile persecuzione burocratica posti in essere contro la sua modesta attività di venditore ambulante di frutta e verdura dalla polizia di Ben Alì, non è un martire della democrazia laica che ha in testa Ben Jelloun; ma un "testimone" (Shahid) della sua volontà, del suo desiderio di giustizia sostenuto con il suo sacrificio contro la pluridecennale violenza del dittatore "laico" da poco estromesso dal potere in Tunisia. Essendo morto per la giustizia egli non ha commesso nessuna colpa perché il sacrificio della vita praticato per la causa dei valori del dettato di Dio non è considerato nella plurisecolare storia dell'Islam una colpa o un peccato. Il suicida non riceve dall'imam la preghiera dei morti suicidi che invece ha accompagnato Bouazizi, al pari dei giovani palestinesi che si fanno esplodere nella lunga guerra che il popolo palestinese conduce contro un aggressore feroce e spietato come Israele. Non hanno invece ricevuto questa preghiera i terroristi che si sono fatti esplodere per far saltare in aria un grande albergo di Bombay provocando centinaia di vittime: essi, infatti, avevano provocato la morte di persone completamente innocenti. La tesi secondo la quale il giovane tunisino sarebbe stato il detonatore di una rivoluzione popolare innestata sulla violazione di un comandamento di Allah è perciò un primo frutto della fantasia del romanziere Ben Jelloun;
B - Il carattere musulmano di tutte le rivoluzioni del mondo arabo è testimoniata dall'immagine che tutto il mondo ha avuto modo di vedere delle piazze che in Tunisia, in Egitto, nello Yemen ed ora anche in Siria, si sono sempre riempite di centinaia di migliaia di persone, guarda caso, nei venerdì di preghiera. Chissà se è legittimo dubitare della fede islamica di quanti dopo aver ascoltato i sermoni degli imam e dopo aver recitato le preghiere canoniche del Corano, affrontavano a mani nude le pallottole dei poliziotti di regime che uccidevano centinaia di persone! E che dire delle stesse folle prosternate in direzione della Mecca nella preghiera rituale benché esposte alle raffiche di mitra e ai colpi dei carri armati. Ci vedo poco di "laico", almeno nel senso che a questa parola da Ben Jelloun in questa manifestazioni di fede: che è fiducia e speranza nel Dio di Giustizia del Corano e non la fanatica superstizione di pochi clericali, espressione di una chiesa autoritaria che nell'Islam sunnita non esiste? ;
C - Ben Jelloun gioca con notevole malizia facendo confusione sulla liquidità dei termini, sui quali è necessario fare chiarezza una volta per tutte. Quanti credono in Dio, (Allah) nelle sue parole consegnate al Corano, e al suo Messaggero si chiamano musulmani ed è improprio e fuorviante definirli con il termine "islamici". La parola musulmano designa le persone che per il fatto di considerarsi sottomesse a Dio praticano la religione dell'Islam; il termine "islamico" è un aggettivo che si ricollega a qualcosa che ha a che fare con l'Islam: ad esempio fede islamica, etica islamica, diritto islamico ecc.ecc. E' più che ovvio che i musulmani sono esseri umani che vivono secondo i principi della fede islamica;
D - Perché confondere i musulmani e gli islamici con gli "islamisti"? Gli islamisti o i sedicenti tali sono una esigua e trascurabile minoranza nel miliardo e mezzo di musulmani e ormai sono relegati in mezzo a qualche inaccessibile gola del confine tra Afghanistan e Pakistan; a meno che non si intenda per islamisti anche i seguaci della corrente estremamente minoritaria del Wahabismo della monarchia Saudita che, a parte le enormi risorse petrolifere e il pluridecennale appoggio politico fornito dagli Stati Uniti conta ben poco dal punto di vista religioso. Va sottolineato che il Wahabismo, sorto a metà del XIX secolo nella penisola arabica si è appoggiato alla scuola di diritto "Hanbalita" sempre priva di eccessivo seguito fra i giuristi musulmani per il suo sistematico rifiuto di ricorrere nella interpretazione delle norme giuridiche al criterio analogico fondato sulla ragione. Non tiriamo in ballo nelle file degli islamisti quella parte dei musulmani che seguono la Shi'Ia (per intenderci: gli iraniani che, a differenza dei sunniti ,che non hanno clero, dispongono di una ben articolata e autoritaria rete di Ayatollah);
E - Tra i musulmani sunniti, sulla base letterale del Corano ogni essere umano è vicario di Dio sulla terra; per questo gli esseri umani sono eguali tra loro con eguali doveri e eguali diritti davanti al Creatore. Ovunque sia arrivato l'Islam sunnita è sempre stata praticata la piena tolleranza religiosa che ha trovato anch'essa fondamento nel libro sacro: durante l'impero Moghul in India ci si riferì persino al versetto del Corano che ricorda come ogni comunità umana ha ricevuto da Dio un testo sacro; e in virtù di tale enunciazione durante l'intero impero Moghul vi fu in India piena libertà religiosa per gli induisti, per i sikh, per i buddisti, ecc.ecc.
Quando mai una tolleranza paragonabile a questa è stata praticata nell'Europa non solo dominata dall'oscurantismo clericale ma anche in quella conquistata a parole dai valori dell'illuminismo laico;
F - Ben Jelloun assimila agli islamisti (che stanno all'Islam come i clericali bigotti e reazionari stanno al Cristianesimo) i Fratelli Musulmani, che sono il fantasma che gli occidentali temono essere dietro le rivoluzioni arabe. Un esperto di questioni internazionali come Lucio Caraciolo ha chiarito che i Fratelli Musulmani sono un partito politico assimilabile ai partiti politici di ispirazione cristiana esistenti in Europa: una specie di democrazia cristiana musulmana, con le sue correnti, i suoi dibattiti interni, le sue strategie politiche differenziate. E' ben strano che Ben Jelloun assimili i Fratelli Musulmani agli islamisti alla Al Qaida: storicamente nati, come egli stesso ricorda nel 1928 nell'Egitto sotto protettorato inglese, essi si distinsero subito per il grande rigore culturale dei loro fondatori, non solo Sayyid Qutb  ma anche Hassan Al-Banna, entrambi assassinati, fino al grande filosofo vivente Tarik Ramadan, ma anche per la ferma lotta che condussero per liberare l'Egitto dalla vergogna di una dominazione coloniale mascherata dietro una monarchia corrotta di un re ubriacone e puttaniere come Faruk. In prosieguo di tempo i Fratelli Musulmani sono sempre stati i promotori delle rivolte contro i regimi dittatoriali e corrotti che hanno impestato il mondo arabo: Assad di Siria distrusse a cannonate un'intera città provocando 20 mila morti per reprimere la loro mobilitazione anti tirannica. Perché tanto rigore contro un movimento che si è sempre battuto per libere elezioni, per parlamenti pluripartitici e che ha ispirato testi di esegesi coranica esemplari per la loro profondità, chiarezza e moderazione?;
G - E veniamo al punto più dolente. Ben Jelloun sostiene che le "rivoluzioni laiche" dei paesi arabi vogliono conquistare sistemi politici affacciati sulla modernità, democratici, rispettosi dei diritti umani e tutto quel che ne segue. I musulmani arricciano il naso e aggrottano la fronte quando sentono gli europei e i filo occidentali di stato laico e di laicità: tutti i dittatori che hanno infestato il nord Africa e il Medio Oriente avevano tutti la particolarità di essere "laici": laico era il dittatore Ben Alì, laico il dittatore Mubarak, laici criminali come Saddam Hussein e come il vecchio Assad, tutti accomunati dal loro spasmodico attaccamento al potere tiranno anche se non da tutti esercitato in nome e per conto dell'occidente democratico (anche se non va dimenticato che Saddam Hussein è stato per qualche decennio il punto forte di riferimento dei governi americani fino a quando per una questione di petrolio i loro rapporti si sono guastati).
Sono quei laici i punti di riferimento cui dovrebbero guardare le neonate rivoluzioni arabe o non invece il teocentrismo democratico (la definizione è del teologo cristiano Hans Kung) che è presente nel Corano, e cioè il sistema politico che poggia sulla Umma (la comunità dei credenti) che stipula con chi è chiamato a governare un patto basato sul rispetto dei principi di libertà, giustizia ed eguaglianza che è la vera essenza dell'Islam. Mi viene un sospetto: non è che si confonda la laicità con il laicismo di quei cialtroni che considerano dei poveri imbecilli tutti coloro che credono in Dio ed auspicano che le società umane siano pervase dallo spirito di giustizia che è uno degli attributi più belli dell'Altissimo.




Nessun commento:

Posta un commento