martedì 19 aprile 2011

L'ISLAM E LE ISTITUZIONI DEL POTERE

I gruppi islamici più tradizionalisti sostengono che solo lo stato islamico sarebbe in grado di stabilire condizioni di giustizia sociale e di benessere dei paesi musulmani, a condizione di applicare la Shari'a, e cioè la legge positiva divina. Si tratta così di esaminare quali istituzioni politiche amministrative il Corano ha chiaramente determinato.
L'origine dello stato islamico è nell'esperienza di governo del Profeta sulla comunità di Medina. In secondo luogo bisogna considerare le iniziative amministrative dei primi quattro califfi, in quanto interpreti autorevoli del Corano e della Sunna profetica. In terzo luogo bisogna valutare le diverse dottrine del califfato elaborate dai filosofi e dai teologi e chiarire il loro statuto per verificare se esse siano un prolungamento della Rivelazione e quindi vincolanti per la fede, oppure di ordine razionale, e cioè storiche e contingenti.

A - Le Strutture del Potere Esecutivo.
Troviamo in primo luogo il califfato che nasce a Medina insieme alla Umma, comunità di fede al servizio di Dio. Il califfo è il capo che deve guidarla e mantenerla nella via stabilità dalla Shari'a. Per i sunniti il califfo succedeva a Muhammad alla guida della comunità ma non era successore del Profeta, mentre il capo della comunità sciita (Imam) ereditava certe prerogative profetiche mediante la successione della discendenza di Alì. In base alle diverse forme di successione dei primi quattro califfi gli Ulema sunniti considerarono "canonici" i tre modi di elezione del califfo: elezione a larga maggioranza, elezione da parte di un collegio ristretto consultivo, designazione da parte del predecessore. Quest'ultimo modo finì col prevalere e condusse alla forma della successione dinastica, che doveva essere convalidata da una sorta di elezione contrattuale con la quale il califfo si impegnava a governare applicando la Shari'a e la Umma era per questo tenuta all'obbedienza e gli prestava il giuramento di fedeltà (Bay'a).
In un secondo momento comparve il Vizir o il Sultan il cui potere variò secondo tempi e luoghi. Durante il periodo di massimo splendore degli Abbasidi il califfo nominava i Vizir o i Sultan, ne determinava i compiti e gli destituiva. A partire dal X secolo il Vizir o Sultan divenne il vero capo del governo, quasi autonomo dal califfo prima di essere nuovamente assoggettato con la dinastia dei Selgiuchidi.
Per amministrare il Tesoro il potere esecutivo istituì il Diwan che inizialmente, al tempo del califfo Omar era un semplice registro per la distribuzione del bottino di guerra e al tempo degli Omayyadi diventò la cancelleria che si occupava delle finanze dello stato.
Apparato essenziale del potere fu sempre l'esercito, inizialmente composto da volontari votati al Jihad, mentre divenne in seguito un esercito di professione, da prima formato di soli arabi, quindi anche di persiani e infine a composizione internazionale.

B - Le Strutture del Potere Giudiziario.
Il fine dello stato islamico non era tanto quello di garantire i diritti e le libertà individuali ma la giustizia ('Adl).
Il califfo era il garante della giustizia per la Umma e giudice unico; ma ben presto delegò l'amministrazione della giustizia al Qadi che l'amministrava in sua vece e aveva il compito di far rispettare la Shari'a elaborata dalle varie scuole giuridiche. Nella stessa città potevano esercitare Qadi di diverse scuole. Sotto il califfo Harum Al-Rashid  nacque la carica di giudice supremo (Qadi Al-Qudat, che nominava, controllava e destituiva i vari Qadi).
Il Qadi esercitava le ricerche degli esperti di diritto, i giuristi (Fuqaha), e in giudizio si serviva di testimoni professionali ('Udul) che godevano di chiara fama di equità ('Adala), perché il regime della prova si basava sulla testimonianza orale. Con il tempo i testimoni professionali si trasformavano nella corporazione dei notai. Per presentare le loro istanze i sudditi si facevano rappresentare dal "Wakil", una specie di avvocato ante litteran. Alla giurisdizione del Qadi si affiancò quella del prefetto di polizia, che aveva il compito di reprimere disordini e brigantaggio e acquisì il potere di giudicare i crimini che incorrevano nelle pene previste dal Corano e dell'applicazione del "taglione".
Nacque in seguito il "Mazalim", una specie di corte d'appello per sanare i torti che col tempo si trasformò in una e propria struttura giudiziaria parallela, in cui la giustizia era amministrata direttamente dal governatore; nacque anche una corte suprema per dirimere gli affari di stato eccezionali come la messa in stato di accusa di capi militari, funzionari e agitatori politici. Tale corte fu usata anche contro mistici giudicati eretici, come
Al-Hallaj, condannato a morte nel 922.
Una funziona specifica del ramo giudiziario fu la Hisba esercitata dal Muhtasib, un magistrato incaricato dell'ordine morale della civiltà, che svolgeva tra l'altro il compito di pulizia dei mercati, reprimendo le frodi, sorvegliando il commercio, i pesi e le misure e le piccole imprese imponendo l'osservanza delle prescrizioni islamiche (proibiva il vino, verificava la partecipazione alla preghiera del venerdì e il modo di vestire).

C - Caratteristiche dello Stato Islamico.
Le strutture dello stato islamico rispondevano alle esigenze della comunità di fede, i cui membri erano uniti non dallo Ius Sanguinis ne dallo Ius Soli ma dallo Ius Religionis.
L'individuo andava verso Dio attraverso la Umma che gli era guida lungo la via che conduce al bene e deve incarnarsi sul piano sociale. Nella concessione classica del diritto islamico la Umma si materializzava in un territorio, sottomesso all'autorità di uno stato che ne realizzava i fini. Lo stato era perciò la casa della giustizia
(Dar Al-'Adl) in opposizione ad altre forme di governo che non erano guidate dalla luce divina. Nello stato islamico il potere assoluto poteva appartenere solo a Dio. L'uomo è il vicario di Dio sulla terra, ha diritto alla proprietà della terra ma ha anche il dovere di farne buon uso. L'elemosina legale (Zakat) era l'imposta di solidarietà comunitaria della Umma ed era un atto di giustizia che purificava la ricchezza e un diritto dei poveri della comunità. Lo stato islamico non comprendeva solo la Umma islamica ma, come abbiamo già visto anche altre comunità religiose che pagavano la tassa di protezione e i cui membri erano detti Dhimmi. Ciò in applicazione del principio coranico non può esserci costrizione nella religione.
 (La Ikraha Fi L-Din. Cor. II, 256)

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