Le periodizzazioni che si è soliti utilizzare per individuare l'evolversi della civiltà europea in Evo antico, medievale e moderno non sono ovviamente applicabili alla storia dell'Islam: non avrebbe alcun senso parlare di un medioevo musulmano coincidente con quello cristiano, così come l'età moderna dell'occidente non ha coincidenze profonde con una ipotizzata modernità dell'Islam.
Da un punto di vista storico-religioso quello che viene definito "Islam classico" è quello che si estende fino al XVII secolo e comprende il primo millennio della storia dell'Islam. Nel corso di questo periodo subì notevoli trasformazioni ma può essere trattato come un'unità omogenea nella quale i principi di fondo rimasero in definitiva gli stessi. La duttilità dello strumento culturale cardine del consenso (Igma) permise all'Islam dieci secoli di modificazioni e sviluppi che favorirono la coesistenza di molteplici punti di vista e un adattamento efficace alle esigenze nuove che i tempi e i luoghi di volta in volta proponevano.
Scaduto il millennio questo sistema mostrò i primi segni di logorio e i punti di vista che nell'Islam classico avevano convissuto con una notevole armonia, assunsero una natura sempre più esclusivista che li ridusse a scuole giuridiche chiuse, tese a tutelare i propri interessi particolari screditando le posizioni delle altre. Le scuole giuridiche si trovarono impegnate in una casistica legale formalistica, mentre i teologi non fecero che rielaborare stancamente i principi dei dogmi e lo stesso sufismo diventò una semplice palestra di atteggiamenti di maniera privi di sostanza.
L'esigenza di un risanamento si fece presto avvertire anche le situazioni locali ricorsero a rimedi frammentari e contraddittori. E' a proposito di questi limiti che fra gli storici si comincia a parlare di decadenza dell'Islam, anche se in realtà ci si trova di fronte a una mutazione significativa e irreversibile della storia. Occorrono qui alcune puntualizzazioni:
I - Il Millenarismo non ha assunto nell'Islam i caratteri con cui si era presentato nella civiltà cristiana medievale; non vi furono attese di rinnovamenti morali e spirituali della società, forse perché l'Islam non condivide la visione evolutiva della storia tipica della cultura occidentale. Il mutamento che si registra è in realtà il fenomeno già emerso nell'analizzare le conseguenze dirette o indirette delle invasioni mongole, delle crociate e della Reconquista spagnola, e cioè il fatto che i centri più vitali dell'Islam tendono a decentrarsi rispetto alla sua culla originaria (Orda d'oro, Impero Timuride, Impero Moghul, Impero Ottomano e il più tardivo Impero Safavide sciita). Del resto già il Corano e il Profeta avevano avvertito che l'Islam sarebbe finito esule (Gharib) e che le migliori generazioni immediatamente successive a quella del Profeta avrebbero lasciato il posto a comunità sempre più lontane dall'originario spirito della rivelazione. E non furono pochi i sapienti che avevano sottolineato come, in vista di una inarrestabile decadenza nei tempi ultimi sarebbe bastata per la salvezza l'osservanza di un solo decimo della legge;
II - Un altra tradizione del Profeta ricordava che Dio, ad ogni scadere di secolo avrebbe inviato alla comunità dei fedeli qualcuno in grado di rinnovarne la religione. Questo rinnovamento (Tagdid) non poteva non essere più incisivo con l'avvio del secondo millennio che rappresentava una svolta ciclica di portata più cruciale dei passaggi secolari. Per questo, intorno all'anno Mille dell'Egira (Ottobre 1591) si registrò la diffusione sempre più ampia dell'idea del rinnovamento, non più rinviabile a fronte della disgregazione politica e morale in cui versava gran parte del mondo musulmano; ed è proprio a questa data che si può fare riferimento per vedere i segni di un ordine al tramonto e di un nuovo modo di vedere la realtà che comincia a sorgere e simboleggia l'ingresso dell'Islam nella sua età moderna;
III - In quest'epoca in effetti diventano più frequenti e severe le denunce contro certe categorie del sapere religioso, sempre più chiuse in se stesse nella difesa dei propri privilegi e si pone la necessità di un'opera che dia luogo a nuove interpretazioni della fede. Da una parte vi fu chi di fronte alla crisi propose un ritorno meccanico al passato e alla lettera delle fonti primarie del Corano e della Sunna; sul fronte opposto vi furono coloro che non consideravano gli sviluppi dell'Islam storico devianze abusive rispetto al messaggio del Profeta e che cercavano perciò dottrine e istituzioni che eliminassero gli eccessi e le distorsioni e i determinati sviluppi che avevano generato. I primi ebbero dalla loro parte il peso determinante della parola coranica; i secondi, senza trascurare le fonti primarie del Corano e della Sunna, ribadirono il ruolo decisivo quel "consenso" che l'Islam classico aveva considerato base di ogni sua evoluzione.
All'inizio del suo periodo moderno l'Islam sunnita sperimentò per la prima volta il diffondersi di un
"proto fondamentalismo". E' significativo che proprio la scuola Hanbalita, sicuramente più attenta di altre alla lettera delle fonti primarie finì per diventare il punto di riferimento di quanto si sviluppa a partire dal XVIII secolo.
Il vero ispiratore del cosiddetto "Neo-Hanbalismo" fu il teologo Ahmad Ibn Taymiyya, il cui nome è rimasto legato all'accentuazione degli aspetti più rigoristici della scuola Hanbalita. Nato nel 1263 egli combatté energicamente contro ogni atteggiamento accomodante, richiamando di continuo le autorità e i dottori di diritto a un'interpretazione letterale inflessibile della legge. Nemico implacabile di sciiti e cristiani, la sua totale avversione per il Sufismo gli procurò l'ostilità popolare e il sospetto dei governanti. Più volte imprigionato in Siria e in Egitto Ibn Taymiyya riuscì a guadagnarsi un crescente numero di ammiratori e simpatizzanti; ciò nonostante Ibn Taymiyya morì nel carcere di Damasco dopo un certo numero di anni di prigione.
Solo all'alba del XVIII secolo il suo pensiero fu riproposto organicamente e questa volta poté riscuotere il successo negatogli dai contemporanei. E' così che nacque il movimento Wahhabita, che deve il suo nome al teologo Muhammad Ibn Abd Al-Wahhab, nato nel 1703 in un piccolo villaggio dell'Arabia.
Al-Wahhab, dopo un lungo periodo di studi religiosi si convinse che il mondo sunnita doveva tornare radicalmente alle proprie origini per affrontare una crisi che appariva incombente. L'impero ottomano gli sembrava incapace di contrastare le crescenti affermazioni Sawafito-sciite in Iran e le devianza dottrinali sempre più gravi nei territori a governo sunnita. Tornato in patria egli iniziò la sua opera pubblica promuovendo una severa politica di estremo rigore verso tutte le innovazioni che sapevano di superstizione idolatrica. Nel suo primo scritto "Kitad Al-Tawhid" richiamava l'esigenza di restaurare l'inflessibile monoteismo islamico: moltiplicò gli attacchi contro li sciiti e soprattutto ai Sufi, colpevoli di tollerare la devozione popolare e il culto dei santi. La reazione sunnita sembrò avere la meglio e Al-Wahhab venne esiliato; ma durante questo periodo trovò appoggio in Muhammad Ibn Saud, emiro di una piccola oasi del Majad. Con un celebre patto di alleanza i due si giurarono nel 1744 reciproca fedeltà per far trionfare i principi del Wahabismo sotto l'egida di uno stato teocratico retto dall'emiro e dalla sua famiglia.
Il nuovo emirato si espansa con alterne fortune per due secoli e unificò i due regni del Najab e del Higiaz, anche se dovette litigare per realismo politico gli eccessi rigoristi degli inizi, pur rivendicando a se la funzione di garante politico dell'Islam e della sua ortodossia: ecco perché la bandiera verde del regno saudita porta l'immagine della professione di fede protetta da due sciabole incrociate. Il successo politico e militare del nuovo stato fu progressivo e duraturo, anche se suscitò profonde reazioni negative nel resto del mondo islamico che ne vedeva il fanatismo e gli attribuiva eccessi di vario genere, tra cui la demolizione dei monumenti funebri dei grandi personaggi dell'Islam, l'avversione per il culto dei santi e l'eccessiva venerazione per il fondatore del movimento. La polemica contro il Wahabismo assunse toni talmente duri da parte dell'ortodossia classica, che ancora oggi molti musulmani considerano il Wahhabismo un movimento eretico e scismatico. E se esso è sopravvissuto come presenza nell'Islam moderno è per la crescente potenza finanziaria ed economica che ha assunto nel contesto internazionale la monarchia saudita. Un ulteriore motivo di successo del Wahhabismo fu la sua capacità di semplificare il complesso della dottrina islamica e di standardizzare la fede musulmana in modo da farla percepire in forma standardizzata come una dottrina religiosa sostanzialmente "pura".
Sul versante opposto al Wahhabismo si mossero personaggi e movimenti che avevano il Sufismo come punto di riferimento. Le confraternite Sufi si erano ormai radicate nel tessuto delle società islamiche incidendo sulle istituzioni pubbliche, sugli atteggiamenti politici, sull'etica comune e sulla devozione popolare. Tra il XVII e il XVIII secolo il mondo delle confraternite cominciò a manifestare pericolose devianze. L'eccessivo potere raggiunto da alcune di esse e la venerazione di cui godevano alcune loro guide spirituali ne fecero talvolta piccoli stati nello stato, gestita in maniera autocratica con trasmissione dinastica del potere in grado di reclutare eserciti e di controllare il consenso del popolo. Tutto ciò spinse alcune di esse a trasformarsi da organizzazioni di perfezionamento interiore in organismi di potere continuamente alla ricerca di espansione. Alle generazioni politiche si aggiunse poi un diffuso lassismo morale che agli occhi di molti era ancora più grave: spesso sedicenti maestri Sufi prendevano a pretesto la loro "saggezza" per farsi venerare dai seguaci quasi come divinità.
La condanna degli abusi fu pronunciata all'interno stesso del sufismo finché in tutto il mondo islamico i maestri Sufi si dedicarono al rinnovamento dei valori e al riordino degli ordini, sicché per tutto il XVIII secolo emersero con particolare evidenza i segni di una effettiva riforma. Vengono in particolare evidenza le figure del marocchino Al-Arabi Al-Darkawi fondatore della confraternita "Shadhiliia"; l'algerino Ahmad Altigani e, infine l'indiano Khwaga Mir Dard di Delhi. Quest'ultimo intese ribadire che il primato spirituale nell'Islam appartiene in ogni caso al Profeta Muhammad. Il segno distintivo del maestro Sufi indiano è la sua capacità di combinare alla rigorosa conformità alla legge islamica al profondo rispetto per le altre fedi religiose, sicché la sua opera spiega la pacifica e proficua convivenza fra musulmani, indiani e induisti. La sua opera fu proseguita da Mirza Ganganan e, dopo il suo assassinio per mano di un fanatico sciita, fu proseguita dal grande Shah Wali Allah, anch'egli si Delhi.
Spostandoci ad occidente meritano di essere menzionati i maestri Sufi Ahmad Ibn Iblis di Fez fondatore della confraternita che da lui prese il nome; Muhammad Uthman Al-Nirgani e Muhammad Ibn Alì Al-Sanusi, fondatore della potente confraternita Senussita che tanto filo da torcere diede alla dominazione italiana in
Libia .
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