romano-barbarico, sorte con l'ascesa al trono di Roderigo, e l'aperto sostegno dei numerosi ebrei che dai Visigoti erano stati perseguitati e infine condannati all'espulsione.
La conquista, conclusa da Musa Ibn Nusayr portò alla creazione della provincia di Al-Andalus, con capitale Cordoba, dipendente dal governatorato di Kayrawan. Le forze cristiane sconfitte si ritirarono a nord del fiume Duero e il nobile Telayo si asserragliò con i suoi seguaci fra i monti Cantabrici e le Asturie, fondando il primo nucleo del futuro regno di Leon.
Il governatore di Cordoba valicò 20 anni dopo i Pirenei per depredare le ricche offerte votive del santuario di San Martino a Tours e il territorio circostante, ma fu sconfitto a Poitiers dal re Franco Carlo Martello. La sconfitta fu un pesante smacco per l'orgoglio islamico e un fondamentale tassello per le ambizioni dei carolingi, che intendevano atteggiarsi a supremi difensori della cristianità in occidente.
Al massacro in Siria della famiglia Omayyade, perpetrata dai vincitori Abbasidi, scampò il giovane Abd Al-Rahman Ibn Mu'Awiya, che nel 756 ottenne rifugio e sostegno in nord Africa dai suoi parenti materni berberi. Con essi e con altri legittimisti egli entrò in Al-Andalus e sbaragliò le forze del governatore che, in questi agitati anni, si era reso difatti indipendente. Pur assumendo il semplice titolo di emiro, la sua discendenza non rinunciò mai alle pretese califfali, reclamate infatti nel 627 da Abd Al-Rahman III, al quale gli Abbasidi, impegnati a consolidare il loro potere, reagirono soltanto con qualche blando complotto facilmente sventato.
Abd Al-Rahman I detto "l'Immigrante", fu politico non meno abile del suo nemico Abbaside Al-Mansur e riuscì così ad espandere e a consolidare i suoi domini, garantendo a sé e ai suoi discendenti un solido potere durato 275 anni, dal 756 al 1031. Di assai maggior durata fu però, il positivo connubio realizzatosi nella penisola iberica per oltre 800 anni, fra cultura cristiana, ebraica e islamica che, con l'aggiunta dell'elemento greco, si attuò anche in Sicilia nei 204 anni di governo islamico.
Sia nella penisola iberica, sia in Sicilia l'Islam dimostrò la sua forte indole sincretica verso le altre culture già espressa con hinyariti, ebrei, greci, siriaci, mesopotamici, copti, berberi, africani, persiani, indiani, turchi, mongoli e persino cinesi, di cui incorporò senza remore moralistiche o religiose quanto di meglio gli veniva offerto.
In Al-Andalus fu elemento particolarmente positivo il buon rapporto con la comunità cristiana iberico-latina che aveva scelto di restare sotto il governo islamico. I mozarabi, arabizzati per costumi esteriori e per aver affiancato l'arabo al loro idioma latino vissero per lunghi secoli in un clima di tranquilla operosità, salvo una breve parentesi nel IX secolo in cui l'ala più oltranzista del cristianesimo locale entrò in conflitto con i suoi governanti musulmani.
Non meno importanti furono gli intrecci politici, economici e culturali che si crearono con le conversioni all'Islam di non pochi cristiani, definiti dagli arabi "Muwallab" (adottati). Un illuminante esempio furono i Banu Qasi, imparentati con il casato cristiano di Navarra, dal momento che la conversione di Casius, Conte della Marca Superiore Islamica al tempo dei Visigoti, gli consentì di restare alla guida dei suoi domini e ai suoi discendenti di lucrare grandi vantaggi nel nuovo quadro politico iberico.
Il contributo di Al-Andalus all'architettura alle varie scienze e tecniche, alla letteratura, alla mistica, alla filosofia, alla musica, alla storia e alla geografia, all'artigianato o alle traduzioni fu un terreno fondamentale per la successiva rinascita europea. Il potere Omayyade rivaleggiò in grandiosità con quello Abbaside specie quando nel X secolo l'emirato di Spagna si trasformò in califfato, ma anche sotto la reggenza di Almanzor che dal 968 fino alla morte governò con capace energia per conto del debole califfo Hishan II. Almanzor diresse 52 spedizioni contro i cristiani delle Asturie e di Navarra, saccheggiando Barcellona nel 985 e Leon nel 988, dopo essersi spinto in Galizia per depredare a Compostela il remoto santuario di Santiago, immaginato come "Matamoros" (uccisore di musulmani, protettore della cristiana iberica).
In modo imprevedibile, tuttavia il califfato si sbriciolò nel volgere di pochissimi anni a causa di una ingovernabile crisi dinastica e per gli egoismi dei maggiorenti. La frammentazione politica originò una moltitudine di esperienze istituzionali che, politicamente insignificanti, furono però produttive di cultura per merito di tante munifiche corti.
Il secondo caso è quello della Sicilia. Lo sbarco nell'827 di una flotta musulmana nei pressi di Mazara è un'azione che mirava a procacciare un ricco bottino più che una stabile conquista, ma l'intento degli aghlabidi, che dall'800 erano stati delegati dal califfo Harun Al-Rashid a governare l'inquieta provincia dell'Africa era quello di tenere occupato oltremare un buon numero di litigiosi sudditi arabi e berberi. La conquista della Sicilia bizantina non fu opera semplice e rapida e ci volle più di mezzo secolo per far capitolare nel 878 Siracusa, capitale dell'isola.
I musulmani si scelsero nel frattempo come loro capitale Palermo, eliminando il latifondo parassitario lasciato da romani e bizantini, facilitando rapporti costruttivi con le componenti latina, greca ed ebraica, depositarie di un sapere di alto profilo che fu pienamente assorbito e rielaborato dall'Islam siciliano. I sunniti aghlabidi furono nei primi del X secolo soppiantati dagli sciiti fatinidi, ma l'attenzione dei nuovi signori fu prioritariamente rivolta alla conquista dell'Egitto e della Siria, per poi andare a decorrere l'imbelle potere abbaside in Iraq che si considerava l'illegittimo.
Pieni poteri per l'isola furono quindi affidati dai fatinidi nell'848 all'Asan Ben Alì Al-Kalbi e ai suoi discendenti (Kalbiti) che governarono in modo del tutto autonomo per 105 anni. Fu oltre un secolo di progresso artistico e scientifico, di saggia e moderata amministrazione, facilitata dal fatto che la Sicilia era lontana dalle contese politico religiose in atto nel resto del mondo islamico. Anche qui, però, come in Al Andalus, il quadro istituzionale si frammentò in modesti potentati, portatori di un'angusta visione politica che agevolò l'impresa ambiziosa di un pugno di avventurieri normanni che si impadronirono dell'isola.
Originari della lontana Scandinavia e pragmaticamente aperti al pari dell'Islam alle contaminazioni culturali, i Normanni si erano già distinti in altre parti d'Europa. Quando giunsero in Sicilia nel 1061 anche Roberto il Guiscardo e il fratello Ruggero non ebbero vita facile nel sottomettere l'isola e solo dopo 20 anni, dopo la caduta di Noto e Butera, ultimi regni sovrani islamici in Trinagria dopo la disperata difesa del siracusano Ibn Abbad, l'isola cambiò padrone.
A differenza dei cristiani spagnoli, i nuovi dominatori non cedettero alla pulsione sanguinaria e vendicativa auspicata dalla chiesa cattolica e dalla aristocrazia cristiana, avvantaggiandosi delle superiori conoscenze tecnologiche e artistico letterarie dei vinti, messe senza alcuna remora religiosa al proprio servizio, come appare ancora oggi chiaro a Chiarniri il castello della Zisa, la Cuba e la cappella palatina di Palermo. Allo stesso modo si comportò l'Imperatore Federico II, figlio di Enrico VI di Ohohenstaufen e di Costanza d'Altavilla figlia di Re Ruggero II che aveva fatto coniare monete bilingui, con l'epiteto reale di orgoglioso sapore arabo di "Al-Mu'Tazz Bi-Llah", "Il potente per grazia divina" e che aveva organizzato persino un harem di sapore fin troppo islamico.
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