mercoledì 5 gennaio 2011

STORIA DELL'ISLAM: Abbasidi e Fatimidi

Gli Abbasidi malgrado amassero presentarsi come dinastia benedetta rispetto agli Omayyadi, da essi pretestuosamente accusati di indifferenza religiosa, inaugurarono la loro gestione del califfato di Al-Andalus con la totale eliminazione della famiglia dinastica sconfitta. Tale atto sanziono anche la fine dell'assoluto predominio arabo sulla Umma, malgrado anche gli Abbasidi fossero arabi e imparentati con gli Omayyadi, a causa dell'ingresso dei convertiti non arabi nella gestione della società islamica.
Fondamentalmente iranici furono i due pilastri su cui si appoggiò il nuovo potere. Persiano era infatti in gran parte l'apparato militare, chiamato Khurasaniyya per essere stato forgiato nell'ambiente arabo-persiano del Khorasan, la regione a nord-est della Persia; persiana era la macchina burocratica la cui efficienza era garantita dalle indubbie capacità della famiglia dei Barmecidi (dal nome del loro etigono Barmak). La stessa cultura, quindi compresa quella religiosa era fortemente influenzata dalla religiosità sassanide; ma non va neppure trascurato il potente contributo dei doppi siriaci, greci, copti ed ebrei. Dalla seconda metà dell' VIII secolo alla prima metà del IX si cominciarono a scrivere testi di carattere religioso, integrati da settori di carattere biografico, geografico, storico annalistico e giuridico. Inoltre l'ingresso armato nel sub continente indiano, avvenuto già in epoca Omayyade quando nel 711 si conquistò il Sind, attuale provincia del Pakistan, rese possibile l'acquisizione del patrimonio conoscitivo delle popolazione assoggettate; contemporaneamente si approfondì l'assorbimento delle culture precedentemente conquistate grazie alla massiccia opera traduttoria in gran parte dei convertiti, che arricchì il carente patrimonio culturale arabo, fondamentalmente costituito da poesia, epica e da studi di genealogia, oltre a un minimo di medicina popolare nota come "medicina del Profeta".
L'iranicità del califfato è sottolineata dallo spostamento del baricentro politico-economico dal Mediterraneo verso le regioni mesopotamico-iraniche, con la fondazione da parte del califfo Al-Mansur della città di Baghdad (762)  destinata a diventare sotto tutti i profili la più autorevole concorrente di Costantinopoli, non solo su piano militare o economico ma anche culturale. Si deve infatti ricordare la Casa della Sapienza (Bayt Al-Hikma) sviluppata dall'832 dal califfo Al-Ma' Mun dal primo nucleo privato voluto dal padre, Harun Al-Rashid califfo dal 786 a imitazione della Sassanide Giundishapur, organizzata alcuni secoli prima come centro di traduzione dal greco e siriaco in lingua medio persiana e centro medico, al fine di applicarne dei benefici ai ricoverati. Anche la Casa della Sapienza fu infatti un nosocomio in cui si insegnava e praticava la medicina greca, persiana e indiana, col fine di perfezionare il cammino intrapreso dal 706 a Damasco nel primo ospedale islamico per volere del califfo Omayyade Al-Walid I. Da sottolineare che il primo centro medico in Europa sarà nell'898 il Senese ospedale di Santa Maria della Scala. Presso la Casa della Sapienza nacque una biblioteca ricca di oltre mezzo milione di volumi sacri e profani, provenienti da ogni dove e inseriti in un catalogo generale dopo essere stati tradotti in arabo.
La Casa della Sapienza fu anche un osservatorio astronomico in cui operarono matematici e scienziati la cui fama giunse abbastanza presto nel mondo cristiano: Al-Khuwarizni (780-850), cui si deve il termine "algoritmo"; Al-Kindi, noto in Europa come Alkindus; i fratelli matematici del IX secolo noti come Banu Musa  e Hunayn Ibn Ishaq; l'astronomo e matematico Thabit Ibn Ben Qurra; Thebit Al-Razi noto ai latini come Rhazes.
Biblioteca non unica, perchè a Cordoba il califfo Omayyade Andaluso Al-Ahkam II, califfo dal 961, ne vanterà una di 400.000 volumi, meno ricca di quella di un suo suddito, mentre la Dar Al-Hikma del Cairo Fatinide ne conterà 600.000 esemplari. Cifre che umiliano le scarse dotazioni librarie del mondo latino cristiano contemporaneo di impianto quasi esclusivamente religioso.
Tutto ciò fu reso possibile dall'ampia disponibilità di ottima carta, i cui procedimenti di fabbricazione furono appresi all'indomani della battaglia del Talas (751) grazie all'insegnamento trasmesso da prigionieri di guerra cinesi. Fu la sagacia barmecide a fare immediatamente sorgere le prime cartiere a Samarcanda e a Baghdad, poi moltiplicatesi in tutto il mondo islamico arabo, persiano, indiano, egiziano, siriano, siciliano e di
Al-Andalus.

L'espansione Abbaside proseguì verso oriente mentre al califfato sfuggiva totalmente l'estremo occidente maghrebino e il berico Al-Andalus, dove nel 756 si insediò l'Omayyade Abd Al-Rahnan Ibn Mu'Awiya, scampato ai massacri Abbasidi. L'area di maggiore impegno divenne quella oltre il fiume Oxus, dove era presente il variegato elemento turco; ma quella forse di maggiore interesse divenne dal IX secolo l'immenso bacino del Tarin, del Turkestan orientale in cui ebbe luogo il fruttuoso contatto con la cultura tibetana, mongola e cinese.
I traffici si svilupparono con  progressione geometrica, facendo affluire enormi ricchezze nel califfato, tanto che i commerci Abbasidi si estesero dal nord Africa alla Cina, dove a Canton venne permessa dall'imperatore la costruzione di un emporio che, per altro, non ebbe sempre vita facile.
Il ruolo Abbaside venne contestato fin dall'inizio dagli Alidi, che reclamarono per sé il titolo califfale, che ritenevano spettasse loro di diritto e che consolidarono le basi dello sciismo dopo l'818, quando fallì la politica di riconciliazione apparentemente perseguita dal califfo Al-Mamun.
Il rigido centralismo califfale fu incrinato nell'anno 800 da Harun Al-Rashid, che voleva attribuire al turco Ibrahim Ibn Al-Aghlab l'emirato ereditario di Tunisia e Algeria, perchè vi stroncasse l'insurrezionalismo ellenico degli scismatici Kharigiti. Quest'atto può essere interpretato come un esempio di virtuoso decentramento; ma le vistose crepe nell'edificio istituzionale, evidenziate con la strana morte di Al-Nahdi, califfo dal 775, e col violento contrasto alla fine dell'VIII secolo tra Al-Hadi, califfo dal 785, e suo fratello Rashid si aprirono con la devastante guerra civile (810-813) che contrappose i figli di quest'ultimo, Al-Hamin, califfo dall'809 e Al-Mamun califfo dall'813, al primo dei quali il comune padre aveva affidato la dignità califfale e tutti i domini africano-asiatici e al secondo il ricco Khorasan.
La vittoria di Al-Mamun fu una vittoria di Irro. Quasi distrutta di fatto la Khurasaniyya, i cui appartenenti si facevano chiamare "Figli della Dinastia", e sradicata per evidente gelosia da Rashid la troppo popolare famiglia dei Varmecidi, fu necessario reclutare un nuovo esercito. Il fratello di Al-Mamun, poi suo successore, Al-Mutasim califfo dall'833, ritenne opportuno giovarsi dell'elemento turco solo in parte costituito da uomini liberi ma in grande maggioranza di condizione servile. Al-Mutasim ne fece un'arma estremamente efficace, ma il legame che si creò tra califfo e turchi era del tutto personale, e quindi completamente differente da quello della Khurasaniyya, che aveva combattuto con la dinastia Abbaside per una causa ritenuta giusta e dalle profonde connotazioni etico-sociali.
La iattanza manifestata sin dagli esordi dal nuovo esercito indusse Al-Mutasim ad allontanarlo da Baghdad, trasferendolo con se nella nuova città di Samarra (835), rimasta capitale Abbaside fino all'892. Lo strapotere dell'elemento turco (arricchito da Cazari, Curdi, Armeni, Arabi e Berberi) si manifestò già con l'elezione da esso imposta di Al-Mutawakkil, califfo dall'847,  che tuttavia pagò con la vita la sua volontà di condurre in prima persona i giochi politici. Quando egli cadde assassinato dai suoi turchi nell'861, anche la fine per il califfato era segnata, anche se i comandanti dei Credenti sopravvissero per altri 4 secoli, ridotti però a un puro simbolo di un'unità della Umma perduta per sempre, neppure in grado a volte di comandare i servi del loro stesso palazzo.
I fenomeni centrifughi non debbono tuttavia essere visti come un segno di totale decadenza, che può essere ipotizzata soltanto sul piano politico istituzionale; ma sotto il profilo socio economico e culturale non si assistette ad alcun ripiegamento perchè le periferie erano finalmente in grado di affrontare i loro problemi, troppo spesso trascurati dalla rapacità sfruttatrice del potere centrale, liberando energie propositive a lungo compresse in un impero dalle enorme dimensioni ma non più bene organizzato come agli esordi.
Il drammatico declino califfale è dimostrato dalla rivolta servile che tra l'869 e l'883 squasso il meridione mesopotamico, giungendo a un passo dal conseguire la vittoria finale prima di essere stroncato da uno stremo impegno che costò lutti, risorse e immagine.
Alle contrade di Al-Andalus, logicamente ostili agli Abbasidi sin dal 756 si aggiunsero nell'877 anche quelle dell'Egitto, governato dal turco Achmad Ibn Tulun (835-884) e dai suoi successori, nonché il nord Africa in cui nel 909 si affermò la dinastia sciita degli arabi Fatinidi che spodestarono i sunniti Aghlabidi.

I Fatinidi, diversamente dagli altri sciiti che avevano come campione il cugino del Profeta Alì, si richiamavano a Fatima, figlia di Muhammad. Pur essendo originari della Siria, trovarono terreno fertile per la loro ambizione nell'Africa del Nord, dove i Berberi, ostili al potere Aglabide, risposero con entusiasmo alla loro propaganda clandestina, determinando la vittoria finale fatinide nella battaglia di Al-Urgus nel 909. Per abbattere gli Abbasidi, gli Imam fatinidi dovevano necessariamente muovere verso oriente, conquistare l'Egitto e la Siria e infine aggredire l'Iraq per vibrare il colpo finale. Dopo alcuni tentativi l'Egitto venne infine conquistato nel 968 e la cittadella del Cairo e la moschea/università di Al-Azahr divenne l'anno dopo la capitale e il simbolo spirituale e religioso del nuovo potere.
Mentre la regione nord africana venne affidata ai vassalli Berberi Ziridi, la successiva tappa siriana si rivelò costellata di mille difficoltà, in gran parte causate dall'estrema frammentarietà del quadro istituzionale, etnico, sociale e religioso nel quale si confrontarono sedentari e nomadi, cristiani, ebrei e musulmani, sunniti e sciiti, nonché arabi, turchi, cazari, turcomanni e turchisegiucidi. Questi ultimi dal 1055 diventarono i nuovi potenti protettori del califfo Abbaside in sostituzione deigli sciiti Vuwayhidi che avevano imposto nel 946 la loro tutela a Baghdad.
La potenza selgiucide vanificò il piano dei fatinidi, riuscendo ad allontanarli da Damasco e occupando Gerusalemme, il cui governo fu affidato nel 1086 ad Artuq Ibn Eksev. I Fatinidi riuscirono a prendere con un colpo di mano la Città Santa nel 1098, ma a distruggere per sempre ogni loro speranza sopraggiunsero infine, del tutto inattesi, i crociati. L'aver sottovalutato le motivazioni, le doti di combattenti e l'armamento pesante assai efficiente contribuirono a l'insuccesso selgiucide mentre garanti ai cristiani d'Europa una prolungata fama di invincibilità.
I Fatinidi dovettero rassegnarsi ad attendere tempi migliori e a rifluire verso sud, dopo aver perduto nel 1099 Gerusalemme ad opera dei rozzi ma solidi guerrieri venuti dall'Europa.

La dinastia perse buona parte del favore fino ad allora manifestato dai suoi sudditi cristiani già sotto il dissennato governo dell'Imam Al-Hakim, Imam dal 996, che nel 1009 distrusse la chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme, poi ricostruita dai Bizantini a seguito di un accordo con il successore di Al-Hakim. Il potere di costui si concluse bruscamente grazie a un complotto ordito dalla sorella Sitt Al-Mulk. Il declino fu accelerato da una serie di eccezionali e drammatiche calamità, e si susseguirono tra 1065 e il 1072: carestie, pestilenze e siccità.
Un governo militare molto efficiente, affidato dall'Imam Al-Mustanzir al suo governatore armeno di Acri, Badr Al-Jiamali e, alla sua morte al figlio di questi Al-Afdal rimandò la resa finale dei conti, mentre gli Ziridi si vendevano inaspettatamente indipendente in Africa occidentale, venendo legittimati assai volentieri dal califfo Abbaside, ma subendo le devastanti ritorsioni Fatinidi che gli scatenarono contro i feroci nomadi arabi delle tribù del Banu Sulain e dei Banu Hilal.
Costretti a barcamenarsi tra crociati e zengidi sunniti di Norandino, afflitti da brutali contrapposizioni familiari i Fatinidi dovettero infine accettare dal 1196 il vizirato del curdo Shirkuh, vassallo di Norandino e, poco dopo la sua morte del nipote Salah Al-Din che mise fine alla dinastia Fatinide nel 1171, subito dopo la morte senza eredi dell'Imam Al-Halid.
Da questo compresso e dinamico quadro i califfi Abassidi non trassero vantaggi costretti anzi a subire l'umiliante tutela degli sciiti e, successivamente quella dei turchi selgiucidi di fede sunnita.
Neppure questi però, che pure avevano vibrato colpi decisivi all'Impero Bizantino nella battaglia di Manzicerta (1071) seppero impedire ai Mongoli di Huledu, figlio di Gengis Khan, di mettere a ferro e fuoco l'oriente islamico e di piombare nel 1258 sulla Città della Pace. Baghdad venne interamente distrutta e i cronisti arabi annotarono osservando l'Eufrate gettarsi in mare: "I primi sette giorni l'acqua del fiume diventò completamente rossa di sangue, poi essa diventò nera di cenere; e allora capimmo che le nostre grandi biblioteche erano finite in fumo e con esse era terminata la gloria del califfato".
Con l'uccisione di Mustasim l'istituto califfale morì dopo 626 anni malgrado un suo succedaneo sopravvivesse al Cairo per legittimare il potere dei turchi manelucchi. Rivendicato infine dai turchi ottomani, che misero fine al sultanato manelucco, il califfato rinacque ad Istanbul e sopravvisse fino al 1924 quando venne dichiarato estinto nell'ambito della nuova Turchia creata da Kemal Pascia, o Kemal Apaturk "Padre della Turchia".

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