sabato 22 gennaio 2011

STORIA DELL'ISLAM: IL TRAMONTO DI AL ANDALUS



La brusca fine del califfato Omayyade di Cordoba nel 1031 non comportò la fine della presenza islamica nella penisola iberica ma avviò un processo di lento degrado politico e militare e di corrispettivo progresso del nemico cristiani. Si aprì infatti una fase conosciuta col nome di Reinos de Taifas ("piccoli regni"), che indica l'esperienza storica in cui quel che per un quarto di millennio era stato il poderoso dominio Omayyade, si frammentò in una quarantina circa di piccoli reami, emirati e sultanati. 
Dalle macerie califfali sorsero rapidamente domini musulmani Berberi (Hammudidi di Malaga e Ziridii di Granada, Amiridi di Valencia ecc.ecc.) da notare che l'espressione Reinos de Taifas al cui interno spicca la nozione del vocabolo arabo "taifa" (piccolo stato) meglio di altre considerazioni spiega il profondo dedito contratto nei confronti della cultura e della lingua araba da parte della cultura cristiana-spagnola: in questo caso il volgare castigliano da cui deriva il 20% dell'intero patrimonio linguistico spagnolo.
Gli Amiridi di Valencia si organizzarono a Saragozza in un primo tempo con la dinastia di origine yemenita dei Tuggidivi e successivamente con quella degli Hufivi, mentre a Toledo si impose dal 1028 al 1081 il governo della famiglia dei Dumnunidi, costretta a cedere il potere ai signori di Badajox (gli Afasidi).
A Siviglia si insediarono gli Abbadidi che assunsero per qualche tempo anche il controllo di Cordoba, governata tra il 1031 e il 1069 dai discendenti di Abu Hazm Giahwar. Ne venne fuori una costellazione di "taife" che cercò di farsi legittimare grazie alla generosa protezione di intellettuali e scienziati nella speranza di usufruire della luce generata dalla loro fama.
Gli antagonisti cristiani si organizzarono in modo molto più efficace. All'antico regno Asturiano-leonese si affiancarono presto i regni di Castiglia e di Aragona e la contea di Barcellona mentre il regno di Navarra seguitò a governare le regioni Basche a cavallo dei Pirenei.
La Siviglia Abbaside diventò la più importante metropoli di Al-Andalus allargando i suoi domini a Cordoba (1070) grazie ad Al-Mutalid. La presa di Toledo da parte di Alfonso Vi di Leon di Castiglia ebbe un enorme impatto psicologico sui cristiani non solo perchè si trattava della prima città musulmana ad essere conquistata, ma perchè tornata cristiana l'antica capitale visigota: primo passo per una famosa "Reconquista".
Nel 1078 la popolazione di Siviglia subì l'amara condizione di "tributaria", ma l'inevitabile sgretolamento di Al-Andalus fu impedito dal sultano dei Berberi Almoravidi il cui intervento nel 1086 fu implorato dagli emissari di Siviglia, Cordoba e Granada.
A prolungare la vita dell'Islam iberico sembrò bastare la grossa vittoria di Zalaqa ottenuta il 23 Ottobre del 1086; ma presto anche i musulmani più ottimisti di Al-Andalus si resero conto del carattere non altruistico dell'aiuto prestato da Yusuf Ben-Tashfin emiro degli Almoravidi. I signori più importanti della parte di          Al-Andalus ancora in mano ai musulmani furono rimossi in modo più o meno brutale. Granada e Siviglia nel 1090 e l'anno dopo Cordoba, che aveva tentato inutilmente un'innaturale alleanza con Alfonso VI, vennero conquistate dagli Almoravidi.
Siviglia che era diventata la città più grande di Al-Andalus già dai tempi del crollo Omayyade, fu dotata di una cinta muraria con 7 porte (una delle quali sormontata da una statua della Madonna a dimostrazione di una concreta tolleranza religiosa), edificata per difendersi dalla formidabile progressione militare di Alfonso VI di Leon e Castiglia: tangibile dimostrazione di un'inversione di forze inconcepibile appena un secolo prima, per agevolare la quale la Chiesa aveva esentato i cristiani spagnoli dal partecipare alle Crociate, avendo essi da condurre in casa il loro impegno anti musulmano. 
I nuovi padroni di Al-Andalus ne disprezzavano gli abitanti, ritenuti, con un moralismo che ciclicamente si riaffaccia nel pensiero islamico, del tutto imbelli a causa di una demosciata inclinazione ai piaceri e alle mollezze. Pur avendo reso Siviglia loro capitale, gli Almoravidi le fecero conoscere un periodo di avvilente oscurantismo sottolineato dalla ostilità verso la mistica e dall'imposizione del velo integrale alle donne, da sempre disavvezze ad indossare paramenti del genere. Venne rigorosamente sanzionato il vino, il cui divieto nell'Islam era ampiamente evaso, e vennero vietati la musica e la danza femminile. Tali motivi, assieme ad altri ai musulmani andalusi parvero più che sufficienti per detestare i loro "salvatori"; il contrasto tra musulmani spagnoli ed africani influì negativamente sulla sicurezza delle contrade andaluse, mentre la corruzione raggiunse livelli mai registrati e la cultura languì per l'insopportabile bigotteria dei dominatori Almoravidi. 
Quanto a Cordoba, anch'essa subì un grave processo involutivo e non si è in grado di sapere quanto sotto gli Almoravidi rimase della splendida città dell'epoca Omayyade: essa, per altro poteva ancora vantare sui suoi 5000 ettari di superficie almeno 300 mila abitanti a fronte del mezzo milione del periodo di massimo splendore; le sue abitazioni erano ancora 170 mila e sopravvivevano gran parte delle 80 mila botteghe dell'epoca d'oro del califfato. Nella città si erano conservati i tesori del patrimonio librario delle biblioteche, i centri di studio, oltre la metà dei suoi 600 Hammam e 1000 delle sue 1600 moschee. Circa gli ospedali si sa per certo che era presente sulla riva sinistra del Guadalquivir un grande lazzareto e forse un moderno ospedale all'altezza dei nosocomi esistenti in tutte le grandi città europee. 
 Gli Almoravidi non interruppero la loro spinta espansiva e nel 1099 attaccarono il regno di Saragozza di cui era signore Almuq Tadir, tributario musulmano del regno di Castiglia; e fu combattendo contro gli Almoravidi che cadde il Cid Campeador, Al-Saiyyid Al-Mubariz, il Signore Campione e cioè Rodrigo Diaz de Vivar, eroe leggendario della Reconquista. 
A rovesciare gli Almoravidi provvidero altri musulmani Berberi, anch'essi provenienti dalle regioni nord africane degli Almoravidi, e cioè gli Almohadi dell'emiro Tashfin. Già mossisi nel 1123 per sbarazzarsi degli Almoravidi, da essi giudicati eretici gli Almohadi giunsero in Al-Andalus solo nel 1145, vanamente contrastati dall'emiro Almoravide Muhammad Ibn Ghaniya.
Che gli Almohadi fossero ancor più intolleranti degli Almoravidi se ne accorsero non solo le comunità ebraiche e cristiane nord africane, duramente perseguitate e quasi sterminate dalla furia puritana dei nuovi signori nord africani (si calcola che i morti della loro persecuzione siano stati circa 200 mila), ma gli stessi musulmani di  Al-Andalus.
Il leader militare della conquista Almohade in Spagna era Ibn Tumart, un musulmano che vantava la sua ortodossia anche se, in contrasto con il pensiero sunnita, si riteneva il Mahdi, e cioè il "ben guidato" che i musulmani pensavano dovesse comparire solo alla fine del mondo per restaurare un regno di giustizia e retto dalla purezza del primo Islam. In realtà Ibn Tumart era come gli Almoravidi poco incline a giudicare con indulgenza la dolcezza di vita cui gli andalusi si erano abituati nei secoli precedenti, prima nel califfato Omayyade e poi sotto il breve dominio degli Abbadidi.
Il gioco Almohade fu ben esemplificato dal destino di Ibn Rushd (Averloe) che di Siviglia era Qadi e cioè giudice. La sua dottrina filosofica razionalistica fu infatti giudicata eretica e, se diventò buona sementa per l'occidente latino, in cui l'aristotelismo e l'avverloismo furono volano di progresso intellettuale, le sue opere furono condannate in patria al rogo e lui stesso conobbe l'esilio a Lucerna. Sorte analoga coinvolse il suo concittadino ebreo maimonide che nel 1166, come altri suoi correligionari israeliti, fu costretto con altri suoi correligionari a rifugiarsi in Palestina e nel più tollerante Egitto dei discendenti di Saladino. Una politica tanto ferocemente repressiva non si guadagnò neppure il sostegno dei Berberi andalusi, a dispetto della comune origine etnica e culturale con gli Almohadi. Nel Luglio 1195, gli Almohadi riportarono una squillante vittoria ad Alarcos combattendo contro re Alfonso VIII di Castiglia. Ad essa seguì tuttavia la devastante sconfitta musulmana di Las Navas de Tolosa (16 Luglio 1212), che segnò l'inizio della fine della presenza islamica in terra iberica.
Quasi tutti i domini musulmani furono espugnati dai vari stati cristiani tra il XII e il XIII secolo. Fu questo il destino di Cordoba, Almeria, Badajox, Niebla, Valencia e Saragozza. In particolare Cordoba fu conquistata da Ferdinando III di Castiglia il 29 Giugno 1236: il "Qasr" califfale e cioè il "Palazzo del Potere" diventò l'Alcazar de los Reies Cristianos; le mura cittadine vennero ristrutturate; la splendida moschea, seconda in grandezza di tutto l'Islam, fu trasformata in cattedrale, scampando in tal modo alla furiosa damnatio della Chiesa e della nobiltà cristiana.
Il solo regno musulmano che sopravvisse a lungo fu il sultanato di Granada, ma solo perchè tra il 1237 e il 1492 esso si rassegnò all'umiliante condizione di vassallo del re di Castiglia, il cui zelo anti islamico era frequentemente addolcito dal frequente incasso di sonanti monete d'oro fabbricate a Granada.
Tra la sconfitta musulmana de Las Navas de Tolosa e il Gennaio 1492 passarono 280 anni: periodo assai lungo e straordinariamente produttivo sotto il profilo culturale, pieno di soddisfazioni politiche per i regni cristiani e di amare delusioni per i musulmani. Tre secoli di guerre e tregue, di pesanti tributi e intrighi, di alleanze e di tradimenti, in cui non sempre ne gli schieramenti contrapposti figuravano musulmani da un lato e cristiani dall'altro. 
Il Nerinide Abu Yusuf Yaqub (XIII secolo) rappresentò l'ultima speranza andalusa. Traversato nel 1275 lo Stretto di Gibilterra, egli entrò ad Algesiras, che gli era stata ceduta da Granada nella speranza che quella terza impresa nord africana avrebbe potuto salvarla dai castigliani. La vittoria navale di Abu Yusuf quattro anni più tardi nelle acque di Algesiras sembrò compensare il sultanato Nasride del sacrificio fatto; ma il successivo sovrano Nerinide Abu Yaqub non poté proseguire nell'impresa, perchè egli fu costretto ad affrontare in patria l'ostilità dell'emiro di Tlemcem. Inutile fu anche il più tardo tentativo effettuato dal Nerinide Abu Al-Hasan Alì. La sconfitta subita sul Rio Salado il 30 Ottobre 1340 mise una pietra tombale sulle speranze andaluse di sopravvivenza.
In attesa di un qualche miracolo che risollevasse il franante quadro politico e militare, in Nasridi seguitarono a vivere nel loro splendido palazzo dell'Alhambra (la Rosa, dal colore del materiale usato) fin quando l'ultimo sultano, Abu Abd Allah Muhammad XII, conosciuto come Boabdil dovette cedere all'assedio conclusivo dei re cattolici, e alle loro condizioni di resa non ingenerose (1492).
Non finì tra l'altro in quell'anno la presenza islamica in Spagna cercando di non dare nell'occhio nelle campagne, assolvendo con paziente perizia all'umile lavoro nei campi, i restanti musulmani furono sottoposti a crescenti umiliazioni e a feroci discriminazioni che spesso sfociarono in indiscriminati massacri (sorte peggiore tocco agli ebrei sefarditi che vennero espulsi, costretti alla conversione ma più spesso bruciati vivi nei roghi degli autodafè. La belluina repressione del bieco cardinale Ximenes de Cisneros obbligò molti musulmani alla conversione; e ciò dette modo di forgiare la nuova parola di "Moriscos", fenomeno ben diverso dalla cristianizzazione scelta liberamente dai cosiddetti "Tornalizos"; gli ebrei convertiti si guadagnarono invece il titolo di "Marranos". In questo permanente incubo i musulmani andalusi resistettero per oltre un secolo, fino alla loro definitiva espulsione decretata ai primi del XVII secolo da re Filippo. Si avvantaggiarono nel loro lavoro e delle loro doti il nord Africa e l'impero ottomano mentre la Spagna cominciò a conoscere una drammatica crisi agricola, che desertificò intere regioni e che fu dissimulata soltanto dal parassitario oro americano razziato dai conquistadores negli imperi indigeni del nuovo mondo.

Il tragico epilogo della presenza musulmana nella penisola iberica non può tuttavia cancellare come negli 800 anni della sua durata vi furono spesso proficui scambi e "mescolanze", sia per gli innumerevoli matrimoni misti, talora finiti per motivi politici tra componenti di famiglie regnanti cristiane e famiglie di emiri e di signori dei piccoli regni. Esemplare fu del resto il caso che abbiamo già menzionato del Cid; egli combatté a lungo agli ordini del signore Hudide di Saragozza, Al-Muqtadir (tributario musulmano del regno di Castiglia), a dimostrazione che i diversi orientamenti religiosi cedettero spesso il passo alle ambizioni politiche.
Del resto non pochi mercenari si fecero assoldare da sovrani di fede opposta alla loro. Il Cid Campeador non fu l'unico esempio, perchè fanti cristiani combatterono per Almanzor e altri musulmani operarono per i re cattolici nel loro ultimo assalto a Granada, i cui sultani d'altronde avevano cercato di allearsi nel XIV secolo con Sancho IV di Castiglia contro i loro soccorritori Merinidi.
Le commistioni tra i due mondi furono tali e tante da creare la Aljamiada (dall'espressione araba che significa unire): una lingua ibrida, latina per struttura grammaticale ma lessicalmente araba. Le innumerevoli traduzioni approntate in Spagna, specialmente nell'università di Toledo (fondata dall'arcivescovo Raimondo e attiva tra il 1130 e il 1187), sono fondamentali per il mondo latino europeo, che poté riaccostarsi alle opere innumerevoli della sapienza greca e per conoscere quella persiana e indiana rivisitate dalla cultura arabe.
L'autore del Novellino, Dante Alighieri, Tommaso D'Aquino e Cristoforo Colombo sono in qualche misura condizionati anche da quanto realizzato in Spagna da colpi poliglotti musulmani, ebrei e cristiani, inconsapevoli attori dell'epilogo di un era troppo ingenerosamente definita buia, mentre era il preludio dell'esaltante fase del Rinascimento. 



1 commento:

  1. Proficui scambi ?http://www.nytimes.com/2003/09/27/arts/was-the-islam-of-old-spain-truly-tolerant.html

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