Nel post pubblicato ieri abbiamo citato Mohamed El-Baradei già premio Nobel per la pace nel 1964 per l'onestà e la fermezza con cui, nonostante le pressioni e le minacce americane, diresse alla commissione dell'ONU che doveva indagare sul possesso "di armi di distruzione di massa" da parte dell'Iraq di Saddam e successivamente sul preteso "riarmo atomico" dell'Iran.
"Gli Usa e l'Europa abbandonino i regimi che hanno sostenuto"
"Due mesi fa in Egitto si sono svolte elezioni parlamentari truccate. Il partito del presidente Hosni Mubarak ha concesso all'opposizione soltanto il 3% dei seggi. La Casa Bianca si è detta "costernata". Beh, trovo stupefacente che l'America si limiti a esprimere "costernazione": un termine del tutto inadeguato a descrivere i sentimenti del popolo egiziano".
"Poi, mentre le proteste si ingrossavano ricalcando quelle tunisine, ho sentito il segretario di stato Hillary Clinton dichiarare che il governo in Egitto è "stabile e impegnato nella ricerca di una via per rispondere alle legittime necessità e agli interessi del popolo egiziano". Sono sbigottito e perplesso. Cosa intende la Signora Clinton per "stabile"? E a che prezzo? Si riferisce forse alla stabilità di 29 anni di legge di "emergenza", a un presidente con un potere imperiale da 30 anni, a un parlamento che è quasi una barzelletta, a un sistema giudiziario privo di ogni indipendenza? Tutto questo si chiama stabilità? No davvero!"
"Per chi cerca di capire perché gli Stati Uniti non godano di alcuna credibilità in Medio Oriente, questa è la risposta. La gente è rimasta profondamente delusa da come la Casa Bianca ha reagito alle ultime elezioni egiziane. Una volta di più, infatti, ha ribadito che usa due pesi e due misure con i propri "amici", e si schiera con un regime a dir poco autoritario solo perché crede che rappresenti i propri interessi. Assistiamo alla disintegrazione sociale, alla stagnazione economica, alla repressione politica; però ne americani ne europei pronunciano una sola parola".
"Perciò quando sento dire dalla Clinton che il governo egiziano sta cercando un modo per rispondere alle richieste della popolazione, io ribatto: "E' troppo tardi". Non è nemmeno una buona Realpolitik. Abbiamo visto la Tunisia, e prima ancora l'Iran. Ci fanno capire che non può esistere stabilità se non è il popolo stesso a scegliere liberamente il proprio governo".
"Ma certo, l'Occidente crede ciecamente che il mondo arabo non abbia altra opzione che quella dei regimi autoritari da contrapporre ai regimi "Jihadisti". Ciò è falso. Se parliamo di Egitto, c'è un arcobaleno di personaggi laici, liberali, fautori del libero mercato: se solo potessero organizzarsi, eleggerebbero un governo moderno, moderato e democratico".
"Invece di equiparare sempre l'Islam politico ad Al Qaeda, guardate meglio: l'Islam è stato snaturato pochi decenni dopo la morte del Profeta e interpretato affinché chiunque regni goda di un potere assoluto, e che risponda soltanto a Dio; e per la verità, in questo il mondo islamico non è stato molto diverso dal mondo cristiano europeo, se non per il fatto di avere una ben maggiore tolleranza religiosa. Ma in Europa occidentale e negli Stati Uniti la democrazia è stato un frutto che ha tardato molto a nascere ed è costato immensi sacrifici, guerre rovinose e grandi lotte popolari".
"Un gruppo di musulmani egiziani ultra conservatori ha emesso una fatwa, un editto contro di me, esortandomi al pentimento per aver fomentato l'opposizione a Mubarak e dando licenza al governo di uccidermi. in questo modo ripiombiamo nel più profondo Medioevo. Che nessuna parola si sia levata dal governo egiziano non deve meravigliare; ma nemmeno una voce si è levata tra gli "appassionati" difensori dei diritti umani in Occidente".
"Eppure speravo in un cambiamento con metodi pacifici. Abbiamo raccolto un milione di firme per una petizione a favore di riforme democratiche. Il regime ci ha ignorato. Ora i giovani hanno esaurito la pazienza quel che oggi accade in Egitto è stato organizzato da loro soltanto con le proprie forze. Io sono rimasto fuori dal paese perché ho ritenuto che fosse l'unico modo per essere ascoltato. Ma ora torno, e scendo anche io in piazza. Non vi sono alternative. Per la gente non è più possibile collaborare col governo di Mubarak che ha 82 anni ed è al potere da 30. E' giunta l'ora di cambiare. Gli egiziani hanno abbattuto il muro della paura e nulla potrà più fermarli".
Mohamed El-Baradei
Le parole di Baradei non hanno bisogno di un lungo commento. E' stata una regola non scritta ma inossidabile ad orientare da sempre le politiche occidentali verso i regimi post coloniali in Africa e in Medio Oriente: "Meglio un dittatore amico che il caos fondamentalista". Quel che l'Occidente non ha mai avuto il coraggio di confessare è tuttavia un'altra regola: "Meglio un dittatore che un governo democratico non amico". Seguendo questa regola non scritta e nascosta dalla sua ipocrisia l'Occidente ha regalato ai paesi arabi tiranni della peggiore specie, gli ha vezzeggiati e sostenuti in ogni modo evocando sempre lo spettro del fondamentalismo islamista (fingendo oltretutto di dimenticare che quest'ultimo è nato e cresciuto con il suo appoggio per combattere il "comunismo".
Che siano capi di governo o grandi aziende a volte più influenti dei governi, i leader americani ed europei distinguono accuratamente tra principi ideali e prassi reale. Pur proclamando ideali eterni e universali, gli ignorano qui e ora, in nome della "sicurezza nazionale". Contro il terrorismo e contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa, per aver garantiti gli approvvigionamenti energetici, l'importante non è la qualità del regime cui ci si appoggia, ma il risultato immediato conseguito. Non credo che i governanti dell'Occidente abbiano cambiato idea; ma forse cominciano a dubitare della fondatezza delle verità sostenute, perché sono i fatti che stanno cambiando in modo tale e tanto rapido da mettere in discussione decenni di doppiezza ed ipocrisia. Forse debbono cominciare a pensare che non è davvero utile aggrapparsi a regimi che rischiano di essere spazzati via dalla lotta popolare. I governi occidentali hanno ancora la possibilità di influenzare gli eventi: o mantenere lo status quo o, peggio sostenerlo, magari alimentando lo spettro che più dicono di tenere.
Quasi nessuno si aspettava il rapido crollo del regime di Ben Alì. Fino a un minuto dopo la sua fuga il governo francese e quello italiano sembravano paralizzati all'idea che lo scenario introiettato per decenni in un'area relativamente minore della sfera di influenza nord africana non vigesse più. Ma la scintilla tunisina rischia ormai di incendiare l'intera regione. Nessun regime autocratico arabo si sente più al sicuro, a cominciare da quello più strategico, l'Egitto: uno stato autoritario con una sottile vernice pseudo democratica, con 80 milioni di abitanti di cui milioni di giovani senza lavoro e senza futuro, ostaggi del trentennale regime di Mubarak. Garante ben remunerato degli Stati Uniti e di Israele contro la pericolosa "deriva islamista" incarnata dai "fratelli musulmani". Mubarak poteva credere con fondamento fino a ieri di poter trasmettere il suo scettro al figlio Gamal, in omaggio al principio della successione dinastica. Come un faraone di altri tempi. Questa prospettiva è oggi del tutto improponibile. E le rivolte di piazza che hanno rovesciato Ben Alì in Tunisia e oggi scuotono dalle fondamenta il regime egiziano dilagano in tutto il Mediterraneo: dall'Algeria alla Mauritania, dal Libano all'Albania; ma non mancheranno di scuotere il potere quarantennale di quel colonnello da burla a nome Gheddafi in Libia, fidato partner di Berlusconi e complice della criminale politica contro gli immigrati voluta dalla Lega di Bossi.
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