domenica 23 gennaio 2011

ULEMA E SUFI

Queste informazioni sono prese da Wikipedia:


Gli ulema (arabo: علماء, `Ulamā, singolare `Ālim) sono i dotti musulmani di "scienze religiose" (‘ulùm al-diniyya). In area iranofona il termine maggiormente usato è quello di mullā o mollā che deriva dal termine arabo "mawlā", da tradurre come 'signore' o 'maestro': termine con cui ci si rivolge ai dotti musulmani.
Letteralmente il termine significa "sapienti, dotti, saggi" ma la loro scienza non è quella delle cosiddette scienze esatte bensì quella, ritenuta dall'Islam più significante, della conoscenza della Volontà di Dio, il più delle volte difficile da penetrare.
Di conseguenza al termine non può riferirsi il filosofo (Faylasuf), che ama certamente indagare con le armi del raziocinio, nel convincimento che la ragione umana possa giungere a comprendere in tutto o in parte il Mistero divino: concezione contro la quale si esprime tuttavia la stragrande maggioranza dei musulmani che considera questo iter gnoseologico (conoscitivo) assai improbabile, se non addirittura impossibile, secondo lo stesso principio che guidò, prima della Tomistica, i teologi cristiani - tra cui Giovanni Scoto Eriugena - che affermavano l'inconoscibilità di Dio se non per Grazia ricevuta. Tale cammino gnoseologico può e deve invece avvenire (secondo i dotti) solo percorrendo e applicando alla lettera la Rivelazione, senza mai discostarsene in modo marcato, sia pure a livello d'interpretazione, aprendo le porte alle correnti "fondamentalistiche" e "letteralistiche" dell'Islam.
Studi del Corano e della Sunna (che insieme formano, sotto un profilo giuridico, la Sharì'a) sono quelli che formano la conoscenza della Via che Dio impone all'uomo di percorrere. Quanti si rifanno al misticismo - che, in ambito islamico, meglio sarebbe definire "esoterismo" (sufismo) - o, appunto, alla filosofia, non sarebbero quindi tecnicamente definibili ‘ulamā’.


Il Sufismo o Tasawwuf (arabo: تصوّف‎ - taṣawwuf ) è la forma di ricerca mistica (da Mysticos, cioè "pertinente l'iniziazione") tipica della cultura islamica.
Il sufismo viene a volte definito come l'unione antica del Cristianesimo e del neoplatonismo, che diede vita ad una forma di ricerca interiore, il misticismo dell'Islam.
Il sufismo è la scienza della conoscenza diretta di Dio; le sue dottrine e i suoi metodi sono derivati dal Corano, anche se il sufismo utilizza concetti derivati da fonti tanto greche come persiane antiche e indù. Comunque, nonostante le idee prese in prestito da culture e religioni precedenti, si può affermare che l'essenza del sufismo sia prettamente islamica.
Il termine arabo "tasàwwuf" deriverebbe dalla lana (in arabo sùf) con cui erano intessuti gli umili panni dei primi mistici musulmani che per questo vennero chiamati "sufi", ma un'altra etimologia si rifà al vocabolo suffa, "portico" antistante la casa-moschea di Muhammad a Medina, sotto il quale si raccoglievano alcuni pii musulmani, ospitati volentieri dal Profeta per la loro povertà che s'accompagnava a un atteggiamento assai pio. Altri riconducono il termine all'arabo safà' (purezza) o si richiamano alla collocazione dei sufi 'in prima fila' ( saff al-àwwal ) al cospetto di Dio.
Il tasàwwuf - che ha in sé, forte, il concetto dell'esoterismo (da cui andranno però espunti i cascami ideologici che spesso al termine s'accompagnano) - è fenomeno trasversale e diffusissimo nell'Islam, per quanto poco avvertibile all'occhio laico a causa della grande riservatezza osservata dai praticanti. Il suo grande successo, come nell'Ebraismo, deriva in modo tutt'altro che secondario dalla particolare struttura fideistica delle due religioni semitiche, entrambe convinte della letterale Rivelazione ai Suoi profeti da parte di Dio della Sua precisa volontà.
Il tasawwuf è particolarmente diffuso nel sunnismo e assai meno nello sciismo, in cui sono attive infatti solo due confraternite islamiche, la Ni'matullāhiyya e la Dhahabiyya, a fronte delle decine di confraternite sunnite tuttora operanti. Ciò dipende essenzialmente dal fatto che, per conoscere Allah e la Sua volontà, lo sciismo può stabilmente contare sull'attiva opera dei suoi dotti che, se non costituiscono un formale sacerdozio, come il resto dell'Islam, hanno acquistato però un incontestabile profilo di tipo clericale per il fatto che i loro ulema di maggior dottrina, e in particolar modo i marja' al-taqlid, sono ispirati in modo ineffabile dall'"imam "nascosto".
Nell'Islam sunnita la totale mancanza di sacerdozio e di una classe di tipo clericale che possa assolvere alla funzione intermediatrice fra Dio e le Sue creature comporta una ricerca di Dio e della Sua volontà assai più faticosa e rischiosa. È dunque perfettamente normale, legittimo e doveroso per il sufismo che il musulmano ricerchi personalmente quale sia la volontà di Dio, obbedire alla quale permette di evitare il peccato che, nell'Islam, altro non è se non la disubbidienza alle Sue disposizioni (tant'è vero che muslim, "musulmano", significa proprio "chi si assoggetta alla Volontà di Dio").
Un metodo che si può validamente affiancare al recepimento di quanto suggerito dagli ulema è perciò quello dell'indagine personale, da conseguire tramite una lunga disciplina spirituale e mentale che - senza far trascurare lo studio della dottrina esoterica ufficiale - possa aprire la Via esoterica verso Dio (il termine tarīqa ha questo significato, oltre a significare confraternita islamica), per imboccare e percorrere la quale sarà necessaria l'opera educativa di un Maestro che funga da "guida".
Il sufismo rappresenta l'atteggiamento più individualistico della pietas musulmana, la quale si è manifestata, oltre che in questa forma mistica, anche come protesta - con gli sciiti - e in forme più storicizzate, come nell'opposizione delle sette religiose contro i marwanidi, fedeli a Marwan ibn al-Hakam, califfo in Siria dal 684 al 685 imposto dalle tribù dei Kalb al posto di Abd Allah ibn al-Zubayr. Dato che quest'ultimo era il legittimo successore di Yazid I, Marwan fu da alcuni considerato un anti-califfo e pertanto contestato.
Il sufismo è la scienza della conoscenza diretta di Dio; la sua dottrina e i suoi metodi derivano dal Corano, ma il sufismo fa anche libero uso di concetti e paradigmi derivati da fonti greche e hindu.
Dalla shahada, uno dei pilastri dell'Islam, ovvero la percezione che solo la Realtà Assoluta è reale, principio informatore dell'Islam, discende la coincidenza di questa Realtà Assoluta con l'intera creazione e ciò dà ragione dell'essenza sostanzialmente islamica del sufismo, malgrado tutte le influenze provenienti da altre culture. È vero che certe scuole di pensiero, persiane in particolare, svolsero una funzione di catalizzatore delle potenzialità mistiche dell'Islam. Ma il sufismo resta il "vero" cuore dell'Islam e lo si ritrova in tutto il mondo islamico come la più pura dimensione interiore.
Il sufismo conservò il suo carattere di pietas individuale anche quando il pensiero filosofico fu integrato all'Islam. Comunque, per i sufi, il grande e unico maestro resta il Profeta Maometto, che trasmise ai suoi compagni la baraka (che significa 'benedizione') ricevuta da Dio; questi a loro volta la tramandarono alle generazioni successive, creando così la catena iniziatica, la cosiddetta silsila. Tutti gli autentici ordini sufi sono legati l'uno all'altro in questa catena.
Le riunioni spirituali sufi sono così descritte, con parole attribuite al Profeta: "Chiunque si riunisca con altri per invocare il nome di Dio, verrà circondato da angeli e dal furore divino, la pace scenderà su di loro e Dio ricorderà questa assemblea".
Nella silsila dei sufi, anche Ali, cugino e genero del Profeta Muhammad, ha un ruolo fondamentale, indipendentemente dalla sua importanza come primo Imam degli sciiti. Viene infatti considerato fonte di dottrina esoterica subito dopo il Profeta, ma soprattutto è portatore di una concezione particolarmente intensa della pietas musulmana, insieme alla nobiltà d'animo e alla profonda conoscenza che distinguono gli sciiti dai sunniti, almeno nella loro autopercezione.
Storicamente, i sufi si sono raggruppati in organizzazioni chiamate tawaʾif (pl. di taʾifah) e anche, con un termine più conosciuto, turuq (pl. di tarīqa, "via"). Il termine tarīqa è ormai un vero e proprio termine tecnico che sta ad indicare la via esoterica dell'Islam.
Turuq sono pertanto le congregazioni di discepoli o confraternite islamiche che si riuniscono intorno ad un maestro per prendere parte agli esercizi spirituali (majālis) nei cenobi, denominati secondo la posizione geografica ribat, zāwiya, khānaqa, o tekke.
Alcune delle congregazioni più famose risalgono ai secoli XII e XIII, ma ne esistono anche di moderne.
Da una prima fase in cui l'esperienza sufi restò caratterizzata da un forte individualismo (Rābiʿa al-ʿAdawiyya, Maʿrūf al-Kharkhī, al-Hārith al-Muhāsibī, Dhū l-Nūn al-Misrī, Sahl al-Tustarī, al-Junayd ibn Muhammad), si passò verso il XII secolo alla creazione di turuq, con un numero più o meno ampio di discepoli (murīd, pl. murīdūn ) radunati attorno a un Maestro (shaykh in arabo, pir in persiano - che significano entrambi "anziano" - e dede in turco, lett. "nonno").
Di esse si ricordano in particolare la Qādiriyya, fondata nel XII secolo da ʿAbd al-Qādir al-Gīlānī; la Suhrawardiyya, fondata nel medesimo secolo da [Omar Suhrawardi e suo zio paterno Abu l-Najib Suhrawardi, da non confondere con Shihabbodin Yahya Suhrawardi, Shaykh al-Ishraq, la cui posterità è rappresentata dall'ordine degli Ishraqiyun (benché la loro comunità non abbia un'organizzazione esteriore)]; la Rifa'iyya, fondata da Ahmad al-Rifāʿī ancora nel XII secolo come la Kubrawiyya, fondata da Najm al-Din Kubra, la Shadhiliyya, fondata da Abū l-Hasan al-Shādhilī nel XIII secolo, la Mawlawiyya, fondata nel XIII secolo da Jalāl al-Dīn Rūmī di Konya, nota per i suoi dervisci roteanti; la Cishtiyya fondata da Muʿīn al-Dīn Cishtī e, forse la più vivace negli ultimi tempi, la Naqshbandiyya, fondata da Bahā al-Dīn Naqshbandī, entrambe queste ultime attive dal XIII secolo. Altri rami si sono innestati su quelli principali, è il caso della "Jarrahiyya" fondata da Nur al-Dīn al-Jarrāhī (1678-1721) - riforma dell'ordine "Khalwatiyya" (da cui la denominazione Jerrahi Halveti) fondata da ʿUmar al-Khalwatī o, secondo altri, da Muhammad ibn Nūr al-Bālisī o, ancora, da Yahyā al-Shirwānī al-Bākūbī[1].
Il primo grande nome di sufi è quello di Hasan al-Basri (642-728). Di lui nulla ci è pervenuto, se non tramite le citazioni di altri autori. Nato a Medina, figlio di un mawla, si stabilì a Bassora, dove divenne famoso per la sua profonda preparazione culturale e attrasse a sé molti seguaci e studenti. Era l'epoca omayyade e la sua mente fu un crogiolo di intuizioni teologiche, mistiche e giuridiche che, più tardi, sarebbero confluite in discipline diverse. È una figura importantissima nella trasmissione dei vari hadith, perché aveva conosciuto personalmente il Profeta. Gran parte delle catene iniziatiche sufi passano per lui. È anche famoso per aver affermato che il mondo è un ponte sul quale si passa, ma su cui non conviene costruire nulla. Le prescrizioni da lui dettate ai discepoli erano particolarmente severe e improntate a una rinuncia quasi totale del mondo e dei beni terreni, al superamento delle passioni e alla ricerca di una vita moderata. Grande sostenitore del digiuno, si dice che si stupisse non di come la gente si perdeva, ma di come potesse essere salvata.
Altri nomi di sufi famosi sono al-Junayd (m. 910), al-Gilani (m.1166), Abu Madyan (m. 1198) e l'imam al-Shadhili (m. 1258). Quest'ultimo escogitò un approccio intellettuale al sufismo.
Altri grandi teorici furono Ibn Arabi, del secolo XIII, le cui capacità dialettiche non riuscirono a scalfire minimamente l'intensissima dimensione spirituale espressa dal Hasan al-Basri; Gialal al-Din al-Rumi, al-Jili, al-Ghazali, Ibn Ata Allah Iskandari: tutti costoro hanno lasciato abbondante materiale scritto accanto agli insegnamenti orali, da cui è possibile desumere la dottrina sufi nella sua interezza.
L'uomo di punta del sufismo fu comunque al-Ghazali (m. 1111), il grande teologo dell'Islam, al contempo giurista e sufi riconosciuto. Nella sua opera al-munqidh min al-dalal (il salvatore dall'errore) descrive il proprio interesse per il sufismo in questi termini: "Quando rivolsi il mio interesse verso il sufismo, sapevo che non avrei potuto percorrerlo tutto senza sperimentare sia la dottrina che la pratica e che il senso fondamentale di tale insegnamento consiste nel superare gli appetiti della carne, liberandosi da ogni cattiva disposizione e brutta qualità. Solo così, infatti, il cuore è libero di essere posseduto da Dio. Sapevo anche che il mezzo per liberare il cuore da ogni male è il dhikr Allah e la concentrazione di ogni pensiero su di Lui. Ciò che accadde fu che la dottrina mi risultò più semplice della pratica, cosicché cominciai ad imparare le regole dei loro libri e i detti degli sheikh, finché ne seppi a sufficienza e mi resi perfettamente conto che ciò che è veramente caratteristico di questa dottrina non può essere imparato, ma può solamente essere raggiunto per esperienza diretta e immediata, attraverso l'estasi e la trasformazione interiore. (...) non c'era modo di raggiungere la conoscenza vera del sufismo se non conducendo una vita mistica. Ma gli interessi mondani mi pressavano da ogni parte."
A questo punto della sua vita, al-Ghazali si confina per due anni in una stanza della moschea maggiore di Damasco, lasciando ogni cura del mondo: insegnamento, figli e amicizie. Il munqidh min ad-dalal descrive questa ricerca interiore, mentre la Ihyāʾ ʿulūm al-dīn (La rivivificazione delle scienze religiose) è la sua summa sulle religioni. Al-Ghazali giungerà alla conclusione che i sufi sono i veri eredi del Profeta, essendo gli unici che potevano raggiungere la conoscenza diretta di Dio, ma questa conoscenza era viabile solo attraverso la mediazione della teologia e della legge. Perciò egli ne divenne il più strenuo sostenitore. Grazie a lui, l'islam risolse la contraddizione intellettuale esistente tra mistica, teologia e questioni legislative.
La grande diffusione del sufismo non è tuttavia sempre vista di buon occhio dai musulmani ortodossi che ne sospettano talora una deriva antinomistica che porterebbe a trascurare il dispositivo formale della Legge religiosa in modo considerato arbitrario e peccaminoso.
Da qui l'ostilità di alcuni ambienti teologico-giuridici islamici ufficiali. Innanzi tutto di alcune propaggini del neo-hanbalismo che sottovalutano come Ahmad ibn Hanbal (m. 855), il fondatore della scuola giuridico-teologica che da lui prende il nome, fosse tutt'altro che ostile all'ambiente sufi, o che il hanbalita Ibn Taymiyya - vissuto in età mamelucca e considerato oggi come il massimo ispiratore dei movimenti "fondamentalistici" islamici - fosse anch'egli non sfavorevole a un'equilibrata pratica sufi, e che alcune sue dure prese di posizione contro il sufismo riguardavano essenzialmente chi maggiormente indulgeva a esagerazioni comportamentali (shatahāt) che scandalizzavano e scandalizzano ancor oggi il mondo sunnita ufficiale.
Il sufismo ha prodotto nei secoli una letteratura pressoché sterminata che si è espressa principalmente nell'ambito della letteratura araba e della letteratura persiana, ma ha trovato espressione anche in molte altre lingue (turche, indiane, maleo-indonesiane ecc.). Tra i generi coltivati si annoverano: i libri devozionali (preghiere, meditazione, esercizi spirituali ecc.); i testi agiografici, contenenti le biografie e le sentenze dei sufi più noti; i testi che illustrano le dimore o stazioni della via spirituale; infine, i trattati teorici di vario argomento, spesso di natura apologetica. Un'altra tipica espressione del sufismo è nella letteratura in versi che annovera poeti di prima grandezza sia di espressione araba (Ibn al-Farid, Ibn 'Arabi) che persiana (Farid al-Din al-Attar, Rumi, Hafez, Gohar Shahi).

1 commento:

  1. Grazie mille, jAk, una perfetta sintesi ed una valida introduzione per programmare studi successivi.

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