lunedì 31 gennaio 2011

STORIA DELL'ISLAM - L'IMPERO MOGHUL


Già nell'VIII si erano verificate invasioni islamiche in India, per lo più provenienti dall'Afghanistan; dall'inizio del XIII secolo prevalse tra gli altri il sultanato di Delhi (1206-1526), governato da una dinastia militare afghano-turca. L'Islam in India si distinse comunque fin dall'inizio per una grande varietà di comunità e gruppi legata agli insegnamenti, alle scuole, alle confraternite sufi e a singoli sceicchi.
Naturalmente l'Islam mostrò anche in India i tratti essenziali del modello degli ulema e dei sufi, pur non possedendo una classe dirigente musulmana compatta ne una comunità musulmana uniforme perchè qui i musulmani affrontarono la nuova esperienza di essere e di restare una minoranza, che dominava su una popolazione mai interamente convertita o tenacemente legata alle antiche religioni induiste. 
I sufi diventarono con il tempo l'elemento dominante, sia perchè erano sostenuti dall'autorità statale sia perchè in essi gli indù riuscivano a riconoscere i propri uomini santi o guru. La filosofia mistica di Ibn Arabi (1165-1240) corrispondeva molto alla mentalità indiana che insegnava infatti l'unità di tutto l'essere. Furono i sufi a impegnarsi più a fondo nell'integrazione nella vita islamica della lingua hindi, della musica e della poesia, a differenza degli ulema vincolati all'uso dell'arabo. L'hindi diventò la loro lingua corrente; essi ispirarono anche la nascita della lingua urdu, una versione dell'hindi che diventò la lingua musulmana in India ed è oggi la lingua ufficiale del Pakistan. I sufi mantennero anche una spiccata distanza critica nei confronti del potere, mentre gli ulema lo seguirono spesso in qualità di giudici, funzionari e insegnanti.
Nel XIV e nel XV secolo si diffuse in India una forma spiritualizzata di monoteismo, da cui provenne il guru Mamak, fondatore della religione dei Sikh. La sua grande visione portò al tentativo di unificare indù e musulmani sulla base di un monoteismo libero da immagini e legato alla dottrina della rinascita (Dio al di là di tutte le forme); il progetto ebbe successo solo in alcune regioni del paese ed infatti la corrente Sikh si diffuse soprattutto in Tunjab. Il tempio dorato di Amritsar divenne il suo santuario principale e la l'Abi Granth (primo libro), costituito per lo più da poesie e inni dei guru, si affermò come sacra scrittura.
Il regno indiano dei Moghul venne fondato all'inizio del XVI secolo durante le lotte per il dominio del sultanato di Delhi da Zahir Al-Din Muhammad Babur, un turco discendente in linea paterna da Tamerlano e per parte di madre da Gengis Khan, conquistatore insaziabile ma anche letterato molto sensibile: le sue memorie "Il libro di Babur" entreranno nella letteratura mondiale come una delle opere in prosa più belle e più ricche di contenuto. Nel 1504 Babur conquistò Kabul, nel 1506 Kandahar e nel 1526 l'intera India del nord, grazie a una cavalleria e una tecnica militare di qualità superiore. Dopo la caduta di Agra egli si fece proclamare imperatore dell'Hindustan nella mosche di Delhi, ma morì dopo soli quattro anni.
L'imperatore Moghul più significativo nell'India diventò dopo un periodo di disordini suo nipote Akbar il Grande (1542-1605). Egli spinse l'espansione territoriale a sud e a est con incalcolabile spargimento di sangue, e già a 34 anni si trovò a controllare un regno comprendente tutta l'India del nord fino a metà della penisola del Deccan. Akbar non fu solo un grande condottiere ma seppur fosse analfabeta fu anche molto efficiente nella rigida organizzazione dell'amministrazione, delle finanze, del sistema fiscale e dell'esercito che rimase sotto il suo diretto comando; anche l'arte e la scienza godettero del suo sostegno.
Akbar era stato educato da un guru, sposò a 19 anni una principessa indù durante un pellegrinaggio a Jaitur; la moglie poté continuare a praticare il proprio credo religioso e Akbar l'accompagnò addirittura a pregare nel tempio induista. Presto Akbar, grazie a una ineguagliata tolleranza nella sua politica religiosa, tentò un compromesso tra la piccola minoranza dominante dei musulmani e la grande maggioranza degli indù, vietò di ridurre in schiavitù i prigionieri di guerra, abolì le imposte pro capite, ammise gli indù alle cariche pubbliche. Per i molti popoli dell'India tra loro diversi non fu istituita una cultura esclusivamente islamica, ma una cultura cosmopolita che sviluppò uno stile indo-islamico anche nella pittura, nella musica, nella letteratura e nell'architettura. In breve la politica religiosa di Akbar fu "Pace per Tutti": le religioni del regno dovevano seriamente considerarsi tra loro come partner di egual valore che aspiravano alla loro conciliazione comune. Akbar espresse tutto ciò dando spazio a diversi simboli religiosi nella sua città palazzo a Ferehpur Sicri ad ovest di Agra. Dal 1575, nella "Casa del servizio divino" maestri delle varie religioni ebbero la possibilità di spiegare le proprie fedi e di discutere tra loro.
Questa politica tollerante venne criticata dai circoli degli ulema che uscirono spesso sconfitti nelle discussioni su questioni teologiche e pratiche. Akbar voleva essere un musulmano fedele al Corano: rafforzato da una profonda esperienza spirituale egli credeva in un unico Dio che può manifestarsi anche in altre religioni. Alle discussioni dei saggi musulmani, indù, giainisti e parsi presero parte anche missionari gesuiti di grande spessore intellettuale, che eressero presso la corte una propria cappella in cui potevano predicare e fare apostolato.
Sempre più pressato da esperti di religioni tradizionali in occasione di una disputa giuridica riguardante una controversa condanna a morte, Akbar si fece rilasciare dai sapienti un certificato che gli dava il diritto di decidere nelle dispute in qualità di ispettore della comunità dei credenti. Sicuro di sé, già da tempo legato a un ordine sufi, egli fondò a 40 anni un ordine mistico proprio ("Essere Uno Divino") al servizio di un'unica religione formata da elementi dalle religioni da lui conosciute. Gli ultimi anni dell'imperatore furono oscurati dalla ribellione del proprio figlio Salim. Akbar morì il 25 Ottobre 1605 dopo una grave malattia durata poche settimane. Egli aveva regnato quasi 50 anni e la sua influenza continua ancora oggi nell'ambito dei dialoghi inter-religiosi. La storia dell'umanità lo chiama a ragione "il Grande".
Akbar non si interessò mai a una legge che regolasse l'intera vita. La sua élite politico-militare era formata da Afghani, Iranici, Turchi, Arabi e Indù; non era determinante la religione, ma la lealtà. La sua religione di unità non doveva essere imposta e i membri degli ordini religiosi, grazie al loro legame con il sovrano, restarono un fattore importante per il mantenimento della dinastia Moghul. Nella sensibilità popolare indiana i confini tra i musulmani e indù restarono indefiniti; sembrava a molti che Dio fosse al di là della distinzione tra mosche e tempio e che si celasse in ogni forma. Sotto Akbar e i suoi discendenti Gahangir e Shah Jahan nacquero ad Agra e a Delhi le più costruzioni in assoluto dell'arte islamica, testimoni di un incantevole cultura di corte indo-persiana. Il nipote di Akbar, Shah Jahan, costruttore del Taj Mahal, sepoltura per la sua amata moglie e ancora oggi una meraviglia mondiale per l'architettura, inclinò più verso la legge islamica che verso il sufismo; tra la passione per le costruzioni e le enormi spese per la corte e l'esercito, oltre al disinteresse per i problemi dell'economia causarono presto serie difficoltà sociali. 

Il sistema classico del regno Moghul riuscì comunque a mantenersi fino all'oscuro regno di Aurangzeb (1658-1707). Sotto di lui il regno Moghul raggiunse la sua massima espansione ma andò anche incontro a una grave crisi economica. Aurangzeb intravide la salvezza nella rigida adesione ad una disciplina regolata dalla Sharia. Al posto di un'equiparazione dei diritti degli indù stabilì un esplicito dominio islamico, ma la sua crescita fu parallela a quella del regno indù sempre più potente dei Maratha, che prestò sarà un suo degno rivale. Aurangzeb odiava eretici e infedeli, evitava più possibile le feste indù ed escluse di nuovo gli indù dalle funzioni pubbliche combattendo sia gli sciiti che i sikh, i cui capi furono addirittura giustiziati. Egli vietò l'alcol, i giochi, la prostituzione e persino la musica a corte, ma soprattutto ordinò la distruzione di tutti i templi indù della regione. In questo modo il regno Moghul rimase prigioniero dal punto di vista religioso del più rigido schema medievale degli Ulema e dei Sufi, nonostante le sue paradossali pretese di modernità. Naturalmente si giunse presto alle rivolte degli indù e dei guerriglieri sikh che nel Punjab aspiravano ad un proprio stato e che per mezzo secolo riuscirono anche a ottenerlo con Lahore. Sul letto di morte il sovrano ammise il suo fallimento. Il superbo regno Moghul si trovava ormai in una condizione deplorevole e presto si sbriciolò in numerosi regni feudali.
Le forze coloniali europee si stavano preparando a sottomettere l'India. Dopo i portoghesi nel XVI secolo e gli olandesi nel XVII secolo, arrivarono i francesi e soprattutto gli inglesi. La compagnia delle indie orientali arrivò in India dal 1600 come organizzazione commerciale e riuscì ad accelerare la colonizzazione britannica nel XVIII secolo. Il primo metodo seguito dagli inglesi fu quello di tentare una pacifica convivenza con le popolazioni dell'India, non si opposero mai ai matrimoni misti, non operarono tentativi di conversione al cristianesimo ne adottarono comportamenti di razzistico aparteid, arrivando addirittura ad adottare il vestiario, gli arredi domestici e perfino le forme architettoniche dell'India contemporanea.
Tutto cambiò con la salita al trono britannico della regina Vittoria: l'India venne letteralmente invasa da una folla di missionari anglicani e calvinisti; i servizi segreti britannici non mancarono di costruire una "leggenda nera" sulla barbarie dei costumi indiani, letteralmente costruendo la leggenda degli strangolatori Thugs, terroristi seguaci della dea Kalì che in realtà ebbero esistenza solo nei romanzi di avventure, fornendo tuttavia il pretesto per spietate repressioni. Nel 1857 la misura era colma e la pazienza degli indiani di ogni fede religiosa aveva superato il limite estremo. Nei primi mesi dell'anno esplose all'improvviso una generalizzata rivolta che in pochi giorni eliminò tutti gli inglesi residenti in India. L'evento venne registrato nei libri di storia inglese con l'espressione "indian mutini" (ammutinamento indiano). A ribellarsi furono i Cipays e cioè i soldati musulmani indù che servivano nelle forze armate della compagnia delle indie. La rivolta venne repressa dai britannici con inimmaginabile ferocia (il comandante delle forze militari inglesi disse che per ogni inglese ucciso durante la rivolta almeno 1000 indiani dovevano essere giustiziati). L'India ritrovò una sua momentanea disperata ed eroica unità: richiamato sul trono l'ultimo imperatore Moghul, un mite guru che da anni si era ritirato in meditazione sulle montagne dell'Himalaya, organizzarono una resistenza accanita in ogni singola città e in ogni più piccolo villaggio. La capitale Delhi resistette con eroismo a un prolungato assedio e ad un massiccio bombardamento di artiglieria, ma per conquistarla i britannici dovettero praticamente raderla al suolo. La repressione provocò circa un milione di morti (solo a Delhi vennero passate per le armi 200.000 persone), decine di migliaia di prigionieri vennero uccisi legandogli a grappoli alle bocche dei cannoni. L'imperatore Moghul venne deposto e chiuso in prigione; e furono puniti con maggiore ferocia i musulmani, ingiustamente considerati responsabili della insurrezione.
Questi eventi furono decisivi per il ruolo del riformatore musulmano Ahmad Khan, che scrisse molti libri e articoli nel tentativo di convincere i britannici che i musulmani non erano stati i fautori principali della rivolta, provocata invece dai soprusi religiosi dei conquistatori. Egli intendeva educare i suoi compagni di fede a una comprensione tollerante e illuminata dell'Islam. Nel 1878 egli riuscì a fondare ad Aligarh il Muhammad College, organizzato secondo i modelli di Oxford e Cambridge. Egli comprese chiaramente, prima di ogni altro musulmano, la necessità di una rivalutazione radicale del pensiero religioso islamico per il progresso della scienza moderna e della filosofia. Il modernismo islamico diventò una possibilità aperta a molti proprio in India, prima ancora che in Egitto e nell'impero ottomano e non mancò di influenzare la predicazione non violenta del Mahatma Gandhi. 


Nessun commento:

Posta un commento