La successione alla guida politica della Umma è il frutto della genialità creativa e del senso pratico degli arabi. Senza indicazioni coraniche e senza specifiche istruzioni del Profeta che potessero guidarli, essi dettero vita in poche ore ad un'istituzione che sopravvisse per circa dieci secoli, sei dei quali sotto dinastie arabe. Del califfato (Khilafa, luogotenenza), fu investito Abu Bakr, il migliore amico e collaboratore del Profeta di cui era coetaneo, oltre ad essere stato il primo adulto maschio a credere a Muhammad del quale era diventato suocero dopo le nozze del Profeta con la 17enne Aisha.
Nei tre anni scarsi di califfato (632-634) egli riportò all'obbedienza di Medina e della fede islamica le tribù dell'intera penisola arabica, alcune delle quali, convertitesi in precedenza, si erano ritenute libere da impegni dopo la morte del Profeta. Con esse un nuovo califfo (il comandante dei credenti) Omar Al-Khattad (634-644) avvio l'epica stagione delle conquiste fuori dell'Arabia e la prima trasformazione delle prime strutture patriarcali della Umma.
Conquistate senza sofferte difficoltà la Siria, la Palestina e l'Egitto dove la fedeltà a Costantinopoli si era notevolmente deteriorata dopo decenni di guerre, persecuzioni anti eretiche che l'Impero Bizantino aveva combattuto sia contro gli eretici di casa propria, sia contro l'Impero Persiano dei Sassanidi, venne piegata anche la Mesopotamia, in notevole misura aggiogata al caro Sassanide, e la stessa Persia occidentale, malgrado una assai più forte resistenza dei suoi eserciti. La sua capitale di Seleucia-Ctesifonte fu conquistata nel 637, appena cinque anni dopo la morte di Muhammad.
Già sotto Omar la Umma ricevette un primo abbozzo di sistemazione amministrativa, con la creazione dei registri delle imposte pagate dai sudditi musulmani e non musulmani (ebrei, cristiani e zoloastriani) e dei ruoli dell'esercito, con le sue paghe e l'ammontare delle pensioni di cui avrebbero goduto gli eredi dei caduti.
L'uccisione del califfo portò alla nomina di Uthman Ibn Affan (al potere dal 644 al 656), che ebbe il merito di far mettere per iscritto il Corano che, fino ad allora, per l'assenza di un'affidabile canone scritto era stato imparato a memoria. La sua politica e nepotismo, non troppo esagerato e comunque spesso giustificato dalle superiori capacità del suo clan dei Banu Umayya (uno dei più in vista già nella Mecca islamica), suscitò contro di lui crescenti rancori, che uniti all'inadeguata conduzione della Umma negli ultimi anni del suo califfato, sfociarono infine nel suo omicidio. Non si scoprirà mai con certezza chi avesse ordito il complotto, ma il fatto che nei torbidi che seguirono l'assassinio venisse eletto il cugino e genero del Profeta Alì Ibn Abi Talib, attirò fatalmente su di lui sospetti probabilmente ingiustificati.
Dopo un marginale scontro nel 656 con due antichi compagni di lotta nella cosiddetta "battaglia del cammello" (dall'alto di uno dei quali la più famosa vedova del Profeta Aisha volle assistere nella speranza che Alì venisse sconfitto) si mosse contro il nuovo califfo l'omayyade Mu'Awiya Ibn-Abu Sufyan, eletto al governatorato di Siria sin dai tempi di Omar. La battaglia che ne seguì a Sufin (657) non fu risolutiva, ma la spaccatura che provocò nella Umma non venne mai più ricomposta e costituì anzi la base per le successive contrapposizioni tra i filo alidi-sciiti e gli ortodossi-sunniti, senza trascurare i cosiddetti kharigiti che entrambi da allora in poi si contrapposero violentemente. L'assassinio di Alì nel 661 da parte di un kharigita che voleva vendicare una precedente strage di suoi correligionali, precipitò nel caos il primo califfato fin troppo ottimisticamente definito ortodosso, e portò del tutto irritualmente al potere la nuova dinastia degli Omayyadi.
Lo scontro del 656 tra il ribelle governatore Omayyade di Siria Mu' Ayiya e il quarto califfo ortodosso Alì chiarisce quale ambiziosa e capace personalità potesse dominare la scena politica islamica dopo l'assassinio del cugino e genero del Profeta Mu'Awiya, che regnò dal 661 al 680, dopo essersi premurato di comprare la neutralità dei figli di Alì infuse nel suo califfato l'esperienza di un ventennio di buon governo in Siria, in cui si era guadagnato la stima e la fiducia dei suoi amministrati compresi cristiani ed ebrei. Il suo pragmatismo gli consigliò però di rafforzare l'apparato militare, verso il quale non lesinò favori ed onori al fine di mettersi al riparo degli avversari alidi-sciiti e kharigiti; e non fu senza significato che egli arruolasse cavalieri persiani di fede zoloastriana che non esitò a impiegare contro i suoi nemici musulmani pur di affermare la sua volontà assoluta. Per maggior sicurezza preferì stabilirsi a Damasco che soppiantò Medina come capitale califfale edificando una nuova struttura di potere che restò un esempio per le future generazioni islamiche.
La situazione degenerò quando Mu'Awiya decise che a succedergli fosse il figlio Yazid. La volontà di creare una dinastia famigliare e califfare che, dal nome del suo clan fu detta Omayyade contravveniva al principio tradizionale arabo tendenzialmente meritocratico, che privilegiava semmai l'anzianità all'interno di un gruppo egemone su cui bene si innestava il principio islamico della prevalenza dei vincoli di fede di quelli di sangue applicato nel periodo "ortodosso" in cui si pretendeva che i califfi vantassero un'anzianità di fede e un'assidua frequentazione del Profeta.
Yazid, aldilà della sua effettiva inadeguatezza fu fatto oggetto di feroci critiche da parte della successiva storiografia islamica che scrisse per non dispiacere il nuovo potere Abbaside che aveva abbattuto a metà dell'VIII secolo gli Omayyadi, sottolineando una pretesa irreligiosa ai signori di Damasco solo perchè non avevano quasi mai indossato, con l'eccezione di Omar II, le vesti clericaleggianti del pio musulmano osteggiate invece dai loro successori.
La pretesa di Al-Hasayn, figlio minore di Alì e di Fatima, figlia del Profeta, di avere maggiori titoli del figlio di Mu'Awiya per governare la Umma in virtù dei suoi legami di sangue col nonno, venne impedita da Yazid grazie alla potenza dell'apparato politico militare ed economico sapientemente costruito dal padre.
L'eccedio del nipote del profeta, che dai suoi seguaci fu giudicato autentico martirio, e quello della sua famiglia, avvennero a Kerbala nel 661; e se Siffin aveva rappresentato la prima traumatica frattura dell'unità dei musulmani Kerbala fu il baratro dentro il quale precipitò la Umma. I sostenitori della fazione Alide giudicarono il califfato di Yasid il massimo dell'abominio usurpatore, anche se la maggior parte dei musulmani non si convincerà mai del fatto che la famiglia del profeta potesse arrogarsi alcun predestinato diritto alla guida della comunità. Ma intanto erano state gettate le fondamenta di ciò che due secoli più tardi divennero il sunnismo e lo sciismo.
L'esito di Kerbala non sgomberò da ogni nube l'orizzonte Omayyade. Alla Mecca insorse infatti anche il figlio di uno dei primi intimi collaboratori (Sababa) del profeta, 'Abd Allah Ibn Al-Zubayr, presto sostenuto da una parte consistente della Umma, tanto che egli potè a lungo agire come un anti califfo. La morte per cause naturali di Yasid e, poco dopo, del figlio ed erede Mu'awiya (684) sembrò portare all'estinzione della dinastia e decretare la vittoria di Ibn Al-Zubayr, ma la vasta famiglia omayyade non intendeva passare la mano, rinunciando ai suoi privilegi, e si accordò rapidamente per designare come nuovo califfo il suo membro più autorevole Marwan Ibn Al-Hakan.
Un'insurrezione a Kufa nel 685, guidata da Al-Mukhtar in nome di un altro figlio di Alì Ibn Ab Talib, Muhammad Ibn Al-Hanafiyya, aggravò il quadro già notevolmente lacerato della società islamica; ma il figlio e successore di Marwan, Abd Al-Malik Ibn Marwan riuscì in pochi anni a riunificare con una serie di abili azioni militari il califfato e infine nel 692 del 68enne Ibn Al-Zulair grazie alla capacità del suo abilissimo comandante militare, successivamente governatore di Kufa Al-Haggij Ibn Yusuf.
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