L'esercito arabo costruì una poderosa base nella città di Mazara dalla quale un potente esercito musulmano mosse verso oriente stringendo d'assedio Siracusa. Un'epidemia di peste decimò gli assedianti la cui sorte apparve segnata quando il patrizio bizantino Teodoro mosse con decisione alla riscossa. La disfatta musulmana sembrava ormai prossima, quando nell'anno 830 giunsero dai correligionari di Spagna inattesi soccorsi. Teodoro fu sconfitto da Mohammed-al-Asbagh, nuovo comandante delle forse musulmane, e Palermo, conquistata nell'anno 831 divenne la capitale della nuova provincia islamica. Nell' 843 cadde Messina e due anni dopo la fortezza di Castro Giovanni fu occupata da Abass-al-Aghlab Ibrahim. Siracusa, simbolo della civiltà bizantina e dell'ellenismo in occidente, fu espugnata nell'878. Nel 902, con la distruzione di Taormina e la riduzione all'obbedienza del distretto dell'Etna la conquista dell'isola era terminata. l'Isola rimase legata alla dinastia aghlabita fino alla sua caduta quando, nel 910 passo sotto il dominio dei Fatinidi diventando una provincia dell'impero che essi avevano costruito in Africa. Nel 948, per delega del Califfo Fatinide, il governo della Sicilia passò alla famiglia araba dei Banu Kalv e l'emirato calvita si trasformò in un potere ereditario sotto la guida di una brillante dinastia.
Fu durante il governo di Alì-al-Kalvi che l'isola raggiunse la prosperità e la profonda diffusione della cultura araba. L'agricoltura e il commercio fiorirono, le conversioni all'Islam si moltiplicarono non per costrizione ma per il desiderio spontaneo suscitato nei siciliani dalla ammirazione per la superiore civiltà dei conquistatori. La prosperità e le raffinatezze dell'oriente, la vita culturale di Baghdad, Cordoba e del Cairo raggiunsero il massimo splendore nella città di Palermo, che arrivò a contare 100 moschee. Poi la cultura arabo-siciliana cominciò ad offuscarsi. Sopravvenne poi la guerra civile, principio della fine per la dinastia e l'Islam siciliano. Gli abitanti dell'isola gravati da sempre nuove tasse si ribellarono contro l'emiro Ahmad che chiese aiuto ai bizantini mentre in aiuto dei ribelli sbarcavano truppe berbere, guidate dal fratello dell'emiro Yusuf. La lotta si tradusse in un conflitto tra l'aristocrazia araba e la popolazione siciliana convertita all'Islam. La guerra civile si protrasse fino al 1061 quando l'arabo Ibn Ath-Thimena sconfitto dall'opposta fazione chiamò in soccorso i Normanni.
Il decadere della dinastia Kalvita, il sorgere di piccoli emirati indipendenti e gli intrighi bizantini prepararono l'avvio all'azione del Conte Ruggiero di Altavilla in un secolo di ripresa dell'azione dei cristiani che non si limitarono a difendere le loro coste ma inseguirono le coste musulmane fino a sbarcare in Africa e a incendiare le campagne e gli arsenali. La conquista normanna della Sicilia si completò tra il 1075 e il 1087.
Alla morte di Ruggiero successe al trono di Sicilia il figlio Ruggiero II che, come il padre seguì le usanze dei re musulmani, istituì alla sua corte la figura dei ganib (aiutanti di campo), degli hagib (ciambellani), dei silahai (scudieri), e dei gandar (guardie del corpo). Fu istituito presso la corte un "tribunale dei soprusi" (Diwan-al-Mazalim) al quale gli offesi portavano le loro querele e il re era chiamato a render giustizia anche contro il proprio figlio. Ruggiero tenne in onore i musulmani, li tratto con amicizia e famigliarità e li difese dai soprusi guadagnandosi la loro fedeltà e il loro affetto.
Durante il periodo dei nuovi conquistatori fiorì quella particolare cultura cristiano-islamica, destinata ad avere tanta fama e rilievo. Si instaurò la preminenza spirituale degli arabi, riverbero della gran civiltà musulmana dell'epoca si intensificò l'interesse per le scienze, ossia per la logica, la geometri, l'astronomia, la musica, la medicina e l'alchimia. Non pochi furono gli scienziati e i lotti che accettarono di vivere di ampia tolleranza della corte normanna che seppe con il suo eclettismo far convivere facilmente elementi tanto eterogenei: Franchi, Normanni, Arabi, Greci, Siciliani. Ruggiero II impedì la conversione delle sue truppe musulmane al Cristianesimo. Tutti, Normanni e Italiani, Longobardi, Greci e Saraceni ebbero un ruolo nello stato Normanno. Si mantenne l'uso della scrittura araba specie nei diplomi, e alla corte di Palermo si poteva ascoltare il francese e il greco, l'arabo e l'italiano. Le moschee erano affollate , mentre crescevano monasteri di rito Greco e Latino. Il Re spesso, per reprimere le ribellioni dei baroni normanni e per tene testa alle ripetute scomuniche papali, sapeva di poter contare sulle sue fedelissime truppe musulmane. Da ogni parte d'Europa accorrevano alla corte di Palermo scienziati e studiosi; gli studiosi arabi formavano il gruppo più numeroso e la loro lingua era riconosciuta come la lingua della scienza.
Anche nell'amministrazione della cosa pubblica era visibile l'impronta musulmana: l'isola era divisa in circoscrizioni territoriali-militari (iqlim). L'ufficio del Registro, in arabo diwan-at-tahqiq, venne tradotto in latino con Dohana de Secretis; strumenti dell'ufficio erano i dafatir latinizzati con il nome di defetari. Nei distretti in cui prevalevano gli arabi la regione era governata da amil musulmani. La giustizia veniva amministrata da magistrati itineranti, assistiti da un numero variabile di arbitri, sia cristiani sia musulmani che spesso operavano insieme. Esisteva anche una cancelleria araba che usava il greco, l'arabo o le due lingue insieme in testa ai decreti del Re venne scritto il motto di Ruggiero II: "Lode a Dio, in riconoscenza dei suoi benefici" nelle monete, accanto al nome occidentale, c'era il titolo arabo di Califfo per Ruggiero venne aggiunto il titolo: "Al Malik-al-Mu'Azam-al-Mu'Taz-vi-Llah" ("Il Re Venerando, esalato per grazia di Dio").
Ma intanto si stava affermando il carattere aggressivo della cultura dell'Europa nord occidentale. Si insediarono a corte numerosi cattolici, soprattutto francesi, che iniziarono persecuzioni occulte e lente, che non inficiarono i rapporti amichevoli tra le diverse popolazioni. Le moschee e le scuola cristiane fiorivano le une accanto alle altre, e nella preghiera solenne del venerdì si recitava la preghiera con l'invocazione per i Califfi di Baghdad. Erano i musulmani che spesso, durante i saccheggi trattenevano i cristiani dal compiere atti di violenza e sacrilegi contro altri cristiani. Eppure molte famiglie cercarono di vendere i loro beni nella speranze di poter raggiungere un paese musulmano. I sapienti e i nobili musulmani comprendevano che qualcosa stava cambiando e prevedevano che tra non molto l'Islam si sarebbe estinto in Sicilia.
Alla morte di re Guglielmo II nel 1189 contro i musulmani si scatenò all'improvviso una terribile persecuzione. Gli scampati si rifugiarono sulle montagne occidentali in Val di Mazara. Il nuovo re, figlio di Federico Barbarossa e marito di Costanza figlia di Ruggiero II era l'imperatore Enrico IV Hohemstaufen, entrato a Palermo nel Novembre del 1194. Lo spirito normanno degli Altavilla non era morto del tutto, Enrico IV morì dopo quattro anni di regno e fu chiamato a succedergli il figlio Federico II. Durante i lunghi anni della sua minore età il giovane Re di Sicilia fu affidato alla tutela del pontefice, e i musulmani dell'isola vennero perseguitati ovunque finchè vennero sconfitti presso Palermo nel 1200. L'ultima strage contro di loro venne compiuta contro gli ultimi ribelli guidati da Muhammad-ibn-Abbad che fu giustiziato insieme ai suoi figli.
I superstiti vennero deportati a Lucera e formarono una colonia di musulmani che rimase fedelissima all'imperatore fino alla morte e diede aiuto a Re Manfredi a Benevento dove la battaglia cominciò con la carica della cavalleria Saracena che si fece sterminare fino all'ultimo uomo.
Con la vittoria riportata sugli ultimi musulmani non si estinse però in Sicilia lo spirito dell'Islam che Federico cercò di mantenere nella stessa organizzazione dello stato.
Educato da maestri musulmani, perfetto conoscitore della lingua araba, in polemica con i cristiani praticava l'uso frequente del bagno completamente nudo, schiere di danzatrici rallegravano i suoi banchetti, e il suo harem era custodito da eunuchi. Anche alla sua corte il Muezin faceva l'appello alla preghiera. Negli ambienti ecclesiastici si accumularono sospetti e diffidenze, e lo si accusò di essere segretamente musulmano a causa della sua dissolutezza orientale. In realtà egli era indifferente alle questioni religiose ma era attratto dall'aspetto scientifico e intellettuale della civiltà araba. I migliori studiosi d'Europa si radunarono alla sua corte che divenne fiaccola luminosa della cultura. Fra essi Guglielmo Figuerra, Lanfranco Cigala, Sordello e, infine Michele Scoto che fu anello di congiunzione tra la corte di Palermo e il centro di traduzioni dell'università araba di Toledo. Per incarico dell'imperatore l'ebreo Jacob-ben-Abbamari discepolo dell'ebreo spagnolo Maimodine tradusse dall'arabo in ebraico i 5 libri della logica di Aristotele. Il maggiore contributo personale di Federico II alla cultura universale fu la fondazione dell'università di Napoli, la prima università statale in Europa. Qui egli realizzò il suo sogno facendo incontrare in pace le tre grandi culture medievali. In essa egli depositò un'ampia raccolta di manoscritti arabi, e ne inviò copie all'università di Parigi e di Bologna.
Ottimo politico, quasi sovrano rinascimentale nell'autunno del medioevo, nel 1215 aveva preso l'emblema della croce quando nella cattedrale di Aquisgrana vi fu posta sul capo la corona di Germania. Ma la sua visione dell'impero, il suo nuovo di avvicinare i popoli non cristiani lo pose in grave contrasto con la Santa Sede timorosa di vedersi circondata dall'impero e di perdere i propri diritti feudali sull'Italia meridionale.
Dopo lunghe insistenze pontificie culminate in una scomunica nel Giugno del 1228 Federico II salpò da Brindisi per l'ennesima crociata e sbarcò nell'autunno ad Acri. La cessione di Gerusalemme avrebbe suscitato l'indignazione del Califfo di Baghdad e di tutto il mondo musulmano. Fu così che Federico si scusò con l'emiro Fakhr-al-Din dicendogli che se avesse avuto paura di screditare il proprio onore non avrebbe mai imposto un tale sacrificio al sultano e dichiarando di voler prendere Gerusalemme solo per non perdere considerazione agli occhi dei cristiani; mandò poi a pregare il sultano di accordargli il permesso di entrare in Gerusalemme senza combattere. Il 17 Marzo 1229 l'imperatore entrò nella città. Il giorno successivo, dopo essere entrato nella chiesa del Santo Sepolcro ed essersi posto sul capo la corona, visitò i luoghi santi musulmani accompagnato dal Qadi di Nabrus inviato dal Sultano. Entrò nella moschea al-Sakhra e lesse sulla cupola l'iscrizione del grande Saladino: "Questa città di Gerusalemme Salah-al-Din ha liberato dagli infedeli". Giunse l'ora della preghiera del mezzogiorno ed egli invitò il Muezin al consueto appello. Scese la sera e Federico, evitando i pellegrini cristiani cenò con i Saraceni, parlò del Sole e della Luna con lo Sceicco Alam-al-Din l'astronomo che il Sultano gli aveva inviato in segno di amicizia. Sorse infine il mattino annunciato dalla prima preghiera musulmana e Federico uscì da Gerusalemme e tornò dai cavalieri di San Giovanni. Le impressioni che egli suscitò verso i musulmani furono piene di ammirazione e rispetto per un uomo che parlava la loro lingua e discuteva con loro dei massimi problemi della scienza ricercando la verità e il sapere.
Si riaccendeva intanto il dissidio insanabile con il pontefice Gregorio IX e poi con il suo successore Innocenzo IV nel consiglio generale di Lione rattificò la sentenza di deposizione dell'imperatore e sciolse i sudditti dal giuramento di fedeltà. Il pontefice tentò di trattare il recupero di Gerusalemme direttamente con il sultano Al-Salih-Ayyub ai danni dell'imperatore svevo, ma Al-Salih-Ayyub respinse le offerte papali: ancora una volta l'amicizia e la profonda fedeltà dei musulmani si rifiutiarono di tradire chi gli aveva sempre onorati e amati. Federico ricambiò informando il sultano del progetto e dei programmi della crociata di Luigi IX che si dirigeva verso l'Egitto nella privamera del 1249. Nella battaglia in cui lo stesso re di Francia fu fatto prigioniero morì Fakhr Al-Din il vecchio emiro amico di Federico che portava sulla sua bandiera le insegne imperiali accanto a quelle del sultano.
Nello stesso anno in cui in Egitto si estingueva la dinastia Ayyubita a Castelfiorentino moriva Federico. La cavalleria musulmana accompagnò il corpo del suo signore avvolto in una porpora rossa attraverso l'Italia fino a Palermo. Così commentò Ibn Al-Furat: "In quell'anno morì l'imperatore Federico, signore della Germania e della Sicilia protettore della santa città di Gerusalemme, re dei cristiani e comandante degli eserciti della croce. In molti dicevano che l'imperatore fosse in segreto un musulmano. Ma solo a Dio è dato conoscere i segreti del cuore umano".
L'amore per la cultura araba non venne meno nei successori di Federico. Salito al potere d'Egitto la dinastia dei mamerucchi, il sultano Baybars mandò un ambasciatore a Manfredi che, appena salito al trono era circondato dai nemici. Si avvicinava tuttavia il tramonto della potenza sveva che vide gli ultimi bagliori nel tentativo di riscossa di Corradino, anch'egli ricordato con affetto dai cronisti musulmani: "Giunsero al sultano Baybars messaggiari del re Corradino per portarvi una sua lettera. Vi si raccontava la vittoria da lui riportata contro re Carlo d'Angiò e come Iddio onnipotente gli avesse restituito il giusto patrimonio degli antenati toltogli con viltà. Il sultano vi rispose dicendogli di stare con animo lieto e di presentare il suo affetto a coloro che erano legati a suo zio Manfredi e al suo grande nonno Federico di Svevia".
In realtà il dominio svevo era alla fine e con esso finì anche l'influenza musulmana nell'Italia meridionale. Restava solo la fedelissima colonia di Lucera, che fu travolta dalla spietata distruzione compiuta nel 1300 da Carlo II d'Angiò.
Si riaccendeva intanto il dissidio insanabile con il pontefice Gregorio IX e poi con il suo successore Innocenzo IV nel consiglio generale di Lione rattificò la sentenza di deposizione dell'imperatore e sciolse i sudditti dal giuramento di fedeltà. Il pontefice tentò di trattare il recupero di Gerusalemme direttamente con il sultano Al-Salih-Ayyub ai danni dell'imperatore svevo, ma Al-Salih-Ayyub respinse le offerte papali: ancora una volta l'amicizia e la profonda fedeltà dei musulmani si rifiutiarono di tradire chi gli aveva sempre onorati e amati. Federico ricambiò informando il sultano del progetto e dei programmi della crociata di Luigi IX che si dirigeva verso l'Egitto nella privamera del 1249. Nella battaglia in cui lo stesso re di Francia fu fatto prigioniero morì Fakhr Al-Din il vecchio emiro amico di Federico che portava sulla sua bandiera le insegne imperiali accanto a quelle del sultano.
Nello stesso anno in cui in Egitto si estingueva la dinastia Ayyubita a Castelfiorentino moriva Federico. La cavalleria musulmana accompagnò il corpo del suo signore avvolto in una porpora rossa attraverso l'Italia fino a Palermo. Così commentò Ibn Al-Furat: "In quell'anno morì l'imperatore Federico, signore della Germania e della Sicilia protettore della santa città di Gerusalemme, re dei cristiani e comandante degli eserciti della croce. In molti dicevano che l'imperatore fosse in segreto un musulmano. Ma solo a Dio è dato conoscere i segreti del cuore umano".
L'amore per la cultura araba non venne meno nei successori di Federico. Salito al potere d'Egitto la dinastia dei mamerucchi, il sultano Baybars mandò un ambasciatore a Manfredi che, appena salito al trono era circondato dai nemici. Si avvicinava tuttavia il tramonto della potenza sveva che vide gli ultimi bagliori nel tentativo di riscossa di Corradino, anch'egli ricordato con affetto dai cronisti musulmani: "Giunsero al sultano Baybars messaggiari del re Corradino per portarvi una sua lettera. Vi si raccontava la vittoria da lui riportata contro re Carlo d'Angiò e come Iddio onnipotente gli avesse restituito il giusto patrimonio degli antenati toltogli con viltà. Il sultano vi rispose dicendogli di stare con animo lieto e di presentare il suo affetto a coloro che erano legati a suo zio Manfredi e al suo grande nonno Federico di Svevia".
In realtà il dominio svevo era alla fine e con esso finì anche l'influenza musulmana nell'Italia meridionale. Restava solo la fedelissima colonia di Lucera, che fu travolta dalla spietata distruzione compiuta nel 1300 da Carlo II d'Angiò.
Nel nostro piccolo, cerchiamo di contrastare la rimozione culturale del nostro comune retaggio storico. Abbiamo pubblicato 3 cd dedicati alla poesia arabo-sicula:
RispondiEliminaPoeti Arabi di Sicilia (CNI 2005)
Siqilliah, terra d'Islam (CNI 2007)
Sicilia Araba (Cultural Bridge 2013) presentato all'Auditorium Parco della Musica lo scorso 28 novembre e realizzato un documentario in collaborazione con il regista egiziano Mohamed Kenawi dal titolo "Poeti Arabi di Sicilia"
Bob Salmieri
www.milagroacustico.net
www.culturalbridgelabel.com