Sono ormai 3 anni da quando decisi di abbracciare l'Islam e diventare musulmano in una città come Vicenza, che, perchè non dirlo? Non è straordinariamente rispettosa per chi professa fedi religiose diverse da quella cattolica: ove per "cattolica" non si intende una religione con molti punti di contatto con quanto contenuto nei Vangeli, ma una sorta di convinzione abitudinaria dove molto è dovuto alle tradizioni familiari più o meno correttamente collegate alle parole di Gesù e completamente ignare di quella che viene pure esaltata come tradizione giudaico-cristiana. E' particolarmente singolare l'accenno al giudaismo: il Veneto non ha mai avuto eccessiva simpatia per i "giudei": del resto la religione giudaica e quanti in essa si riconoscevano sono sempre stati ferocemente perseguitati in Europa e quindi ben poco della tradizione giudaica è potuto penetrare nella cosiddetta civiltà europea.
Colpisce della grande massa dei vicentini l'alta percentuale di quanti sostengono con disinvoltura: "io non credo in Dio" oppure "mi considero cattolico, ma non sono praticante". E' uno strano modo sia l'uno che l'altro di considerarsi legato alla tradizione cattolica, come vorrebbero far credere di se i cosiddetti figli della padania, il cui cattolicesimo non ha avuto problemi a mescolarsi con riti druidici, matrimoni celtici e invocazioni a Odino (che, peraltro non era una divinità celtica ma germanico-scandinava). Voglio tuttavia dedicare un particolare ricordo della mia conversione pubblicando due articoli che su due diversi giornali vicentini, la pubblicizzarono:
NUOVA VICENZA; articolo di Giulio Ardinghi
GIORNALE DI VICENZA: articolo di Marino Smiderle
I motivi per i quali, a differenza di quanto ho fatto con l'articolo di Ardinghi, mi sono limitato a pubblicare il titolo dell'articolo intervista di Smiderle, sono essenzialmente due:
A - Giulio Ardinghi non è certamente un musulmano e tuttavia si è sforzato di ricostruire il mio percorso spirituale rispettandone le motivazioni e mantenendo un tono che in nessun momento scivola nel banale, nella presa in giro e nella banalizzazione: è in breve un esempio di tolleranza verso chi professa idee e convinzioni religiose che non gli appartengono, ma riconosce "serie";
B - L'articolo intervista di Smiderle è invece costruito in forma di brillante presa in giro che si avvale del duplice trucco di far dire all'intervistato non quello che ha effettivamente detto ma ciò che nella sua visione un "massone che diventa musulmano" può pensare; non è mancato qualche significativo taglio alle mie risposte o, addirittura una loro sostanziale falsificazione.
Pubblicherò perciò le domande che Smiderle mi ha rivolto con le risposte che io gli ho effettivamente dato, o quelle che avrei dato se me ne avesse lasciato lo spazio.
1) Caro Buffarini, prima ancora di chiederle i motivi di questa sua folgorazione sulla via della moschea, è interessante capire come possano andare d'accordo i principi di libertà della Massoneria con quelli religiosi dell'Islam. Vanno d'accordo?
La domanda è mal posta. L'Islam è una religione con vocazione universale che ruota attorno alla fede totale verso l'unico Dio: il musulmano è innanzitutto un credente, che si sottomette all'idea che tutto ciò che esiste è opera di un creatore che ha dato all'esistente leggi eterne e immutabili. La Massoneria, invece, è un'organizzazione non religiosa, nata storicamente in Inghilterra per combattere contro l'intolleranza e contro l'assolutismo per affermare principi di libertà, fraternità ed eguaglianza; e questi sono valori non solo presenti, ma predicati come assoluti dal Corano, che è parola di Dio.
L'uomo è libero perchè tale lo ha creato Dio; gli uomini sono eguali tra loro perchè tali gli ha creati Dio; gli uomini hanno il dovere della solidarietà perchè hanno il dovere di comportarsi verso i loro simili come fratelli. Tra le ultime parole pronunciate dal profeta Mohammed il suo fedele compagno Abù Bakr ha menzionato le seguenti: "se vicino a te vedi un uomo tremare per il freddo, dagli il tuo mantello; se è pallido per la fame, dagli il tuo pane...". Che Dio (in lingua araba "Allah", in lingua inglese "God") sia il grande architetto dell'universo, il suo creatore e il suo signore è il fulcro dell'Islam.
2) La Chiesa cattolica per dirne una ritiene passibile di scomunica chi fa parte della Massoneria. Come fa lei ad essere massone e musulmano?
I modi in cui la Chiesa cattolica gestisce le sue scomuniche sono affari che riguardano i cattolici. Non mi risulta che nell'Islam si usi la scomunica per combattere la Massoneria , che per circa duecento anni è stata un tenace avversario non solo dell'assolutismo in materia spirituale ma anche del potere temporale della chiesa. Sempre per quanto ne so non mi risulta che siano colpiti di scomunica o accusati di apostasia gli appartenenti alle 187 logge massoniche esistenti in Turchia (anche Kemal Ataturk era massone) e delle decine di logge esistenti in Marocco; esiste anche una massoneria iraniana in esilio, e la circostanza non può meravigliare se si pensa che le caratteristiche della repubblica islamica iraniana non hanno molto da spartire con la tradizione islamica sunnita: che tra le altre cose non ha preti od altre figure fornite di un potere autoritario di scomunica. Nell'Islam sunnita, cui io appartengo ogni uomo e donna è "kalifa" (vicario di Dio sulla terra).
3) Ma lei, prima di abbracciare l'Islam, che rapporti aveva con la religione?
Amavo definirmi un deista: persona che crede in un essere supremo o Dio, che ha creato il mondo e gli ha dato leggi immutabili che lo governano. Nei miei viaggi fra gli indiani d'America mi è capitato di imbattermi in "Wakantanka": "O Wakantanka, sei sempre esistito e prima di te non è esistito nulla. Solo a te è possibile rivolgere ogni preghiera, perchè tu sei più antico di ogni bisogno e più antico di ogni parola umana. Tutto ciò che esiste è stato creato da Te. Tutte le creature viventi le hai tratte dal nulla con amore e tenerezza. Rivolgi il tuo sguardo ai tuoi innumerevoli figli con i loro figli tra le braccia e accompagnali al giorno del riposo...". Ha presente la preghiera laica di Voltaire?
4) Come no. Non la vedo molto conciliabile con i dettami rigidi dell'Islam...
E si sbaglia o forse lei la preghiera di Voltaire non l'ha letta, allora, se mi permette, gliene leggo qualche stralcio: "Mi rivolgo a Te, Dio di tutti i mondi, di tutti gli esseri, di tutti i tempi. Se è lecito che delle deboli creature, perse nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo, osino domandare qualche cosa a Te, che tutto hai donato, a Te, i cui decreti sono immutabili ed eterni, degnati di guardare con clemenza e misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura. Fa che questi errori non generino la nostra sventura. Tu non c'hai dato un cuore per odiarci l'un l'altro ne delle mani per sgozzarci a vicenda, fa che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare una vita che a volte è penosa e passeggera... Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli. Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime, come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del pacifico lavoro! Non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri ed impieghiamo il breve tempo della nostra esistenza per benedire tutti insieme, in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che c'ha donato il breve istante della vita...". Se Marino ha la pazienza di andarsi a leggere qualche sura del Corano, troverà che le preghiere che recitiamo nelle nostre moschee non sono molto diverse da quella di Voltaire.
5) Buffarini, stiamo divagando. Che c'azzecca l'Islam con Voltaire?
Le ho già risposto al punto precedente ma mi piace aggiungere qualcosa in più. L'Islam è presente anche, oltre che in tutte le leggi che regolano la natura e l'universo, nelle più alte speculazioni filosofiche del mondo antico. Il Dio che ha dato il Corano all'umanità è a ben vedere l'Essere di Parmenide, è il Dio a cui fa cenno Socrate poco prima di morire e, se vogliamo venire a tempi più vicini ai nostri è il Dio che invoca Ghandi nel momento in cui la pallottola di un fanatico lo uccide. Del resto le basi dell'Islam sono la sottomissione a Dio ma, nell'uomo, la libertà, la ragione e il desiderio di conoscenza. Nell'Islam la scienza è assolutamente libera e lo scopo è quello di svelare i segreti del creato. Il musulmano è innanzitutto un testimone di Dio e in nessuna religione vi è un rapporto più libero tra fede e ragione.
6) Questione di punti di vista. Tra libertà e donne che vanno in giro con scafandri o, peggio, che vengono lapidate per adulterio, non si intravvedono molti punti di contatto.
Marino Smiderle farebbe bene a fare un salto alla moschea quando le nostre sorelle escono dalla preghiera. Si troverebbe davanti delle donne fiere che, a volte nei loro vestiti tradizionali, sembrano regine. E tali sono perchè il velo della donna islamica indossato per libera scelta, è il segno della fede in Dio, della libertà (nel mondo antico solo le schiave portavano i capelli scoperti) e della propria identità. Qualche tempo fa in televisione trasmisero un servizio in cui compariva il ministro Frattini con accanto una bellissima donna con il velo: il ministro Calderoli, con la sua ben nota finezza, avrebbe detto che la signora era un pò abbronzata... in realtà quella signora era il ministro degli esteri della Mauritania: che magra figura avrebbe fatto vicino a lei qualche donna d'alto bordo coperta di gioielli e di vestiti all'ultima moda. Quanto alla questione della lapidazione, ampiamente praticata dagli Ebrei e, più tardi dai Bizantini (ma il mondo cristiano ha usato per secoli strumenti di tortura ben peggiori per le adultere; e non dimentichiamo le centinaia di migliaia di donne bruciate vive come streghe, l'ultima nel 1812 a Madrid). Il Corano abolisce la lapidazione della donna, che oggi viene praticata non come legge religiosa ma come una non condivisibile aberrazione dei sistemi giuridici purtroppo vigenti in qualche paese islamico, nel quale si dimentica la raccomandazione che il Corano rivolge ai giudici (Kadì): "ricordate, quando dovete applicare una pena molto severa, che Dio è clemente e misericordioso ed egli perdona ogni colpa".
Comunque su 49 paesi a maggioranza islamica la lapidazione è in vigore ancora in 3 di essi, e da musulmano prego Dio che presto venga abolita anche in essi.
7) Se a Roma voglio aprire una moschea mi danno l'ok, se chiedo all'Arabia Saudita di aprire una Chiesa Cattolica mi cacciano via a calci.
La moschea di Roma che ha un'unica compagna ufficiale a Catania, è stata costruita negli anni '60 per l'intervento personale e diretto di quel grande papa che è stato Paolo VI il quale disse agli esponenti della curia che si opponevano: "la costruzione di un grande tempio islamico nella nostra città non può che aumentare il carattere sacro di Roma". Non mi risulta che in Italia vi sia poi tanta libertà nel costruire moschee. A Milano risiedono 130.000 musulmani ma non c'è una moschea degna di questo nome. In centinaia di altri comuni i nostri fratelli sono costretti a mascherare i lori luoghi di culto dietro l'etichetta del centro culturale". E a volte neppure questo basta. Nei paesi islamici esistono centinaia di grandi chiese che i fedeli sono liberi di frequentare alla luce del sole; vi sono inoltre sedi vescovili, cardinali, e persino università cattoliche. Il caso dell'Arabia saudita è un caso a se stante: a parte il "rigorismo" che caratterizza l'appartenenza alla scuola fondamentalista Wahabita occorre ricordare che in Arabia sorgono i luoghi sacri dell'Islam. Essa è perciò una specia di "Stato Vaticano". Verrebbe permessa in Italia la costruzione di una moschea in piazza San Pietro?
8) Vuol dirmi che tra musulmani e cristiani non c'è pericolo di contrasto?
Certo che i contrasti esistono. Islam e Cristianesimo sono religioni a vocazione universale, accomunate peraltro dal fatto che credono nello stesso Dio, e cioè nel Dio di Abramo. Ma questo non dovrebbe impedire un proficuo e rispettoso dialogo nell'interesse della pace e dell'unità fra gli esseri umani. C'è chi preferirebbe una bella guerra di religione; ma io credo che quel tempo sia ormai finito e chi lo sogna ancora in realtà non crede in Dio: crede invece nella forza distruttiva e negativa di Satana. Glielo lasciamo volentieri. Noi crediamo al valore universale della scritta che comparve 2000 anni fa su una stalla nella quale era nato un bambino di nome Gesù, caro ed amato da tutti i musulmani: "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà".
Con i laicisti che negano l'esistenza di Dio, bè, con loro è più difficile dialogare. Per loro la fede in Dio è una favola...
Questo Blog si propone di dare risposta agli interrogativi e alle polemiche che più frequentemente hanno per oggetto la religione islamica e il Corano. Tale attività è particolarmente necessaria in Italia, data la totale disinformazione che gli italiani hanno sulla religione di un miliardo seicento milioni di musulmani in tutto il mondo.
domenica 28 novembre 2010
sabato 27 novembre 2010
RIPRENDIAMO LA QUESTIONE DI UN CIMITERO PER I MUSULMANI
Qualche anno fa, in Toscana, dove è nota la vena ironica e a volte sarcastica degli abitanti, a fronte del fatto che con una certa precocità vi si era stabilita una consistente comunità cinese, alcuni buontemponi cominciarono a chiedersi, un pò per celia e un pò sul serio: "Ma dove vanno a finire i cinesi che risiedono qui quando muoiono? Li rimandano in Cina? Li usano come sofisticati ingredienti per la loro cucina estremamente varia?".
In effetti la questione della sepoltura degli immigrati che muoiono nel nostro paese è uno dei tanti aspetti che assume il particolare e composito razzismo all'italiana. In tutti i paesi europei, tranne, forse, qualche più xenofobo cantone svizzero, lo hanno risolto applicando il principio di uguaglianza fra gli esseri umani, declinato con quello della libertà religiosa come diritto assoluto: i residenti stranieri, che non praticano la religione cattolica o cristiana, che vengono raggiunti dall'Angelo della Morte nella terra in cui lavorano da anni come immigrati, hanno generalmente spazi riservati nei cimiteri comunali, o, addirittura cimiteri acattolici, dove usanze funerarie ispirate alla massima sobrietà e conformi alle convinzioni religiose del defunto e della sua famiglia, hanno modo di essere rispettate, senza peraltro venir meno alle norme che regolano la materia cimiteriale. A questo proposito non sarà male ricordare che i servizi cimiteriali sono servizi che un comune è obbligato ad erogare, alla pari dell'erogazione dell'acqua, della luce e del gas o della raccolta dei rifiuti solidi urbani. Ignorare l'esigenza di un servizio cimiteriale per stranieri che praticano una qualche fede religiosa con caratteristiche abbastanza definite, equivale a negare acqua, luce e gas o a raccogliere le immondizie di qualcuno perchè è... islamico (e quindi, per definizione fondamentalista, estremista, terrorista, schiavista con le donne, etc etc).
In mancanza di regole comportamentali consolidate in Italia, come al solito, ci si arrangia. La maggior parte dei residenti di religione islamica che muoiono nel bel paese costringe i familiari a sobbarcarsi grosse spese per... rimpatriare la salma. La spesa è tollerabile per chi deve tornare da morto in Tunisia, Algeria e Marocco oppure in Bosnia o in Albania. Ben diverso è il caso di chi deve raggiungere da morto l'Egitto, l'Iraq, il Pakistan e l'India.
Nei cimiteri comunali in genere non c'è posto; oppure non si ritiene di praticare un tipo di sepoltura che richiede una particolare posizione del cadavere (un fantasioso segretario comunale si è inventato che i musulmani chiedono di essere sepolti in posizione eretta; più semplicemente un buon musulmano pone la semplice esigenza di essere sepolto in direzione della Mecca). Solo pochi cimiteri italiani (meno di cento) hanno affrontato il tema attivando o riattivando antichi cimiteri acattolici in quasi totale disuso. Altri Comuni hanno demilitato nei cimiteri comunali un apposito spazio per i defunti di religione non cattolica (tale il caso del Comune di Padova). E quella di usufruire del cimitero acattolico che a Vicenza già c'è, anche se l'ultima salma vi è stata sepolta nel 1956, è stata la strada che almeno 4 anni fa fu seguita dall'allora presidente della comunità islamica vicentina.
Alla domanda, tuttavia, fu risposto che il cimitero acattolico non era più agibile, sia perchè le nuove norme di igiene cimiteriale richiedono una maggiore profondità della falda acquifera, sia perchè il cimitero acattolico è sotto vincolo monumentale della sopraintendenza dei monumenti di Verona e quindi non è suscettibile di lavori che lo rendano compatibile con le nuove norme in materia. Non si mancò tuttavia di evidenziare che una concessione cimiteriale in Italia esige la certezza che chi cura la sepoltura di una salma deve rigorosamente rispettare "le regole": in questa sottolineatura era sottintesa la convinzione che i musulmani, refrattari ad una vera integrazione (che nella testa di molti sarebbe l'accettazione del battesimo e degli altri sacramenti della religione cattolica), non avrebbero rispettato regole di alcun genere e avrebbero trasformato il cimitero acattolico in una specie di "suq" arabo.
Non si cercò di spiegare agli amministratori del momento che il carattere distintivo delle sepolture islamiche è la sobrietà, la mancanza di sfarzo, l'assenza di statue e di simboli religiosi troppo vistosi, e ciò in base al principio che di fronte alla morte siamo tutti uguali. Si omise anche di spiegare che la presenza di immagini che raffigurano angeli, santi, figure umane allontana per i musulmani la presenza benefica degli spiriti angelici veri. In tal modo la domanda a suo tempo presentata finì nel dimenticatoio della passata amministrazione comunale. Da notare che in un incontro con i rappresentanti della comunità ebraica di Vicenza si era dichiarata la incondinzionata disponibilità a dividere lo spazio cimiteriale.
Cambiata la civica amministrazione si è tornati a riattivare la questione. Fu di nuovo esclusa nei primi incontri la possibilità di usufruire dell'esistente cimitero acattolico (dove, paradossalmente, esiste anche un'abitazione per il custode addetto alla manutenzione) e si passò a una articolata trattativa per individuare un'area diversa che non sarebbe stato possibile delimitare all'interno del cimitero comunale ormai praticamente al completo e si doveva quindi cercare un'area diversa che non comportasse spese per il comune e che andava individuata d'intesa con gli uffici tecnici comunali. Ed ecco quel che accadde:
In effetti la questione della sepoltura degli immigrati che muoiono nel nostro paese è uno dei tanti aspetti che assume il particolare e composito razzismo all'italiana. In tutti i paesi europei, tranne, forse, qualche più xenofobo cantone svizzero, lo hanno risolto applicando il principio di uguaglianza fra gli esseri umani, declinato con quello della libertà religiosa come diritto assoluto: i residenti stranieri, che non praticano la religione cattolica o cristiana, che vengono raggiunti dall'Angelo della Morte nella terra in cui lavorano da anni come immigrati, hanno generalmente spazi riservati nei cimiteri comunali, o, addirittura cimiteri acattolici, dove usanze funerarie ispirate alla massima sobrietà e conformi alle convinzioni religiose del defunto e della sua famiglia, hanno modo di essere rispettate, senza peraltro venir meno alle norme che regolano la materia cimiteriale. A questo proposito non sarà male ricordare che i servizi cimiteriali sono servizi che un comune è obbligato ad erogare, alla pari dell'erogazione dell'acqua, della luce e del gas o della raccolta dei rifiuti solidi urbani. Ignorare l'esigenza di un servizio cimiteriale per stranieri che praticano una qualche fede religiosa con caratteristiche abbastanza definite, equivale a negare acqua, luce e gas o a raccogliere le immondizie di qualcuno perchè è... islamico (e quindi, per definizione fondamentalista, estremista, terrorista, schiavista con le donne, etc etc).
In mancanza di regole comportamentali consolidate in Italia, come al solito, ci si arrangia. La maggior parte dei residenti di religione islamica che muoiono nel bel paese costringe i familiari a sobbarcarsi grosse spese per... rimpatriare la salma. La spesa è tollerabile per chi deve tornare da morto in Tunisia, Algeria e Marocco oppure in Bosnia o in Albania. Ben diverso è il caso di chi deve raggiungere da morto l'Egitto, l'Iraq, il Pakistan e l'India.
Nei cimiteri comunali in genere non c'è posto; oppure non si ritiene di praticare un tipo di sepoltura che richiede una particolare posizione del cadavere (un fantasioso segretario comunale si è inventato che i musulmani chiedono di essere sepolti in posizione eretta; più semplicemente un buon musulmano pone la semplice esigenza di essere sepolto in direzione della Mecca). Solo pochi cimiteri italiani (meno di cento) hanno affrontato il tema attivando o riattivando antichi cimiteri acattolici in quasi totale disuso. Altri Comuni hanno demilitato nei cimiteri comunali un apposito spazio per i defunti di religione non cattolica (tale il caso del Comune di Padova). E quella di usufruire del cimitero acattolico che a Vicenza già c'è, anche se l'ultima salma vi è stata sepolta nel 1956, è stata la strada che almeno 4 anni fa fu seguita dall'allora presidente della comunità islamica vicentina.
Alla domanda, tuttavia, fu risposto che il cimitero acattolico non era più agibile, sia perchè le nuove norme di igiene cimiteriale richiedono una maggiore profondità della falda acquifera, sia perchè il cimitero acattolico è sotto vincolo monumentale della sopraintendenza dei monumenti di Verona e quindi non è suscettibile di lavori che lo rendano compatibile con le nuove norme in materia. Non si mancò tuttavia di evidenziare che una concessione cimiteriale in Italia esige la certezza che chi cura la sepoltura di una salma deve rigorosamente rispettare "le regole": in questa sottolineatura era sottintesa la convinzione che i musulmani, refrattari ad una vera integrazione (che nella testa di molti sarebbe l'accettazione del battesimo e degli altri sacramenti della religione cattolica), non avrebbero rispettato regole di alcun genere e avrebbero trasformato il cimitero acattolico in una specie di "suq" arabo.
Non si cercò di spiegare agli amministratori del momento che il carattere distintivo delle sepolture islamiche è la sobrietà, la mancanza di sfarzo, l'assenza di statue e di simboli religiosi troppo vistosi, e ciò in base al principio che di fronte alla morte siamo tutti uguali. Si omise anche di spiegare che la presenza di immagini che raffigurano angeli, santi, figure umane allontana per i musulmani la presenza benefica degli spiriti angelici veri. In tal modo la domanda a suo tempo presentata finì nel dimenticatoio della passata amministrazione comunale. Da notare che in un incontro con i rappresentanti della comunità ebraica di Vicenza si era dichiarata la incondinzionata disponibilità a dividere lo spazio cimiteriale.
Cambiata la civica amministrazione si è tornati a riattivare la questione. Fu di nuovo esclusa nei primi incontri la possibilità di usufruire dell'esistente cimitero acattolico (dove, paradossalmente, esiste anche un'abitazione per il custode addetto alla manutenzione) e si passò a una articolata trattativa per individuare un'area diversa che non sarebbe stato possibile delimitare all'interno del cimitero comunale ormai praticamente al completo e si doveva quindi cercare un'area diversa che non comportasse spese per il comune e che andava individuata d'intesa con gli uffici tecnici comunali. Ed ecco quel che accadde:
Sugli articoli che precedono occorre fare alcune considerazioni:
1 - Il titolo "cimitero islamico a Polegge" è errato. La comunità islamica vicentina non ha mai chiesto un cimitero riservato ai musulmani ma un cimitero acattolico che prenda il posto di quello esistente e dichiarato inagibile. Siamo perfettamente consapevoli che l'Italia è un paese laico e che quindi cimiteri "confessionali" e cioè riservati a defunti di una sola religione non sono compatibili col principio che i servizi cimiteriali sono servizi pubblici;
2 - Sulla questione si è avventato come un avvoltoio il solito rappresentante della lega, al quale, evidentemente, non sta assolutamente a cuore la difesa della laicità dello stato visto che il suo partito di appartenenza sostiene che in Italia (o in padania) la sola religione tollerabile è quella cattolica apostolica (e il "romana" dove lo mettono?); quel che interessa è invece consumare l'ennesima provocazione anti-islamica e un'odiosa discriminazione nei confronti dei morti: teme forse che nella tombe musulmane possano nascondersi depositi di armi, guerriglieri kamikaze, o che si possano creare intralci per il traffico?;
3 - Resta evidente, nel terzo articolo, che l'entrata in campo della lega ha avuto come seguito la marcia indietro del Sindaco Variati il quale, dimenticando che da quando la sua amministrazione è in carica esempi di incontro e di collaborazione tra i musulmani residenti a Vicenza e numerosi assessori della sua giunta sono stati numerosi e proficui, al pari della significativa collaborazione che la comunità intrattiene con la Charitas, con la Croce Rossa e con l'Avis, se ne viene fuori con le frasi "Non conosco bene la comunità islamica di Vicenza e non so bene cosa faccia!". Circa le priorità comparse solo ora ed elencate dal Sindaco insieme alla impossibilità di affrontare spese da parte del Comune ci viene da rispondere che poteva dircele prima senza trascurare che la comunità islamica ha ribadito più volte di essere pronta a farsi carico di ogni spesa.
E' evidente che Variati ha paura della lega o non vuole un cimitero in cui anche i musulmani residenti a Vicenza , COMPRESI QUELLI CHE HANNO LA CITTADINANZA ITALIANA, abbiano un luogo di sepoltura in città. Nell'uno e nell'altro caso saremo costretti a richiedere un formale provvedimento amministrativo di reiezione della nostra richiesta e a tutelare i nostri diritti indisponibili davanti al Tar Veneto o di fronte alla Corte Europea per la Difesa dei Diritti dell'Uomo con sede a Strasburgo: e questa volta non saranno sufficienti benevole letterine interlocutorie o assicurazioni riguardanti un futuro imprecisato ed incerto a farci stare buoni. I diritti sono diritti, le promesse generiche sono promesse generiche, le chiacchiere sono chiacchiere.
venerdì 26 novembre 2010
ISLAM
Il post che abbiamo finora sviluppato si sono soffermati a polemizzare nei confronti di quanti cercano di dare delle religione islamica una versione deformata, quando non addirittura falsa. Abbiamo così affrontato i temi che più facilmente si prestano alla polemica falsificatrice: la pretesa intolleranza dei musulmani, la condizione di inferiorità della donna, l'eccessivo rigorismo morale.
E' giunto il momento di approfondire invece i caratteri e i contenuti della religione islamica, che conta oggi oltre un miliardo e mezzo di fedeli nel mondo e che si presenta come la fede religiosa in maggiore e tumultuosa crescita in ogni parte del mondo: basti pensare, ad esempio che vivono oggi in Europa dai 30 ai 35 milioni di musulmani, mentre oltre 10 milioni sono presenti negli Stati Uniti d'America.
Quasi tutte le religioni prendono nome dal loro fondatore o dal popolo in cui hanno avuto origine. Il Cristianesimo prende il nome da colui che lo ha predicato, il Cristo, il Buddismo da Budda, lo Zoloastrismo da Zoloastro, il Giudaismo da o Ebraismo dal nome della tribù di Giuda, ecc.ecc. L'Islam invece presenta la particolarità di non essere associato ad alcun uomo ne ad un popolo particolare; questo perchè l'Islam non appartiene in particolare ne ad una persona ne ad un paese ne ad un popolo. Esso non è il prodotto di uno spirito umano o di una comunità specifica ma è una religione universale che ha il fine di suscitare e di coltivare nell'uomo qualità e atteggiamenti tipici.
L'Islam è in realtà un attributo: chi lo possiede è musulmano quale che sia la razza, la comunità e il paese cui egli appartiene. Secondo il Corano l'Islam esiste da sempre, e vive in mezzo a tutti i popoli che vivono secondo regole di bontà e di virtù e che, per queste qualità, possono definirsi buoni musulmani. E a questo punto viene da porsi una duplice domanda: che cosa significa la parola Islam? Che cosa è un musulmano?
A - La parola Islam è una parola araba che significa "sottomissione, obbedienza" nel suo aspetto religioso l'Islam predica la sottomissione e l'obbedienza totale a Dio.
1 - Chiunque può rendersi conto che il nostro è un universo ordinato in cui tutte le cose sono rette da leggi e
regole. Ogni sua singola parte ha un posto fissato in un grandissimo insieme che funziona perfettamente. Il sole, la luna e tutti i corpi celesti appartengono allo stesso sistema e ciascuno di essi segue un corso invariabile in virtù di leggi immutabili. La terra ruota sul suo asse e le sue rivoluzioni intorno al sole scelgono una traiettoria determinata. Dall'elettrone alla nebulosa, tutto nell'universo obbedisce a proprie leggi, in virtù delle quali la materia, l'energia e la vita appaiono, si trasformano e scompaiono. Lo stesso avviene per l'uomo. La nascita la crescita e l'esistenza dell'uomo, nel quadro della natura, sono regolate da un sistema di leggi biologiche che regolano il funzionamento e il complesso meccanismo biologico dell'uomo: dalle cellule più piccole al cuore e al cervello;
2 - L'ordine cosmico che regge l'universo, dall'atomo alle galassie è la legge di Dio il Creatore e Signore dell'universo. Poichè tutto il creato obbedisce alle leggi divine si può affermare che tutto l'universo segue la religione dell'Islam, perchè Islam non significa altro che sottomissione e obbedienza ad Allah e le sue leggi. Il sole, la luna, la terra e i corpi celesti sono perciò musulmani come l'aria, l'acqua, i minerali, le piante e gli animali. Tutto, nell'universo è musulmano perchè tutto obbedisce alle leggi di Dio. La stessa lingua di chi per ignoranza nega l'esistenza di Dio o adora numerosi dei è musulmano. Il cuore di chi per ignoranza ama e serve altre divinità è istintivamente musulmano. Le parti del suo corpo infatti, sono tutte sottomesse alla legge divina e le loro funzioni e i loro movimenti dipendono da questa legge.
3 - L'uomo possiede una duplice natura e la sua vita si svolge su piani distinti. Da un lato, come tutte le creature, egli si trova in condizioni di assoluta dipendenza dalle leggi divine a cui non può sottrarsi. Dall'altro, però egli è dotato di ragione ed intelligenza, ha il potere e di pensare e giudicare, di scegliere e di rigettare, di approvare e disapprovare. Egli è libero di scegliere la sua religione, il suo genere di vita e può orientare la sua esistenza a seconda delle idee che ha scelto. Egli può tracciare il suo codice di comportamento o accettarne uno dettato da altri. Egli è stato dotato da Dio di libero arbitrio e può decidere come comportarsi. A differenza delle altre creature egli ha ricevuto la libertà di pensiero, di opinione e di azione;
4 - Come tutte le creature l'uomo è nato e resta musulmano, perchè obbedisce automaticamente all'ordine divino. A differenza delle altre creature, essendo fornito di libertà di scelta è libero di essere o di non essere musulmano; e il modo in cui esercita questa libertà comporta la divisione dell'umanità in credenti e non credenti. chi sceglie di riconoscere il suo Creatore come unico Signore si sottopone ai suoi comandamenti, segue la legge che egli ha rivelato all'uomo per la sua vita individuale e sociale e diventa un perfetto musulmano che ha deciso volontariamente di obbedire ad Allah nell'esercizio della sua facoltà di scelta. La sua intera vita non conosce conflitti all'interno della sua personalità: egli è un musulmano perfetto e il suo Islam è totale. La sua conoscenza è una conoscenza reale, perchè egli ha riconosciuto l'Essere che gli ha dato la capacità di conoscere; la sua ragione e il suo giudizio sono armoniosamente equilibrati perchè egli ha deciso di obbedire all'Essere che gli ha dato la capacità di pensare e di giudicare. Anche la sua lingua esprime la verità perchè essa loda il Signore che gli ha dato la parola egli è in armonia con l'intero universo perchè adora colui che tutto l'universo adora. Un uomo siffatto è il "Kalifa" di Dio sulla terra. Il mondo gli appartiene ed egli appartiene ad Allah.
B - Il Miscredente:
All'opposto dell'uomo di cui abbiamo parlato nel punto precedente vi è colui che, pur essendo musulmano per natura, anche sei inconsapevolmente, per tutta la vita non esercita la sua ragione la sua intelligenza e la sua intuizione per riconoscere il Creatore e si serve della sua libertà di scelta per negarne l'esistenza: un uomo simile è un non credente e cioè un "kafir" (da "kufr" che significa dissimulazione.
In effetti l'uomo che nega Allah è "dissimulatore", perchè egli nasconde ciò che è intrinseco alla sua natura di essere animato, perchè tutta la sua anima è naturalmente orientata verso l'Islam. Ogni cellula del suo organismo è sottomessa a questo istinto e svolge la propria funzione in accordo con la legge di Dio. Ma la sua vista è stata oscurata e il suo spirito è incapace di ammettere l'evidenza. Egli non conosce la sua vera natura e i suoi atti e i suoi pensieri sono in contrasto con essa: la realtà gli diviene estranea ed egli brancola nelle tenebre. Vi è un passo lasciato dal Profeta Giovanni che enuncia lo stesso concetto con queste parole: "L'uomo ricevette la luce dal Creatore, ma ha preferito le tenebre".
Il kafir è in realtà un ignorante, perchè non si può concepire un'ignoranza maggiore di quella che ha per oggetto Dio, il Creatore dell'Universo. Egli osserva l'immenso panorama della natura, il suo meccanismo perfetto e immutabile la grandiosa concezione della creazione, ma ignora che l'ha congegnata e la dirige. Egli esamina il proprio corpo che funziona in modo stupefacente, se ne serve per realizzare i propri fini ma è incapace di identificare la forza che l'ha suscitato, il Grande Architetto che l'ha concepito e prodotto, il Creatore che ha dato esistenza dal nulla a questo essere unico, l'uomo, utilizzando materie inanimate: carbonio, calcio, sodio. Egli riconosce nell'universo una concezione sublime, ma nega colui che l'ha concepita, ne ammira il funzionamento armonioso ma non ne vede il Creatore. Egli può trovare nell'universo le più vistose dimostrazioni di maestria nella scienza, nella filosofia, nelle matematiche, ma resta cieco rispetto all'Essere che è all'origine di tutto questo infinito universo. Egli non potrà mai spiegare la realtà, la vera strada dell'Essere Supremo gli sarà preclusa e qualsiasi cosa egli intraprenda in campo scientifico o del pensiero non potrà mai godere delle luci della verità e della sapienza.
Per comprendere l'assurdità del kafir, potrà capitarvi di incontrarne uno che sa esattamente chi ha progettato la cupola del Brunelleschi, la Basilica Palladiana o l'autore della Divina Commedia ma negherà che esiste un autore dell'universo. Può anche capitare che il kafir si vanti di aver scoperto una legge naturale, ma negherà che tale legge presuppone un supremo legislatore che l'ha posta.
Colui che nega Dio, il kafir si rende in questo modo colpevole di un'ingiustizia gravissima perchè utilizza le capacità del suo corpo e della sua ragione in modo contrario alle tendenze della natura e in tal modo diviene il volontario strumento del dramma della negazione e della disobbedienza.
A volte il kafir inchina il capo davanti a falsi dei, nutre nel suo cuore amore, rispetto e timore per un'autorità divina immaginaria e con ciò entra in contraddizione con i suoi istinti più profondi. Egli utilizza il potere di cui dispone contro l'autorità di Dio e crea in tal modo le condizioni per far regnare la tirannia dello Spirito della Distruzione.
Il kafir non è solamente un potenziale tiranno ma un essere ingrato e infedele. Egli usa il suo cervello, il suo cuore, il suo corpo e nega Dio che ha creato l'universo. E se Dio è il Creatore, colui al quale tutto appartiene, c'è forse al mondo un ribelle più grande dell'uomo che si serve della creazione contro i decreti di Dio, che rivolta il suo spirito e il suo cuore contro Allah e che utilizza le sue capacità contro la sua volontà?
Gli obblighi maggiori su questa terra l'uomo gli ha nei confronti dei suoi genitori. Ma chi ha messo nel cuore dei genitori l'amore per i figli? Donde nasce il fatto che una madre ha il desiderio innato di nutrire i figli? Evidentemente da Dio che è il più grande benefattore dell'uomo, il suo Creatore, colui che lo nutre e lo fa vivere; ma se questa è la posizione di Dio nei confronti dell'uomo non ci può essere tradimento più grande di quello del kafir che rinnega il suo vero Signore.
Vi è anche il kafir che pensa che la sua incredulità negatrice possa far torto all'Onnipotente. Ma quale torto potrebbe fare l'uomo, questo insignificante granello di polvere sulla faccia di un minuscolo pianeta rotante in un infinito universo al Signore di tutti gli esseri di tutti i mondi e di tutti i tempi, il cui dominio è così vasto che neppure i più potenti telescopi consentono di immaginarne i limiti. La ribellione dell'uomo contro Dio non può arrecargli alcun Dio mentre al contrario questa disobbedienza fa cadere l'uomo sulla via della rovina.
La conseguenza di questa ribellione e di questo rifiuto è il fallimento degli ideali ultimi della vita. Il kafir non potrà mai trovare la via della vera conoscenza; ed infatti il sapere che non che non è capace di scoprire il suo Creatore non può scoprire nessuna verità. Il kafir subirà sconfitte in ogni campo, anche quando crede di essere vincitore: la sua vita morale, civile, sociale, famigliare e la sua lotta per assicurarsi un'esistenza dignitosa sarà contaminato dal suo atteggiamento negativo verso Dio. Egli non finirà che con il provocare disordine e confusione sulla terra, senza l'ombra di un rimorso farà scorrere il sangue, calpesterà i diritti dei suoi simili, sarà spietato nei loro confronti, susciterà disordine e distruzione. I suoi pensieri perversi, i falsi valori in cui confida, le sue attività saranno nefasti. Il kafir può rovinare la pace e l'equilibrio della vita sulla terra e dovrà rispondere dei delitti che ha commesso contro se stesso e contro ciò che esiste.
"Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso, sia lode al nome di Dio, il Clemente e Misericordioso, Signore dei Mondi, Sovrano del Giorno del Giudizio. Te preghiamo a te rivolgiamo le nostre suppliche. Conducici sulla strada di coloro ai quali hai elargito la Tua Grazia! Allontanaci dalla strada di coloro che sono incorsi nella tua ira o sono forviati!" (Cor. sura I "Apriente")
"O Signore dell'Alba, proteggimi da coloro che stringono i nodi; proteggimi dai terrori di una notte tempestosa proteggimi dal male che Tu stesso hai creato; proteggimi dal male dell'invidioso quando invidia."
(Cor.sura CXIV, "Il Signore dell'Alba")
E' giunto il momento di approfondire invece i caratteri e i contenuti della religione islamica, che conta oggi oltre un miliardo e mezzo di fedeli nel mondo e che si presenta come la fede religiosa in maggiore e tumultuosa crescita in ogni parte del mondo: basti pensare, ad esempio che vivono oggi in Europa dai 30 ai 35 milioni di musulmani, mentre oltre 10 milioni sono presenti negli Stati Uniti d'America.
Quasi tutte le religioni prendono nome dal loro fondatore o dal popolo in cui hanno avuto origine. Il Cristianesimo prende il nome da colui che lo ha predicato, il Cristo, il Buddismo da Budda, lo Zoloastrismo da Zoloastro, il Giudaismo da o Ebraismo dal nome della tribù di Giuda, ecc.ecc. L'Islam invece presenta la particolarità di non essere associato ad alcun uomo ne ad un popolo particolare; questo perchè l'Islam non appartiene in particolare ne ad una persona ne ad un paese ne ad un popolo. Esso non è il prodotto di uno spirito umano o di una comunità specifica ma è una religione universale che ha il fine di suscitare e di coltivare nell'uomo qualità e atteggiamenti tipici.
L'Islam è in realtà un attributo: chi lo possiede è musulmano quale che sia la razza, la comunità e il paese cui egli appartiene. Secondo il Corano l'Islam esiste da sempre, e vive in mezzo a tutti i popoli che vivono secondo regole di bontà e di virtù e che, per queste qualità, possono definirsi buoni musulmani. E a questo punto viene da porsi una duplice domanda: che cosa significa la parola Islam? Che cosa è un musulmano?
A - La parola Islam è una parola araba che significa "sottomissione, obbedienza" nel suo aspetto religioso l'Islam predica la sottomissione e l'obbedienza totale a Dio.
1 - Chiunque può rendersi conto che il nostro è un universo ordinato in cui tutte le cose sono rette da leggi e
regole. Ogni sua singola parte ha un posto fissato in un grandissimo insieme che funziona perfettamente. Il sole, la luna e tutti i corpi celesti appartengono allo stesso sistema e ciascuno di essi segue un corso invariabile in virtù di leggi immutabili. La terra ruota sul suo asse e le sue rivoluzioni intorno al sole scelgono una traiettoria determinata. Dall'elettrone alla nebulosa, tutto nell'universo obbedisce a proprie leggi, in virtù delle quali la materia, l'energia e la vita appaiono, si trasformano e scompaiono. Lo stesso avviene per l'uomo. La nascita la crescita e l'esistenza dell'uomo, nel quadro della natura, sono regolate da un sistema di leggi biologiche che regolano il funzionamento e il complesso meccanismo biologico dell'uomo: dalle cellule più piccole al cuore e al cervello;
2 - L'ordine cosmico che regge l'universo, dall'atomo alle galassie è la legge di Dio il Creatore e Signore dell'universo. Poichè tutto il creato obbedisce alle leggi divine si può affermare che tutto l'universo segue la religione dell'Islam, perchè Islam non significa altro che sottomissione e obbedienza ad Allah e le sue leggi. Il sole, la luna, la terra e i corpi celesti sono perciò musulmani come l'aria, l'acqua, i minerali, le piante e gli animali. Tutto, nell'universo è musulmano perchè tutto obbedisce alle leggi di Dio. La stessa lingua di chi per ignoranza nega l'esistenza di Dio o adora numerosi dei è musulmano. Il cuore di chi per ignoranza ama e serve altre divinità è istintivamente musulmano. Le parti del suo corpo infatti, sono tutte sottomesse alla legge divina e le loro funzioni e i loro movimenti dipendono da questa legge.
3 - L'uomo possiede una duplice natura e la sua vita si svolge su piani distinti. Da un lato, come tutte le creature, egli si trova in condizioni di assoluta dipendenza dalle leggi divine a cui non può sottrarsi. Dall'altro, però egli è dotato di ragione ed intelligenza, ha il potere e di pensare e giudicare, di scegliere e di rigettare, di approvare e disapprovare. Egli è libero di scegliere la sua religione, il suo genere di vita e può orientare la sua esistenza a seconda delle idee che ha scelto. Egli può tracciare il suo codice di comportamento o accettarne uno dettato da altri. Egli è stato dotato da Dio di libero arbitrio e può decidere come comportarsi. A differenza delle altre creature egli ha ricevuto la libertà di pensiero, di opinione e di azione;
4 - Come tutte le creature l'uomo è nato e resta musulmano, perchè obbedisce automaticamente all'ordine divino. A differenza delle altre creature, essendo fornito di libertà di scelta è libero di essere o di non essere musulmano; e il modo in cui esercita questa libertà comporta la divisione dell'umanità in credenti e non credenti. chi sceglie di riconoscere il suo Creatore come unico Signore si sottopone ai suoi comandamenti, segue la legge che egli ha rivelato all'uomo per la sua vita individuale e sociale e diventa un perfetto musulmano che ha deciso volontariamente di obbedire ad Allah nell'esercizio della sua facoltà di scelta. La sua intera vita non conosce conflitti all'interno della sua personalità: egli è un musulmano perfetto e il suo Islam è totale. La sua conoscenza è una conoscenza reale, perchè egli ha riconosciuto l'Essere che gli ha dato la capacità di conoscere; la sua ragione e il suo giudizio sono armoniosamente equilibrati perchè egli ha deciso di obbedire all'Essere che gli ha dato la capacità di pensare e di giudicare. Anche la sua lingua esprime la verità perchè essa loda il Signore che gli ha dato la parola egli è in armonia con l'intero universo perchè adora colui che tutto l'universo adora. Un uomo siffatto è il "Kalifa" di Dio sulla terra. Il mondo gli appartiene ed egli appartiene ad Allah.
B - Il Miscredente:
All'opposto dell'uomo di cui abbiamo parlato nel punto precedente vi è colui che, pur essendo musulmano per natura, anche sei inconsapevolmente, per tutta la vita non esercita la sua ragione la sua intelligenza e la sua intuizione per riconoscere il Creatore e si serve della sua libertà di scelta per negarne l'esistenza: un uomo simile è un non credente e cioè un "kafir" (da "kufr" che significa dissimulazione.
In effetti l'uomo che nega Allah è "dissimulatore", perchè egli nasconde ciò che è intrinseco alla sua natura di essere animato, perchè tutta la sua anima è naturalmente orientata verso l'Islam. Ogni cellula del suo organismo è sottomessa a questo istinto e svolge la propria funzione in accordo con la legge di Dio. Ma la sua vista è stata oscurata e il suo spirito è incapace di ammettere l'evidenza. Egli non conosce la sua vera natura e i suoi atti e i suoi pensieri sono in contrasto con essa: la realtà gli diviene estranea ed egli brancola nelle tenebre. Vi è un passo lasciato dal Profeta Giovanni che enuncia lo stesso concetto con queste parole: "L'uomo ricevette la luce dal Creatore, ma ha preferito le tenebre".
Il kafir è in realtà un ignorante, perchè non si può concepire un'ignoranza maggiore di quella che ha per oggetto Dio, il Creatore dell'Universo. Egli osserva l'immenso panorama della natura, il suo meccanismo perfetto e immutabile la grandiosa concezione della creazione, ma ignora che l'ha congegnata e la dirige. Egli esamina il proprio corpo che funziona in modo stupefacente, se ne serve per realizzare i propri fini ma è incapace di identificare la forza che l'ha suscitato, il Grande Architetto che l'ha concepito e prodotto, il Creatore che ha dato esistenza dal nulla a questo essere unico, l'uomo, utilizzando materie inanimate: carbonio, calcio, sodio. Egli riconosce nell'universo una concezione sublime, ma nega colui che l'ha concepita, ne ammira il funzionamento armonioso ma non ne vede il Creatore. Egli può trovare nell'universo le più vistose dimostrazioni di maestria nella scienza, nella filosofia, nelle matematiche, ma resta cieco rispetto all'Essere che è all'origine di tutto questo infinito universo. Egli non potrà mai spiegare la realtà, la vera strada dell'Essere Supremo gli sarà preclusa e qualsiasi cosa egli intraprenda in campo scientifico o del pensiero non potrà mai godere delle luci della verità e della sapienza.
Per comprendere l'assurdità del kafir, potrà capitarvi di incontrarne uno che sa esattamente chi ha progettato la cupola del Brunelleschi, la Basilica Palladiana o l'autore della Divina Commedia ma negherà che esiste un autore dell'universo. Può anche capitare che il kafir si vanti di aver scoperto una legge naturale, ma negherà che tale legge presuppone un supremo legislatore che l'ha posta.
Colui che nega Dio, il kafir si rende in questo modo colpevole di un'ingiustizia gravissima perchè utilizza le capacità del suo corpo e della sua ragione in modo contrario alle tendenze della natura e in tal modo diviene il volontario strumento del dramma della negazione e della disobbedienza.
A volte il kafir inchina il capo davanti a falsi dei, nutre nel suo cuore amore, rispetto e timore per un'autorità divina immaginaria e con ciò entra in contraddizione con i suoi istinti più profondi. Egli utilizza il potere di cui dispone contro l'autorità di Dio e crea in tal modo le condizioni per far regnare la tirannia dello Spirito della Distruzione.
Il kafir non è solamente un potenziale tiranno ma un essere ingrato e infedele. Egli usa il suo cervello, il suo cuore, il suo corpo e nega Dio che ha creato l'universo. E se Dio è il Creatore, colui al quale tutto appartiene, c'è forse al mondo un ribelle più grande dell'uomo che si serve della creazione contro i decreti di Dio, che rivolta il suo spirito e il suo cuore contro Allah e che utilizza le sue capacità contro la sua volontà?
Gli obblighi maggiori su questa terra l'uomo gli ha nei confronti dei suoi genitori. Ma chi ha messo nel cuore dei genitori l'amore per i figli? Donde nasce il fatto che una madre ha il desiderio innato di nutrire i figli? Evidentemente da Dio che è il più grande benefattore dell'uomo, il suo Creatore, colui che lo nutre e lo fa vivere; ma se questa è la posizione di Dio nei confronti dell'uomo non ci può essere tradimento più grande di quello del kafir che rinnega il suo vero Signore.
Vi è anche il kafir che pensa che la sua incredulità negatrice possa far torto all'Onnipotente. Ma quale torto potrebbe fare l'uomo, questo insignificante granello di polvere sulla faccia di un minuscolo pianeta rotante in un infinito universo al Signore di tutti gli esseri di tutti i mondi e di tutti i tempi, il cui dominio è così vasto che neppure i più potenti telescopi consentono di immaginarne i limiti. La ribellione dell'uomo contro Dio non può arrecargli alcun Dio mentre al contrario questa disobbedienza fa cadere l'uomo sulla via della rovina.
La conseguenza di questa ribellione e di questo rifiuto è il fallimento degli ideali ultimi della vita. Il kafir non potrà mai trovare la via della vera conoscenza; ed infatti il sapere che non che non è capace di scoprire il suo Creatore non può scoprire nessuna verità. Il kafir subirà sconfitte in ogni campo, anche quando crede di essere vincitore: la sua vita morale, civile, sociale, famigliare e la sua lotta per assicurarsi un'esistenza dignitosa sarà contaminato dal suo atteggiamento negativo verso Dio. Egli non finirà che con il provocare disordine e confusione sulla terra, senza l'ombra di un rimorso farà scorrere il sangue, calpesterà i diritti dei suoi simili, sarà spietato nei loro confronti, susciterà disordine e distruzione. I suoi pensieri perversi, i falsi valori in cui confida, le sue attività saranno nefasti. Il kafir può rovinare la pace e l'equilibrio della vita sulla terra e dovrà rispondere dei delitti che ha commesso contro se stesso e contro ciò che esiste.
"Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso, sia lode al nome di Dio, il Clemente e Misericordioso, Signore dei Mondi, Sovrano del Giorno del Giudizio. Te preghiamo a te rivolgiamo le nostre suppliche. Conducici sulla strada di coloro ai quali hai elargito la Tua Grazia! Allontanaci dalla strada di coloro che sono incorsi nella tua ira o sono forviati!" (Cor. sura I "Apriente")
"O Signore dell'Alba, proteggimi da coloro che stringono i nodi; proteggimi dai terrori di una notte tempestosa proteggimi dal male che Tu stesso hai creato; proteggimi dal male dell'invidioso quando invidia."
(Cor.sura CXIV, "Il Signore dell'Alba")
mercoledì 24 novembre 2010
LA DONNA NELL'ISLAM - SECONDA PARTE
Uno dei pregiudizi più diffusi contro l'Islam è certamente quello riguardante il tema della poligamia. Nell'era delle democrazie sembrerebbe evidente che se un uomo vale una donna e una donna vale un uomo, nulla potrebbe simboleggiare meglio l'uguaglianza dei sessi del matrimonio monogamico. La poligamia sembra così legata a concezioni arcaiche o a società primitive da tempo sorpassate o residuali.
Affrontiamo perciò il tema della poligamia esistente nell'Islam cercando di comprendere ciò che essa rappresenta nella realtà, astenendoci nella misura del possibile da apprezzamenti fondati su valutazioni astratte e superficiali, invece che su un giudizio basato sulla funzione reale dell'istituzione poligamica e sulle qualità specifiche dell'uomo e della donna.
Per intere generazioni gli esseri umani, per millenni e millenni, la poligamia è stata percepita come una pratica naturale che sarebbe stato assurdo mettere in discussione. Occorre quindi affrontare il tema con uno sforzo che ci permetta una riflessione critica che metta da parte giudizi troppo affrettati legati alla mentalità occidentale e sforzandoci di studiare la questione con uno sguardo obbiettivo e razionale.
L'Islam autorizza effettivamente la poligamia:
"...E se tenete di non essere equi nei confronti degli orfani, prendete allora delle mogli, due, tre o quattro tra le donne che vi piacciono; ma se tenete di non essere giusti, allora prendetene una sola" (Cor. IV, 3).
Il Profeta aveva incoraggiato i suoi compagni a farsi carico degli orfani integrandoli nelle loro famiglie. Questa azione umanitaria, tuttavia poteva rappresentare un peso eccessivo per una coppia monogama, così come spiega il sapiente Muhammad Hamidullah: "Se si prendono degli orfani per incorporarli alla famiglia una sola moglie non riesce a provvedere alla famiglia allargata; e allora si possono sposare altre donne fino a quattro".
E' questa la prima volta che una religione pone restrizioni al numero delle mogli. Non vi è nessuna restrizione di questo genere nè nell'Antico Testamento nè nel Nuovo Testamento. I fondatori del Protestantesimo (Lutero, Melantone, Zwngli) hanno dedotto dal Vangelo di Matteo il carattere lecito della poligamia nel Cristianesimo. Wespermarck sottolinea che, al tempo di Carlo Magno anche i preti cristiani praticavano la poligamia. Del resto i Profeti citati nella Bibbia erano quasi tutti poligami.
Il fatto che oggi il concetto di matrimonio monogamico venga assimilato al Cristianesimo è del tutto arbitrario. Il passaggio che tratta della monogamia nel Nuovo Testamento e nei maestri della Chiesa riguarda un obbligo limitato ai vescovi e ai diaconi (così in Timoteo: "Vescovi e diaconi devono essere sposati ad una sola donna, ma nessun membro della comunità cristiana è tenuto a restare monogamo").
Un secondo punto da sottolineare riguardo alla poligamia è che l'Islam non impone agli uomini di vivere secondo regole che non sarebbero capaci di rispettare. L'Islam non riconosce alla natura umana più virtù di quanta ne possieda. Invece di imporre una monogamia teorica, dietro la quale si cela l'adulterio, la legge ha autorizzato la poligamia limitandola ed autorizzandola. Solo menti perverse possono giudicare negativamente la poligamia che legalizza una situazione di fatto e, nello stesso tempo, ammettere che gli uomini possano avere avventure extra-coniugali nella ombra e nell'illegalità. Quale situazione è più vantaggiosa per una donna? Essere presa come amante e lasciata a seconda dei vari incontri in modo del tutto casuale, oppure, in conformità a disposizione di legge, essere a carico di un marito ufficialmente riconosciuto e responsabile? E quale tra queste due attitudini è propria di coloro che considerano la donna un essere prezioso di cui non si può abusare e al quale gli uomini devono rispetto? L'attitudine consistente nel godere e nell'approfittare liberamente e senza impegno di una donna che può essere abbandonata in ogni momento, con l'attitudine di coloro che ritengono che l'uomo non ha diritto a questo godimento se non dimostra attraverso il matrimonio l'intenzione di fondare una famiglia e la capacità di provvedere ai bisogni materiali di essa?
L'adulterio e la fornicazione sono diventati in occidente pratiche tanto correnti da farci pensare che pochi ammetteranno questo ragionamento, mentre altri squoteranno la testa immaginando una coppia ideale, che vive un amore esclusivo, assoluto ed eterno. Nessuno si ferma a considerare quante donne tradite e ingannate sono vittima della cosiddetta "liberazione dei costumi", e quante donne divorziate, vedove sole, o anziane dimenticate vivono in una società che non offre loro nessun calore umano a partire dal momento in cui, non essendo più in grado di essere donne a tutti gli effetti, sono tagliate fuori dal commercio del sesso.
A favore della poligamia possono essere portati ulteriori argomenti:
1 - L'argomento naturale: la donna, dopo la menopausa, non può più avere figli. L'uomo, invece può diventare padre fino a un'età molto avanzata: la natura gliene offre i mezzi, e impedirgli di usufruire delle sue risorse significa andare contro l'ordine voluto dalla natura.
2 - L'argomento democratico: la popolazione femminile tende a sovrastare nettamente quella maschile. Che cosa fare delle donne in eccedenza e che restano senza marito? Se si escludono la prostituzione e l'adulterio, l'unica soluzione ineccebile dal punto di vista morale può essere solo la poligamia.
3 - Ai due argomenti fin qui ricordati vorremmo aggiungere la visualizzazione di una carta geografica che evidenzia la diffusione nel mondo dell'Aids: in qualsiasi carta prevale purtroppo il rosso nelle sue varie gradazioni: solo i paesi che praticano l'Islam, il colore è quello bianco, la percentuale di Aids in questi paesi è prossima allo zero.
Vogliamo concludere il discorso sulla donna nell'Islam riprendendo l'argomento con il quale avevamo iniziato e cioè il tema del velo islamico. A proposito di questo vogliamo mettere in evidenza il fatto che esso costituisce un obbligo che si trova alle origini delle 3 religioni cosiddette monoteiste. La donna ebrea sposata deve portare il velo e coprirsi interamente i capelli. Nel Nuovo Testamento Paolo di Tarso pronuncia queste parole: "Se una donna non si mette il velo, si tagli anche i capelli. Ora, se è cosa vergognosa avere i capelli tagliati o essere rasata, allora si copra il capo con un velo".
Il Corano enuncia l'obbligo del velo femminile in 2 passaggi:
"Dì alle credenti di lasciar scendere i loro veli fino al seno". (Cor. XXIV, 31)
"O Profeta dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi con i loro veli: è per esse il miglior modo per farsi conoscere e per non essere offese". (Cor. XXXIII, 59)
Una hadith del Profeta riportato da Abu Dawud precisa il senso di questi versetti: "A partire dal momento in cui una donna ha la sua prima mestruazione, è opportuno che si veda di lei soltanto il volto e le mani".
Se ci atteniamo ai testi del Corano e della Sunna, la questione che di recente ha suscitato in tutto l'occidente molteplici polemiche non si presta ad alcun equivoco. La donna musulmana che sceglie di portare il velo non è "un'integralista fondamentalista" ma, semplicemente una musulmana praticante. Proibire ad una persona di praticare la sua religione significa manifestare un'intolleranza degna del fanatismo medievale che ha devastato l'Europa quando l'Islam prosperava e accoglieva i rappresentanti perseguitati delle altre religioni, a cominciare dagli ebrei.
Il velo non è un simbolo di asservimento della donna all'uomo, la musulmana sceglie liberamente alle indicazioni coraniche e alle raccomandazioni del Profeta. Essa obbedisce in questo modo a Dio, e da ciò deriva la sua autentica libertà, perchè decide in tal modo di rifiutare ogni altra dominazione. In società che manifestano apertamente la loro ostlità all'Islam il velo è una sfida all'ignoranza e all'intolleranza e per le donne musulmane credenti una prova di coraggio, di indipendenza e di determinazione.
La laicità dovrebbe significare che tutti i membri di una comunità sono liberi di esprimere le loro convinzioni in uno spirito di rispetto reciproco e senza costrizioni. Nell'Islam il velo è il segno del rispetto da parte della credente ai comandamenti di Dio. Impedire a una giovane liceale di esprimere la sua condizione costringendola a togliersi il velo equivale a ripetere il gesto della spietata inquisizione ed equivale ad arrogarsi il diritto di forzare l'altrui coscenza; e mette in evidenza come la libertà di cui si parla tanto spesso si limita in realtà a queste belle ed ipocrite parola: "Siete liberi di essere liberi a modo mio", mettendo in mostra i sottoprodotti di una cultura la cui moneta corrente è il sesso, la violenza e il denaro. La donna-oggetto, esposta agli sguardi di tutti, preoccupata più del suo aspetto esteriore che del suo cuore, è sottoposta ad una forma di schiavitù più subdola di quella che gli intellettuali laicisti pretendono di rintracciare nell'Islam, del quale non conoscono nulla.
La violazione della libertà, soprattutto di quella religiosa, in nome della libertà, è una delle tante falsità della cosiddetta cultura occidentale; ma a dispetto dei "laicisti" l'Islam rimarrà in ogni caso una scuola di saggezza e tolleranza:
"Non c'è costrizione nella religione". (Cor. II, 256)
Affrontiamo perciò il tema della poligamia esistente nell'Islam cercando di comprendere ciò che essa rappresenta nella realtà, astenendoci nella misura del possibile da apprezzamenti fondati su valutazioni astratte e superficiali, invece che su un giudizio basato sulla funzione reale dell'istituzione poligamica e sulle qualità specifiche dell'uomo e della donna.
Per intere generazioni gli esseri umani, per millenni e millenni, la poligamia è stata percepita come una pratica naturale che sarebbe stato assurdo mettere in discussione. Occorre quindi affrontare il tema con uno sforzo che ci permetta una riflessione critica che metta da parte giudizi troppo affrettati legati alla mentalità occidentale e sforzandoci di studiare la questione con uno sguardo obbiettivo e razionale.
L'Islam autorizza effettivamente la poligamia:
"...E se tenete di non essere equi nei confronti degli orfani, prendete allora delle mogli, due, tre o quattro tra le donne che vi piacciono; ma se tenete di non essere giusti, allora prendetene una sola" (Cor. IV, 3).
Il Profeta aveva incoraggiato i suoi compagni a farsi carico degli orfani integrandoli nelle loro famiglie. Questa azione umanitaria, tuttavia poteva rappresentare un peso eccessivo per una coppia monogama, così come spiega il sapiente Muhammad Hamidullah: "Se si prendono degli orfani per incorporarli alla famiglia una sola moglie non riesce a provvedere alla famiglia allargata; e allora si possono sposare altre donne fino a quattro".
E' questa la prima volta che una religione pone restrizioni al numero delle mogli. Non vi è nessuna restrizione di questo genere nè nell'Antico Testamento nè nel Nuovo Testamento. I fondatori del Protestantesimo (Lutero, Melantone, Zwngli) hanno dedotto dal Vangelo di Matteo il carattere lecito della poligamia nel Cristianesimo. Wespermarck sottolinea che, al tempo di Carlo Magno anche i preti cristiani praticavano la poligamia. Del resto i Profeti citati nella Bibbia erano quasi tutti poligami.
Il fatto che oggi il concetto di matrimonio monogamico venga assimilato al Cristianesimo è del tutto arbitrario. Il passaggio che tratta della monogamia nel Nuovo Testamento e nei maestri della Chiesa riguarda un obbligo limitato ai vescovi e ai diaconi (così in Timoteo: "Vescovi e diaconi devono essere sposati ad una sola donna, ma nessun membro della comunità cristiana è tenuto a restare monogamo").
Un secondo punto da sottolineare riguardo alla poligamia è che l'Islam non impone agli uomini di vivere secondo regole che non sarebbero capaci di rispettare. L'Islam non riconosce alla natura umana più virtù di quanta ne possieda. Invece di imporre una monogamia teorica, dietro la quale si cela l'adulterio, la legge ha autorizzato la poligamia limitandola ed autorizzandola. Solo menti perverse possono giudicare negativamente la poligamia che legalizza una situazione di fatto e, nello stesso tempo, ammettere che gli uomini possano avere avventure extra-coniugali nella ombra e nell'illegalità. Quale situazione è più vantaggiosa per una donna? Essere presa come amante e lasciata a seconda dei vari incontri in modo del tutto casuale, oppure, in conformità a disposizione di legge, essere a carico di un marito ufficialmente riconosciuto e responsabile? E quale tra queste due attitudini è propria di coloro che considerano la donna un essere prezioso di cui non si può abusare e al quale gli uomini devono rispetto? L'attitudine consistente nel godere e nell'approfittare liberamente e senza impegno di una donna che può essere abbandonata in ogni momento, con l'attitudine di coloro che ritengono che l'uomo non ha diritto a questo godimento se non dimostra attraverso il matrimonio l'intenzione di fondare una famiglia e la capacità di provvedere ai bisogni materiali di essa?
L'adulterio e la fornicazione sono diventati in occidente pratiche tanto correnti da farci pensare che pochi ammetteranno questo ragionamento, mentre altri squoteranno la testa immaginando una coppia ideale, che vive un amore esclusivo, assoluto ed eterno. Nessuno si ferma a considerare quante donne tradite e ingannate sono vittima della cosiddetta "liberazione dei costumi", e quante donne divorziate, vedove sole, o anziane dimenticate vivono in una società che non offre loro nessun calore umano a partire dal momento in cui, non essendo più in grado di essere donne a tutti gli effetti, sono tagliate fuori dal commercio del sesso.
A favore della poligamia possono essere portati ulteriori argomenti:
1 - L'argomento naturale: la donna, dopo la menopausa, non può più avere figli. L'uomo, invece può diventare padre fino a un'età molto avanzata: la natura gliene offre i mezzi, e impedirgli di usufruire delle sue risorse significa andare contro l'ordine voluto dalla natura.
2 - L'argomento democratico: la popolazione femminile tende a sovrastare nettamente quella maschile. Che cosa fare delle donne in eccedenza e che restano senza marito? Se si escludono la prostituzione e l'adulterio, l'unica soluzione ineccebile dal punto di vista morale può essere solo la poligamia.
3 - Ai due argomenti fin qui ricordati vorremmo aggiungere la visualizzazione di una carta geografica che evidenzia la diffusione nel mondo dell'Aids: in qualsiasi carta prevale purtroppo il rosso nelle sue varie gradazioni: solo i paesi che praticano l'Islam, il colore è quello bianco, la percentuale di Aids in questi paesi è prossima allo zero.
Vogliamo concludere il discorso sulla donna nell'Islam riprendendo l'argomento con il quale avevamo iniziato e cioè il tema del velo islamico. A proposito di questo vogliamo mettere in evidenza il fatto che esso costituisce un obbligo che si trova alle origini delle 3 religioni cosiddette monoteiste. La donna ebrea sposata deve portare il velo e coprirsi interamente i capelli. Nel Nuovo Testamento Paolo di Tarso pronuncia queste parole: "Se una donna non si mette il velo, si tagli anche i capelli. Ora, se è cosa vergognosa avere i capelli tagliati o essere rasata, allora si copra il capo con un velo".
Il Corano enuncia l'obbligo del velo femminile in 2 passaggi:
"Dì alle credenti di lasciar scendere i loro veli fino al seno". (Cor. XXIV, 31)
"O Profeta dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi con i loro veli: è per esse il miglior modo per farsi conoscere e per non essere offese". (Cor. XXXIII, 59)
Una hadith del Profeta riportato da Abu Dawud precisa il senso di questi versetti: "A partire dal momento in cui una donna ha la sua prima mestruazione, è opportuno che si veda di lei soltanto il volto e le mani".
Se ci atteniamo ai testi del Corano e della Sunna, la questione che di recente ha suscitato in tutto l'occidente molteplici polemiche non si presta ad alcun equivoco. La donna musulmana che sceglie di portare il velo non è "un'integralista fondamentalista" ma, semplicemente una musulmana praticante. Proibire ad una persona di praticare la sua religione significa manifestare un'intolleranza degna del fanatismo medievale che ha devastato l'Europa quando l'Islam prosperava e accoglieva i rappresentanti perseguitati delle altre religioni, a cominciare dagli ebrei.
Il velo non è un simbolo di asservimento della donna all'uomo, la musulmana sceglie liberamente alle indicazioni coraniche e alle raccomandazioni del Profeta. Essa obbedisce in questo modo a Dio, e da ciò deriva la sua autentica libertà, perchè decide in tal modo di rifiutare ogni altra dominazione. In società che manifestano apertamente la loro ostlità all'Islam il velo è una sfida all'ignoranza e all'intolleranza e per le donne musulmane credenti una prova di coraggio, di indipendenza e di determinazione.
La laicità dovrebbe significare che tutti i membri di una comunità sono liberi di esprimere le loro convinzioni in uno spirito di rispetto reciproco e senza costrizioni. Nell'Islam il velo è il segno del rispetto da parte della credente ai comandamenti di Dio. Impedire a una giovane liceale di esprimere la sua condizione costringendola a togliersi il velo equivale a ripetere il gesto della spietata inquisizione ed equivale ad arrogarsi il diritto di forzare l'altrui coscenza; e mette in evidenza come la libertà di cui si parla tanto spesso si limita in realtà a queste belle ed ipocrite parola: "Siete liberi di essere liberi a modo mio", mettendo in mostra i sottoprodotti di una cultura la cui moneta corrente è il sesso, la violenza e il denaro. La donna-oggetto, esposta agli sguardi di tutti, preoccupata più del suo aspetto esteriore che del suo cuore, è sottoposta ad una forma di schiavitù più subdola di quella che gli intellettuali laicisti pretendono di rintracciare nell'Islam, del quale non conoscono nulla.
La violazione della libertà, soprattutto di quella religiosa, in nome della libertà, è una delle tante falsità della cosiddetta cultura occidentale; ma a dispetto dei "laicisti" l'Islam rimarrà in ogni caso una scuola di saggezza e tolleranza:
"Non c'è costrizione nella religione". (Cor. II, 256)
martedì 23 novembre 2010
LA DONNA NELL'ISLAM
Largamente diffusa in occidente è la convinzione secondo la quale la donna musulmana è maltrattata, segregata e disprezzata. In realtà l'Islam ha dato alla donna, sia sul piano spirituale e religioso sia su quello socio-comunitario, uno "status" che non è stato eguagliato da nessun altra società umana almeno fino ai giorni nostri.
I - Sul piano spirituale la donna è considerata dall'Islam come una creatura eguale in tutto e per tutto all'uomo. Dice il Corano (Cor. IV, 1):
"O uomini! Temete il vostro Signore che vi ha creato da un solo essere e che da esso ha creato la sua sposa, e che fece nascere dalla loro unione un gran numero di uomini e donne".
Nell'occidente cristiano, nel medioevo, numerosi filosofi e teologi si interrogavano per sapere se una donna avesse un'anima o se potesse sperare di avere accesso in paradiso: "Non è forse lei l'origine del male sulla terra? E non è ella forse associata al serpente?". Così Agostino di Ippona escluse che la donna avesse un'anima, mentre Cirillo di Alessandria, responsabile del feroce supplizio inflitto dai suoi fanatici seguaci ad Ipazia, eccelsa matematica e filosofa neoplatonica, scrisse in una sua opera apologetica che gli ha guadagnato il titolo di sapiente della chiesa, che "alla donna non si doveva insegnare nè a leggere nè a scrivere per non aumentare la sua pericolosità di complice del demonio".
Nel VII secolo, il Corano afferma invece l'origine comune dell'uomo e della donna, e la loro identità spirituale: la donna è responsabile dei suoi atti e lei sola dovrà renderne conto davanti a Dio: "In verità non lascio che vada perduta l'opera di chi agisce bene, uomo e donna che sia. Voi uomini e voi donne siete gli uni degli altri" (Cor. III, 195). "Certo Dio assicurerà una vita beata ad ogni credente, uomo o donna che compia il bene" (Cor. XVI, 97).
"Sì, quelli che sono sottomessi a Dio e quelle che sono a lui sottomesse, i credenti e le credenti, gli uomini pii e le donne pie, gli uomini sinceri e le donne sincere, gli uomini pazienti e le donne pazienti, gli uomini e le donne che temono Dio, fanno l'elemosina e rispettano il digiuno di Ramadan, gli uomini casti e le donne caste, gli uomini e le donne che invocano spesso il nome di Dio, il Signore ha riservato perdono e magnifica ricompensa" (Cor. XXXIII).
Nel contesto di una società meccana in cui la donna svolgeva un ruolo più che secondario, è sorprendente trovare nel Corano una sura intitolata col nome di una donna, Miriam, un nome che viene menzionato 34 volte nel Corano: "E gli Angeli dissero: "O Miriam! Dio ti ha eletta, ti ha purificato e ti ha elevato la di sopra delle donne dei mondi". E fu così che la madre di Gesù divenne per i musulmani un modello di purezza e di santità".
II - Sul piano comunitario l'Islam ha compiuto una vera e propria rivoluzione culturale e sociale nell'indicare chiaramente quale deve essere, nella società umana, il ruolo delle figlie, delle spose e delle madri:
A - Le figlie. Nell'Arabia pre-islamica esisteva un costume barbarico che consisteva nel seppellire vive le neonate per paura della povertà: la bambina veniva infatti considerata una bocca in più da sfamare, ma, soprattutto la nascita di una figlia era considerata una vergogna. L'Islam ha abolito questa pratica condannandola severamente:
"Quando si annuncia ad un uomo la nascita di una figlia, il suo volto si adombra egli soffoca, si tiene in disparte lontano dalla gente, a causa della disgrazia che gli è stata annunciata. Conserverà egli questa bambina nonostante la sua vergogna o la seppellirà nella sabbia? E il suo giudizio non è forse detestabile?" ... "Il giorno del giudizio verrà chiesto alla neonata sepolta viva per quale colpa sia stata uccisa... Ma nessuno potrà dare giustificazione di questo omicidio".
Anche con i suoi atteggementi personali il Profeta non ha perduto occasione per contrastare i giudizi degli Arabi contro le bambine e le donne. Così, ad esempio egli usava effettuare la preghiera del venerdì portando su di sè la nipotina Umama. L'erudito Al-Fakihami nel commentare questo giusto, afferma: "E' come se la segreta intenzione del Profeta nel portare Umama fosse di metter fine all'abitudine degli Arabi di detestare le bambine. Essendo la preghiera l'atto più nobile del musulmano, quale modo migliore per far comprendere agli Arabi il posto di gran valore che d'ora in poi le loro figlie dovevano occupare nei loro cuori?". In più occasioni il profeta raccomanda ai genitori di non mostrare una preferenza per uno dei figli a discapito degli altri: essi debbono essere giusti sotto ogni aspetto con i maschi e con le femmine "Colui che ha una figlia, non la insulta e non favorisce il figlio maschio a suo vantaggio, Dio lo farà entrare in paradiso come uomo giusto" (Ahmad Ibn Hanbal).
Maschi e femmine hanno diritto allo stesso amore, occorrerà attendere dieci secoli perchè questa equità, che nell'ambito famigliare pone ogni figlio allo stesso livello degli altri, sia realizzata in occidente. Fino al XVII secolo, infatti, era considerato normale avvantaggiare un figlio, generalmente primogenito. Come esempio ci basta ricordare la tragica storia di Gertrude condannata a farsi monaca come racconta ampiamente il Manzoni nel suo romanzo I Promessi Sposi.
B - La sposa. Nell'Islam la tenerezza e la misericordia sono la base della vita coniugale: "Tra i segni di Dio vi è che Egli ha creato a partire da voi stessi, per voi delle spose affinchè trovaste presso di loro la calma e un rifugio. Egli ha stabilito tra voi legami di tenerezza e misericordia ed ha aggiunto a questo la possibilità di scambiarsi nel talamo il piacere naturale. In tutto ciò vi sono segni certi di Dio per tutti coloro che hanno ragione" (Cor. XXX, 21).
Il legame d'amore è reciproco e l'uomo e la donna sono assolutamente indispensabili l'uno all'altro per realizzare un'unione armoniosa che garantisca il pieno sviluppo di ciascuno. La donna, dunque, non è un oggetto di cui l'uomo dispone senza alcun riguardo. E' un essere umano la cui sensibilità è certa ed è un rifugio per l'uomo così come l'uomo è un rifugio per lei: "Siano le donne una veste per voi uomini e voi uomini siate una veste per le donne" (Cor. II, 187).
Il Profeta ha dichiarato: "Il più perfetto dei credenti è colui che ha il migliore carattere e migliori fra voi sono coloro che le loro donne giudicano i migliori ... comportatevi quindi con gentilezza nei confronti delle vostre spose" (Cor. IV, 19).
La legge islamica precisa che non si può far sposare una donna senza il suo consenso. Ibn Abas riporta che una giovane donna si recò in visita dal Profeta dichiarandogli che suo padre voleva assolutamente costringerla al matrimonio. Il Profeta le disse: "Spetta a te la scelta di rifiutare o di accettare. Nessun padre ha il diritto di costringere una donna al matrimonio".
Ciò avveniva nel VII secolo, mentre in Europa è solo molto di recente che si comincia a riconoscere alle donne questo diritto.
Nell'Islam la donna può avere proprietà, può stipulare contratti, effettuare commercio e scambi. "Agli uomini spetta una parte di ciò che si saranno guadagnati, e alle donne spetta una parte di quello che si saranno guadagnate" (Cor. IV, 32).
Una volta sposata la donna musulmana resta proprietaria dei suoi averi; essa è libera di disporre dei suoi bene come meglio crede; ed è in questo contesto che vanno lette le regole islamiche relative all'eredità. Se l'uomo ha l'obbligo giuridico di provvedere ai bisogni materiali della sua famiglia, mentre la donna dispone liberamente della sua fortuna senza renderne conto al marito, è ovvio che a quest'ultimo spetti una parte più importante delle eredità: "Quanto ai vostri figli, Dio vi ordina di attribuire al maschio una parte equivalente di quella di due femmine" (Cor. IV, 11). Bisogna inoltre far presente che nell'Islam la dote è a carico del marito. In realtà non si tratta di una dote vera e propria ma di una specie di "salario d'onore": una sorta di risarcimento che il marito versa a sua moglie, e non ai suoi genitori come riparazione per ciò che il matrimonio può rappresentare di oneroso per lei. La donna, infatti, detenendo una personalità giuridica completa, può godere in modo pieno ed esclusivo dei suoi beni, sui quali nè i suoi genitori nè suo marito hanno alcun diritto, nemmeno quello di esserne informati.
L'Islam autorizza la donna a ricoprire diverse funzioni sociali: nutrice, istitutrice, insegnante, infermiera e medico. Esso ritiene tuttavia che il ruolo più importante della donna sia all'interno della famiglia, anche se nulla le impedisce, in caso di assoluta necessità, di cercare un lavoro retribuito. Nella società islamica, peraltro il lavoro femminile alle dipendenze di terzi non è una regola generale perchè l'Islam, in quanto religione naturale, ha assegnato alla donna un ruolo sociale corrispondente alla sua natura. Anche se si può parlare di eguaglianza di diritti tra l'uomo e la donna, ciò non deve impedire di tener conto delle differenti funzioni dei due sessi:
"Esse hanno diritti equivalenti ai loro doveri, conformemente alla buone consuetudini. Gli uomini hanno però una preminenza su di esse" (Cor. II, 228).
L'uomo ha diversi caratteri vantaggiosi rispetto alla donna: la forza fisica, la resistenza lavorativa e la facoltà di prendere decisioni maggiormente ponderate. La donna, invece, è dotata di acuta sensibilità e di fine intuizione; queste sono qualità corrispondenti alla sua funzione naturale, che consiste nell'allevamento dei figli e della capacità di far fronte in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione alle più essenziali capacità della vita. All'uomo compete quindi il ruolo di capo famiglia:
"Le donne sono a carico degli uomini e sotto la loro direzione in ragione dei vantaggi che Dio ha accordato agli uni rispetto alle altre e in ragione delle spese che essi sostengono che essi sostengono per il loro mantenimento" (Cor. IV, 34).
E' all'uomo che incombe la responsabilità finanziaria della coppia ed è dunque normale che egli assuma la direzione della famiglia. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che il marito, nella famiglia musulmana, si possa comportare un tirannico dittatore. L'Islam insiste sull'utilità delle consultazioni famigliari, che devono precedere qualsiasi decisione riguardante l'avvenire della coppia e dei figli.
Può accadere che la vita coniugale diventi intollerabile e che i coniugi non riescano a riconciliarsi. Come estrema soluzione l'Islam permette il divorzio. La donna come l'uomo ha il diritto di chiedere una separazione; e tuttavia il Profeta ha detto: "Tra tutte le cose permesse, quella più detestata da Dio è il divorzio".
E' per questo che la separazione è relativamente rara in terra musulmana: è nella comunità occidentale che il numero dei divorzi è triplicato negli ultimi 20 anni e un matrimonio su 3 finisce con una separazione. Le cause di questa disgregazione di questa cellula famigliare sono molteplici e qui, per ovvi motivi di brevità sottolineiamo il fatto che l'Islam impone obblighi che riducono le libertà e gli arbitri individuali. All'uomo viene chiesto di provvedere ai bisogni della sua famiglia, di lavorare e di dare ai suoi famigliari il meglio di se. Il dovere di fedeltà gli impedisce le avventure extra-coniugali. La donna, in quanto custode del focolare si consacra al suo sposo e ai suoi figli; ed è da questa comune rinuncia che nasce la fiducia che lega la coppia.
Una società che privilegia i valori edonistici e un individualismo estremo ci guadagna in permissività e può vantare piaceri egoistici: essa invita si alla liberazione dei costumi e autorizza un'illimitata libertà sessuale ma perde la nozione di fiducia reciproca tanto necessaria alla conservazione della coppia.
L'Islam ritiene che il ruolo naturale della donna consista nell'instaurare e nel mantenere l'unità della cellula famigliare. Se la donna si impegna invece al di fuori dell'ambito che le è proprio ne risultano conseguenze negative per tutta la famiglia.
Quanto ai bambini, essi sono le prime vittime delle situazioni di rottura o, più semplicemente di scarsa presenza materna. Senza la presenza costante della madre durante i primi 5 anni di vita i bambini subiscono disturbi psicologici. Pur essendo utile l'asilo non può sostituire il ruolo naturale della madre. I bambini non hanno bisogno soltanto di latte, di vestitini e di giocattoli ma soprattutto dell'amore e della tenerezza che solo la madre può dare.
C - LA MADRE
Il Corano ordina all'uomo di essere buono con sua madre e con suo padre:
"Il tuo Signore ha decretato che non adorerete altri che Lui. Egli ha prescritto la bontà nei confronti dei genitori. Se uno di loro, o entrambi giungono alla vecchiaia presso di te, non dir loro "uffa!" non li respingere, rivolgi loro parole rispettose. Inclina verso di loro con bontà, l'ala delle tenerezza, e dì: "Mio Signore! Sii misericordioso nei loro confronti, come essi lo sono stati con me quando mi hanno allevato da bambino"
(Cor. XVII, 23-24).
Questa raccomandazione riguarda soprattutto la madre:
"Noi abbiamo dato raccomandazioni all'uomo riguardo ai suoi genitori: ma sua madre l'ha portato di travaglio in travaglio e da essa è stato svezzato dopo 2 anni. Sii riconoscente ai tuoi genitori come a Me"
(Cor. XXXI, 14).
"Noi abbiamo raccomandato all'uomo la bontà nei confronti del padre e della madre. Ma sua madre l'ha portato e partorito con grande fatica. Dal momento del concepimento fino a quello del suo svezzamento sono trascorsi 20 mesi di fatica" (Cor. XVIL, 15).
Abù Hurayra riporta una habith del Profeta:
"Un uomo venne a trovare il Profeta e gli chiese: "O Messaggero di Dio, chi tra la gente merita di più che io sia per lui un buon compagno?" il Profeta rispose: "Tua madre". L'uomo chiese ancora: "E dopo di lei chi?" e il Profeta rispose: "Tua madre". Egli ripetè :"E poi chi?" il Profeta rispose: "Tua madre". L'uomo ripete la domanda e il Profeta rispose: "Tuo padre".
Come riporta Al-Moghira il Profeta ha detto: "Dio ha proibito la disobbedienza alle vostre madri, il rifiuto di pagare i vostri debiti e il fatto di seppellire vive le bambine appena nate".
I - Sul piano spirituale la donna è considerata dall'Islam come una creatura eguale in tutto e per tutto all'uomo. Dice il Corano (Cor. IV, 1):
"O uomini! Temete il vostro Signore che vi ha creato da un solo essere e che da esso ha creato la sua sposa, e che fece nascere dalla loro unione un gran numero di uomini e donne".
Nell'occidente cristiano, nel medioevo, numerosi filosofi e teologi si interrogavano per sapere se una donna avesse un'anima o se potesse sperare di avere accesso in paradiso: "Non è forse lei l'origine del male sulla terra? E non è ella forse associata al serpente?". Così Agostino di Ippona escluse che la donna avesse un'anima, mentre Cirillo di Alessandria, responsabile del feroce supplizio inflitto dai suoi fanatici seguaci ad Ipazia, eccelsa matematica e filosofa neoplatonica, scrisse in una sua opera apologetica che gli ha guadagnato il titolo di sapiente della chiesa, che "alla donna non si doveva insegnare nè a leggere nè a scrivere per non aumentare la sua pericolosità di complice del demonio".
Nel VII secolo, il Corano afferma invece l'origine comune dell'uomo e della donna, e la loro identità spirituale: la donna è responsabile dei suoi atti e lei sola dovrà renderne conto davanti a Dio: "In verità non lascio che vada perduta l'opera di chi agisce bene, uomo e donna che sia. Voi uomini e voi donne siete gli uni degli altri" (Cor. III, 195). "Certo Dio assicurerà una vita beata ad ogni credente, uomo o donna che compia il bene" (Cor. XVI, 97).
"Sì, quelli che sono sottomessi a Dio e quelle che sono a lui sottomesse, i credenti e le credenti, gli uomini pii e le donne pie, gli uomini sinceri e le donne sincere, gli uomini pazienti e le donne pazienti, gli uomini e le donne che temono Dio, fanno l'elemosina e rispettano il digiuno di Ramadan, gli uomini casti e le donne caste, gli uomini e le donne che invocano spesso il nome di Dio, il Signore ha riservato perdono e magnifica ricompensa" (Cor. XXXIII).
Nel contesto di una società meccana in cui la donna svolgeva un ruolo più che secondario, è sorprendente trovare nel Corano una sura intitolata col nome di una donna, Miriam, un nome che viene menzionato 34 volte nel Corano: "E gli Angeli dissero: "O Miriam! Dio ti ha eletta, ti ha purificato e ti ha elevato la di sopra delle donne dei mondi". E fu così che la madre di Gesù divenne per i musulmani un modello di purezza e di santità".
II - Sul piano comunitario l'Islam ha compiuto una vera e propria rivoluzione culturale e sociale nell'indicare chiaramente quale deve essere, nella società umana, il ruolo delle figlie, delle spose e delle madri:
A - Le figlie. Nell'Arabia pre-islamica esisteva un costume barbarico che consisteva nel seppellire vive le neonate per paura della povertà: la bambina veniva infatti considerata una bocca in più da sfamare, ma, soprattutto la nascita di una figlia era considerata una vergogna. L'Islam ha abolito questa pratica condannandola severamente:
"Quando si annuncia ad un uomo la nascita di una figlia, il suo volto si adombra egli soffoca, si tiene in disparte lontano dalla gente, a causa della disgrazia che gli è stata annunciata. Conserverà egli questa bambina nonostante la sua vergogna o la seppellirà nella sabbia? E il suo giudizio non è forse detestabile?" ... "Il giorno del giudizio verrà chiesto alla neonata sepolta viva per quale colpa sia stata uccisa... Ma nessuno potrà dare giustificazione di questo omicidio".
Anche con i suoi atteggementi personali il Profeta non ha perduto occasione per contrastare i giudizi degli Arabi contro le bambine e le donne. Così, ad esempio egli usava effettuare la preghiera del venerdì portando su di sè la nipotina Umama. L'erudito Al-Fakihami nel commentare questo giusto, afferma: "E' come se la segreta intenzione del Profeta nel portare Umama fosse di metter fine all'abitudine degli Arabi di detestare le bambine. Essendo la preghiera l'atto più nobile del musulmano, quale modo migliore per far comprendere agli Arabi il posto di gran valore che d'ora in poi le loro figlie dovevano occupare nei loro cuori?". In più occasioni il profeta raccomanda ai genitori di non mostrare una preferenza per uno dei figli a discapito degli altri: essi debbono essere giusti sotto ogni aspetto con i maschi e con le femmine "Colui che ha una figlia, non la insulta e non favorisce il figlio maschio a suo vantaggio, Dio lo farà entrare in paradiso come uomo giusto" (Ahmad Ibn Hanbal).
Maschi e femmine hanno diritto allo stesso amore, occorrerà attendere dieci secoli perchè questa equità, che nell'ambito famigliare pone ogni figlio allo stesso livello degli altri, sia realizzata in occidente. Fino al XVII secolo, infatti, era considerato normale avvantaggiare un figlio, generalmente primogenito. Come esempio ci basta ricordare la tragica storia di Gertrude condannata a farsi monaca come racconta ampiamente il Manzoni nel suo romanzo I Promessi Sposi.
B - La sposa. Nell'Islam la tenerezza e la misericordia sono la base della vita coniugale: "Tra i segni di Dio vi è che Egli ha creato a partire da voi stessi, per voi delle spose affinchè trovaste presso di loro la calma e un rifugio. Egli ha stabilito tra voi legami di tenerezza e misericordia ed ha aggiunto a questo la possibilità di scambiarsi nel talamo il piacere naturale. In tutto ciò vi sono segni certi di Dio per tutti coloro che hanno ragione" (Cor. XXX, 21).
Il legame d'amore è reciproco e l'uomo e la donna sono assolutamente indispensabili l'uno all'altro per realizzare un'unione armoniosa che garantisca il pieno sviluppo di ciascuno. La donna, dunque, non è un oggetto di cui l'uomo dispone senza alcun riguardo. E' un essere umano la cui sensibilità è certa ed è un rifugio per l'uomo così come l'uomo è un rifugio per lei: "Siano le donne una veste per voi uomini e voi uomini siate una veste per le donne" (Cor. II, 187).
Il Profeta ha dichiarato: "Il più perfetto dei credenti è colui che ha il migliore carattere e migliori fra voi sono coloro che le loro donne giudicano i migliori ... comportatevi quindi con gentilezza nei confronti delle vostre spose" (Cor. IV, 19).
La legge islamica precisa che non si può far sposare una donna senza il suo consenso. Ibn Abas riporta che una giovane donna si recò in visita dal Profeta dichiarandogli che suo padre voleva assolutamente costringerla al matrimonio. Il Profeta le disse: "Spetta a te la scelta di rifiutare o di accettare. Nessun padre ha il diritto di costringere una donna al matrimonio".
Ciò avveniva nel VII secolo, mentre in Europa è solo molto di recente che si comincia a riconoscere alle donne questo diritto.
Nell'Islam la donna può avere proprietà, può stipulare contratti, effettuare commercio e scambi. "Agli uomini spetta una parte di ciò che si saranno guadagnati, e alle donne spetta una parte di quello che si saranno guadagnate" (Cor. IV, 32).
Una volta sposata la donna musulmana resta proprietaria dei suoi averi; essa è libera di disporre dei suoi bene come meglio crede; ed è in questo contesto che vanno lette le regole islamiche relative all'eredità. Se l'uomo ha l'obbligo giuridico di provvedere ai bisogni materiali della sua famiglia, mentre la donna dispone liberamente della sua fortuna senza renderne conto al marito, è ovvio che a quest'ultimo spetti una parte più importante delle eredità: "Quanto ai vostri figli, Dio vi ordina di attribuire al maschio una parte equivalente di quella di due femmine" (Cor. IV, 11). Bisogna inoltre far presente che nell'Islam la dote è a carico del marito. In realtà non si tratta di una dote vera e propria ma di una specie di "salario d'onore": una sorta di risarcimento che il marito versa a sua moglie, e non ai suoi genitori come riparazione per ciò che il matrimonio può rappresentare di oneroso per lei. La donna, infatti, detenendo una personalità giuridica completa, può godere in modo pieno ed esclusivo dei suoi beni, sui quali nè i suoi genitori nè suo marito hanno alcun diritto, nemmeno quello di esserne informati.
L'Islam autorizza la donna a ricoprire diverse funzioni sociali: nutrice, istitutrice, insegnante, infermiera e medico. Esso ritiene tuttavia che il ruolo più importante della donna sia all'interno della famiglia, anche se nulla le impedisce, in caso di assoluta necessità, di cercare un lavoro retribuito. Nella società islamica, peraltro il lavoro femminile alle dipendenze di terzi non è una regola generale perchè l'Islam, in quanto religione naturale, ha assegnato alla donna un ruolo sociale corrispondente alla sua natura. Anche se si può parlare di eguaglianza di diritti tra l'uomo e la donna, ciò non deve impedire di tener conto delle differenti funzioni dei due sessi:
"Esse hanno diritti equivalenti ai loro doveri, conformemente alla buone consuetudini. Gli uomini hanno però una preminenza su di esse" (Cor. II, 228).
L'uomo ha diversi caratteri vantaggiosi rispetto alla donna: la forza fisica, la resistenza lavorativa e la facoltà di prendere decisioni maggiormente ponderate. La donna, invece, è dotata di acuta sensibilità e di fine intuizione; queste sono qualità corrispondenti alla sua funzione naturale, che consiste nell'allevamento dei figli e della capacità di far fronte in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione alle più essenziali capacità della vita. All'uomo compete quindi il ruolo di capo famiglia:
"Le donne sono a carico degli uomini e sotto la loro direzione in ragione dei vantaggi che Dio ha accordato agli uni rispetto alle altre e in ragione delle spese che essi sostengono che essi sostengono per il loro mantenimento" (Cor. IV, 34).
E' all'uomo che incombe la responsabilità finanziaria della coppia ed è dunque normale che egli assuma la direzione della famiglia. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che il marito, nella famiglia musulmana, si possa comportare un tirannico dittatore. L'Islam insiste sull'utilità delle consultazioni famigliari, che devono precedere qualsiasi decisione riguardante l'avvenire della coppia e dei figli.
Può accadere che la vita coniugale diventi intollerabile e che i coniugi non riescano a riconciliarsi. Come estrema soluzione l'Islam permette il divorzio. La donna come l'uomo ha il diritto di chiedere una separazione; e tuttavia il Profeta ha detto: "Tra tutte le cose permesse, quella più detestata da Dio è il divorzio".
E' per questo che la separazione è relativamente rara in terra musulmana: è nella comunità occidentale che il numero dei divorzi è triplicato negli ultimi 20 anni e un matrimonio su 3 finisce con una separazione. Le cause di questa disgregazione di questa cellula famigliare sono molteplici e qui, per ovvi motivi di brevità sottolineiamo il fatto che l'Islam impone obblighi che riducono le libertà e gli arbitri individuali. All'uomo viene chiesto di provvedere ai bisogni della sua famiglia, di lavorare e di dare ai suoi famigliari il meglio di se. Il dovere di fedeltà gli impedisce le avventure extra-coniugali. La donna, in quanto custode del focolare si consacra al suo sposo e ai suoi figli; ed è da questa comune rinuncia che nasce la fiducia che lega la coppia.
Una società che privilegia i valori edonistici e un individualismo estremo ci guadagna in permissività e può vantare piaceri egoistici: essa invita si alla liberazione dei costumi e autorizza un'illimitata libertà sessuale ma perde la nozione di fiducia reciproca tanto necessaria alla conservazione della coppia.
L'Islam ritiene che il ruolo naturale della donna consista nell'instaurare e nel mantenere l'unità della cellula famigliare. Se la donna si impegna invece al di fuori dell'ambito che le è proprio ne risultano conseguenze negative per tutta la famiglia.
Quanto ai bambini, essi sono le prime vittime delle situazioni di rottura o, più semplicemente di scarsa presenza materna. Senza la presenza costante della madre durante i primi 5 anni di vita i bambini subiscono disturbi psicologici. Pur essendo utile l'asilo non può sostituire il ruolo naturale della madre. I bambini non hanno bisogno soltanto di latte, di vestitini e di giocattoli ma soprattutto dell'amore e della tenerezza che solo la madre può dare.
C - LA MADRE
Il Corano ordina all'uomo di essere buono con sua madre e con suo padre:
"Il tuo Signore ha decretato che non adorerete altri che Lui. Egli ha prescritto la bontà nei confronti dei genitori. Se uno di loro, o entrambi giungono alla vecchiaia presso di te, non dir loro "uffa!" non li respingere, rivolgi loro parole rispettose. Inclina verso di loro con bontà, l'ala delle tenerezza, e dì: "Mio Signore! Sii misericordioso nei loro confronti, come essi lo sono stati con me quando mi hanno allevato da bambino"
(Cor. XVII, 23-24).
Questa raccomandazione riguarda soprattutto la madre:
"Noi abbiamo dato raccomandazioni all'uomo riguardo ai suoi genitori: ma sua madre l'ha portato di travaglio in travaglio e da essa è stato svezzato dopo 2 anni. Sii riconoscente ai tuoi genitori come a Me"
(Cor. XXXI, 14).
"Noi abbiamo raccomandato all'uomo la bontà nei confronti del padre e della madre. Ma sua madre l'ha portato e partorito con grande fatica. Dal momento del concepimento fino a quello del suo svezzamento sono trascorsi 20 mesi di fatica" (Cor. XVIL, 15).
Abù Hurayra riporta una habith del Profeta:
"Un uomo venne a trovare il Profeta e gli chiese: "O Messaggero di Dio, chi tra la gente merita di più che io sia per lui un buon compagno?" il Profeta rispose: "Tua madre". L'uomo chiese ancora: "E dopo di lei chi?" e il Profeta rispose: "Tua madre". Egli ripetè :"E poi chi?" il Profeta rispose: "Tua madre". L'uomo ripete la domanda e il Profeta rispose: "Tuo padre".
Come riporta Al-Moghira il Profeta ha detto: "Dio ha proibito la disobbedienza alle vostre madri, il rifiuto di pagare i vostri debiti e il fatto di seppellire vive le bambine appena nate".
domenica 21 novembre 2010
ISLAMOFOBIA: UNA MAL RIUSCITA MESCOLANZA DI IPOCRISIA E DI IGNORANZA
E' di ieri la notizia, anticipata da autorevoli fonti vaticane, che è in corso di pubblicazione un libro-intervista di Papa Benedetto XVI. Le novità più importanti per i mezzi di informazione italiana riguardano la più che timida apertura del pontefice all'uso del profilattico come mezzo di prevenzione dell'AIDS; un certo rilievo è stato dato anche alla questione del burqa che, con una considerazione abbastanza ovvia, il pontefice ha riconosciuto essere una facoltà lecita se la donna che lo indossa non è costretta a farlo.
Silenzio pressochè assoluto sulla affermazione oggettivamente più rilevante fatta dal Papa: e cioè che i musulmani che risiedono nel nostro paese hanno il pieno diritto di esercitare liberamente e dignitosamente il loro culto nelle loro moschee. Attendiamo ansiosamente di raccogliere i commenti che qualche esponente del clero, anche vicentino e investito di responsabilità pastorali, farà a queste ultime affermazioni papali. Chissà se sentiremo ancora "inviti alla prudenza" sulla questione delle moschee che finirebbero con il dare una fisionomia eccessivamente islamica alle nostre città o potrebbero funzionare come luoghi di reclutamento per malintenzionati convocazioni terroristiche, data la coincidenza che vi è nell'Islam tra religione e politica?
Siamo anche curiosi di vedere come gli esponenti leghisti che hanno imbracciato come un'arma da guerra il crocefisso e hanno ritenuto di costruire su questo tipo di attività il loro fervore di veri cattolici, concilieranno le parole papali con i regolamenti anti-moschea varati da comuni come Arzignano o gli innumerovoli episodi, quasi tutti oltre ogni limite di illegalità con i quali sindaci ed esponenti leghisti hanno impedito alle comunità musulmane di avere luoghi di culto in cui pregare. Sotto questo aspetto nutriamo un particolare interesse nei confronti del Comune di Milano, che conta 130.000 residenti di religione musulmana e neppure una moschea degna di questo nome, talchè i musulmani sono stati in più occasioni costretti a pregare sui marciapiedi, suscitando le reazioni legalitarie dell'ex presidente della Provincia di Milano, il diessino sig. Penati: a dimostrazione che l'islamofobia non è deplorevole esclusiva di questa o quella parte politica, ma si dipana come un verme insidioso in più direzioni, trovando favori non soltanto tra i sedicenti ultras cattolici, ma anche tra gli ex seguaci del materialismo storico. Che la islamofobia goda di un ampio spettro di simpatie e di adesioni è dimostrato anche dagli esempi più insospettabili: ci capitò, non molto tempo fa di leggere sulla pagina riservata a un valoroso giornalista come Giorgio Bocca, di cui, pure abbiamo sempre ammirato la coerenza partigiana di combattente antifascista, le seguenti gentili parole riservate ai musulmani e, in particolare, agli arabi: "solo dei buonisti come gli italiani possono credere alle profferte pacifiste di macellai sanguinari come i musulmani...". Giorgio Bocca, evidentemente, dimentica il milione e mezzo di morti che gli algerini hanno pagato per la loro indipendenza dai francesi, i centomila morti pagati dai libici contro il fascismo, e il milione di morti iracheni delle due guerre del golfo; senza dimenticare le centinaia di migliaia di vittime e i milioni di profughi del popolo palestinese. Naturalmente accenniamo appena alla tortura usata come mezzo ordinario di interrogatorio dai parà francesi in Algeria, il caso recente di Abù Ghraib in Iraq, il rapimento nostrano dell'Imam milanese Omar da parte dei nostri servizi segreti e passando il canale di Otranto e inoltrandoci nell'ex Jugoslavia, il tentativo di genocidio condotto da forze congiunte serbo-croate contro i musulmani di Bosnia: solo a Sebrenica, sotto gli occhi vigili dei caschi blu olandesi, ne sono stati ammazzati settemila, mentre circa ventimila sono stati vittime dei cecchini a Sarajevo. Gli stupri di massa usati come arma da guerra contro le donne bosniache da parte di serbi e di croati vanno ricollegati all'indole pacifica, aliena da ogni usanza macellaia di certe popolazioni "cristiane".
Non manchiamo mai di stupirci per l'enfasi prolungata che viene dedicata dai mezzi di informazione italiani quando gli autori di un delitto sono persone provenienti da paesi di religione musulmana. Così il caso del padre pakistano che ha sgozzato la figlia che rifiutava il matrimonio combinato ha occupato le pagine dei giornali e i servizi televisivi per diverse settimane, al pari del caso del padre marocchino che ha tagliato la gola alla figlia fuggita di casa per andare a convivere "more uxorio", con un giovane italiano che in 3 anni non aveva trovato il tempo per andare a parlare con i genitori della ragazza; o infine allo stesso modo dell'ultimo caso più recente del marito che ha ammazzato la moglie a colpi di mattone perchè sosteneva le ragioni della figlia che rifiutava anch'essa un matrimonio combinato (la ragazza è stata ridotta in fin di vita dal fratello). Circostanza notevole di rilievo è il fatto che a poca distanza dal luogo dell'omicidio del marocchino (Pordenone) un marito italiano ha ammazzato a coltellate la moglie e ne ha fatto a pezzi il cadavere. La notizia ha occupato lo spazio di brevi trafiletti su qualche giornale mentre l'efferato delitto del marocchino musulmano è stato l'occasione di pubbliche manifestazioni con fiaccolata organizzate dai leghisti. Giova ricordare che nello spazio temporale di due anni che separa i delitti dei due pakistani in Italia mariti, ex-mariti, amanti, ex-amanti, fidanzati, ex-fidanzati hanno ammazzato con modalità svariate 186 donne: ma nessuno si è mai sognato di dire che si trattava di delitti a sfondo religioso. La polemica corriva che di continuo viene condotta contro l'Islam per il trattamento riservato alle donne merita comunque una risposta più articolata ed esaustiva: è quanto ci proponiamo di fare con i prossimi post che saranno dedicati tutti alla condizione della donna nell'Islam, quale risulta dal testo sacro del Corano, dalla storia e dal costume dei diversi paesi di religione musulmana. Per evitare polemiche troppo aggressive cercheremo di limitare al minimo i confronti con la condizione femminile nell'occidente non solo ai giorni d'oggi ma anche a quelli di ieri.
Silenzio pressochè assoluto sulla affermazione oggettivamente più rilevante fatta dal Papa: e cioè che i musulmani che risiedono nel nostro paese hanno il pieno diritto di esercitare liberamente e dignitosamente il loro culto nelle loro moschee. Attendiamo ansiosamente di raccogliere i commenti che qualche esponente del clero, anche vicentino e investito di responsabilità pastorali, farà a queste ultime affermazioni papali. Chissà se sentiremo ancora "inviti alla prudenza" sulla questione delle moschee che finirebbero con il dare una fisionomia eccessivamente islamica alle nostre città o potrebbero funzionare come luoghi di reclutamento per malintenzionati convocazioni terroristiche, data la coincidenza che vi è nell'Islam tra religione e politica?
Siamo anche curiosi di vedere come gli esponenti leghisti che hanno imbracciato come un'arma da guerra il crocefisso e hanno ritenuto di costruire su questo tipo di attività il loro fervore di veri cattolici, concilieranno le parole papali con i regolamenti anti-moschea varati da comuni come Arzignano o gli innumerovoli episodi, quasi tutti oltre ogni limite di illegalità con i quali sindaci ed esponenti leghisti hanno impedito alle comunità musulmane di avere luoghi di culto in cui pregare. Sotto questo aspetto nutriamo un particolare interesse nei confronti del Comune di Milano, che conta 130.000 residenti di religione musulmana e neppure una moschea degna di questo nome, talchè i musulmani sono stati in più occasioni costretti a pregare sui marciapiedi, suscitando le reazioni legalitarie dell'ex presidente della Provincia di Milano, il diessino sig. Penati: a dimostrazione che l'islamofobia non è deplorevole esclusiva di questa o quella parte politica, ma si dipana come un verme insidioso in più direzioni, trovando favori non soltanto tra i sedicenti ultras cattolici, ma anche tra gli ex seguaci del materialismo storico. Che la islamofobia goda di un ampio spettro di simpatie e di adesioni è dimostrato anche dagli esempi più insospettabili: ci capitò, non molto tempo fa di leggere sulla pagina riservata a un valoroso giornalista come Giorgio Bocca, di cui, pure abbiamo sempre ammirato la coerenza partigiana di combattente antifascista, le seguenti gentili parole riservate ai musulmani e, in particolare, agli arabi: "solo dei buonisti come gli italiani possono credere alle profferte pacifiste di macellai sanguinari come i musulmani...". Giorgio Bocca, evidentemente, dimentica il milione e mezzo di morti che gli algerini hanno pagato per la loro indipendenza dai francesi, i centomila morti pagati dai libici contro il fascismo, e il milione di morti iracheni delle due guerre del golfo; senza dimenticare le centinaia di migliaia di vittime e i milioni di profughi del popolo palestinese. Naturalmente accenniamo appena alla tortura usata come mezzo ordinario di interrogatorio dai parà francesi in Algeria, il caso recente di Abù Ghraib in Iraq, il rapimento nostrano dell'Imam milanese Omar da parte dei nostri servizi segreti e passando il canale di Otranto e inoltrandoci nell'ex Jugoslavia, il tentativo di genocidio condotto da forze congiunte serbo-croate contro i musulmani di Bosnia: solo a Sebrenica, sotto gli occhi vigili dei caschi blu olandesi, ne sono stati ammazzati settemila, mentre circa ventimila sono stati vittime dei cecchini a Sarajevo. Gli stupri di massa usati come arma da guerra contro le donne bosniache da parte di serbi e di croati vanno ricollegati all'indole pacifica, aliena da ogni usanza macellaia di certe popolazioni "cristiane".
Non manchiamo mai di stupirci per l'enfasi prolungata che viene dedicata dai mezzi di informazione italiani quando gli autori di un delitto sono persone provenienti da paesi di religione musulmana. Così il caso del padre pakistano che ha sgozzato la figlia che rifiutava il matrimonio combinato ha occupato le pagine dei giornali e i servizi televisivi per diverse settimane, al pari del caso del padre marocchino che ha tagliato la gola alla figlia fuggita di casa per andare a convivere "more uxorio", con un giovane italiano che in 3 anni non aveva trovato il tempo per andare a parlare con i genitori della ragazza; o infine allo stesso modo dell'ultimo caso più recente del marito che ha ammazzato la moglie a colpi di mattone perchè sosteneva le ragioni della figlia che rifiutava anch'essa un matrimonio combinato (la ragazza è stata ridotta in fin di vita dal fratello). Circostanza notevole di rilievo è il fatto che a poca distanza dal luogo dell'omicidio del marocchino (Pordenone) un marito italiano ha ammazzato a coltellate la moglie e ne ha fatto a pezzi il cadavere. La notizia ha occupato lo spazio di brevi trafiletti su qualche giornale mentre l'efferato delitto del marocchino musulmano è stato l'occasione di pubbliche manifestazioni con fiaccolata organizzate dai leghisti. Giova ricordare che nello spazio temporale di due anni che separa i delitti dei due pakistani in Italia mariti, ex-mariti, amanti, ex-amanti, fidanzati, ex-fidanzati hanno ammazzato con modalità svariate 186 donne: ma nessuno si è mai sognato di dire che si trattava di delitti a sfondo religioso. La polemica corriva che di continuo viene condotta contro l'Islam per il trattamento riservato alle donne merita comunque una risposta più articolata ed esaustiva: è quanto ci proponiamo di fare con i prossimi post che saranno dedicati tutti alla condizione della donna nell'Islam, quale risulta dal testo sacro del Corano, dalla storia e dal costume dei diversi paesi di religione musulmana. Per evitare polemiche troppo aggressive cercheremo di limitare al minimo i confronti con la condizione femminile nell'occidente non solo ai giorni d'oggi ma anche a quelli di ieri.
sabato 20 novembre 2010
ISLAMOFOBIA
Il cosiddetto "occidente" (o parti di esso) ha la pluri-secolare abitudine di assegnare il ruolo di nemici a quei popoli o entità che, di volta in volta, per i loro modi di vita, per la loro potenza economica, per le risorse di cui dispongono, per la loro capacità espansiva religiosa o politica, sono percepiti come "il nemico di turno".
Caduto il comunismo di marca sovietica e partendo dal sanguinoso attentato delle torri gemelle a New York (opera di sauditi che da anni risiedevano negli Stati Uniti in quanto cittadini di un paese che con l'America ha solidi rapporti politico-economici) è diventato l'Islam. Naturalmente non conta che il termine designa una religione diffusa in più di 100 stati e praticamente esclusiva di 49 di essi; mentre i popoli che la praticano comprendono arabi, persiani, pakistani, indonesiani, malesi, kazhaki, turchi e persino popoli europei come i bosniaci e gli albanesi. L'Islam è il nuovo pericolo per la civiltà occidentale: e sfruttando la pressochè totale ignoranza che l'occidente ha sull'Islam reale, si costruisce un sentimento "di pancia", cui si può tranquillamente dare il nome di "Islamofobia", in gran parte costruita sui pregiudizi.
Uno dei compiti che abbiamo assegnato a questo blog è di demolire nella misura del possibile tali pregiudizi. Lo facciamo citando quasi esclusivamente fonti occidentali e, ovviamente il Corano, testo molto citato da "esperti" che non lo hanno mai letto. Il pregiudizio antislamico più diffuso riguarda: la donna, cominciando "dall'obbligo del velo per la donna musulmana".
Oggi nessun capo d'abbigliamento simboleggia il modello di vita islamico meglio del velo o del foulard della donna musulmana. Ciò si può forse spiegare risalendo all'antichissima origine di tale usanza, praticamente diffusa nell'intero bacino mediterraneo e che nel grosso dell'opinione pubblica europea nascerebbe da una prescrizione religiosa del Corano.
Tre sono i passaggi coranici nei quali si esprime l'esigenza di un abbigliamento adeguato e casto delle donne (Cor. XXXIII, 53; 59; XXIV, 31). Il termine arabo utilizzato "Higiab" (da "Hagiaba" = coprire), il cui significato però non è quello attuale di fazzoletto per il capo e per le spalle.
Questa parola ricorre sette volte nel Corano ma solo nel significato di tendaggio, cortina, schermatura divisoria e solo in Cor. XXXIII, 53 viene usato il riferimento alla donna musulmana "e quando domandate un oggetto alle spose del Profeta, domandatelo restando dietro una tenda: questo servirà meglio alla purezza dei vostri e dei loro cuori". Il contesto storico di questo versetto è la protezione della vita privata delle donne di Mohammed; la tenda allestita nella sua casa serviva a separare i rami privati dell'abitazione dal vestibolo d'ingresso, perennamente affollato dai visitatori. In origine quindi lo Higiab era un accorgimento per proteggere l'intimità delle mogli del profeta nella loro casa e solo successivamente finì con l'indicare il copricapo femminile diventando una norma generale per le donne sposate.
Un'altra parola chiave "Jilbab" è presente in Cor. XXXIII, 59 "O Profeta di alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano con i loro mantelli; questo sarà più adatto a distinguerle dalle altre affinchè non vengano offese. Ma Dio è clemente e misericordioso".
Contesto storico di questo versetto è che le donne musulmane devono copririsi il capo con un lembo del mantello quando escono di casa in modo da rendersi riconoscibili dalle schiave ed essere così trattate con il dovuto rispetto. Infatti, all'epoca di Mohammed, il velo era un segno di distinzione sociale: una donna libera e onorata si velava in pubblico in pubblico a differenza delle schiave. Il versetto, tuttavia non indica in alcun modo come la donna dovesse velarsi; solo nella tradizione e nei commentari sul Corano di età successiva, vengono esposte dettagliate descrizioni in merito.
Il fine, in Cor. XXIV, 31 viene utilizzato in riferimento all'abbigliamento femminile il termine "Himar". Il versetto rientra in una generale esposizione delle regole sociali che sovraintendono al rapporto tra l'uomo e la donna musulmani: "Dì alle credenti che si coprano i seni con un velo". Questo velo, che copre anche la nuca e le spalle, serve a distinguere le donne musulmane dalle donne delle altre tribù che si limitavano ad allacciare un foulard intorno alla nuca lasciandolo cadere lungo la schiena.
Il Corano, dunque, non prescrive norme religiose universali per l'abbigliamento femminile, ma da solo delle indicazioni specifiche inerenti il decoro sociale, consigliando un abbigliamento urbano adeguato, diverso da quello delle donne beduine e delle schiave. Successivamente, tuttavia, i versetti citati del Corano, vennero interpretati in senso più rigido sulla base di alcuni Hadit. Furono soprattutto le autorità più influenti sulla questione del copricapo femminile: il secondo califfo Omar, uomo ascetico che aveva sotto tutela le vedove di Mohammed e la moglie del Profeta Aisha, donna molto devota, politicamente attiva, che diventò presto l'ideale della donna musulmana.
Oggi molte scuole di diritto sciite e sunnite ritengono che i versetti del Corano appena citati esprimano l'obbligo religioso per le donne di indossare un foulard sul capo. Ma molti uomini e donne musulmani dei nostri giorni interpretano le indicazioni del Corano e gli Hadit in senso storico-culturale, ritenendolo prive di un valore assoluto e generale. Jaqueline Chabbi, docente di storia dell'Islam medievale all'università di Parigi afferma che "nel Corano le indicazioni sulle modalità di abbigliamento hanno, dal punto di vista storico, una valenza sociale e non religiosa. Non abbiamo inoltre nessun documento islamico dell'epoca che menzioni l'adozione di un particolare abbigliamento religioso". Chabbi conclude così che "il presunto velo islamico non può essere assolutamente giustificato con riferimento al Corano".
Quello che i fondamentalisti affermano essere "l'abito islamico femminile" non può essere invocato quale tradizionale abbigliamento musulmano perchè si tratta dell'adattamento di un tipo di abbigliamento già europeizzato, consono "alla castità voluta da Dio": abito lungo fino alla caviglia, accollato, a maniche lunghe che non aderisce alle forme del corpo e foulard ben stretto che non lascia intravedere nè i capelli nè il collo. Gli uomini, invece, sono perlopiù vestiti all'europea, indossano la camicia con il colletto aperto ma evitano la cravatta definita neo-colonialista.
Questo abbigliamento, soprattutto quello delle donne, è per molti qualcosa di più di un semplice modo di vestire o di un abito alla moda privo di implicazioni religiose: è invece diventato il simbolo di una identità e di una scelta politica religiosa. Quell'abito serve a mostrare al mondo la consapevole decisione di appertenere all'Islam e il disconoscimento di una società secolarizzata. Sono in ogni caso completamente estranee alla maggioritaria cultura musulmana il niqab e cioè l'abito che lascia scoperti soltanto gli occhi della donna, mentre il chador delle donne iraniane di colore nero è un velo tradizionale che lascia scoperto il viso e serve a ricordare al mondo che un milione di uomini iraniani sono morti nella guerra di aggressione scatenata da Saddam con armi americane.
Quanto al burqa, l'abito di colore azzurro che copre interamente il corpo e prevede la copertura degli occhi con una retina, esso è limitato alle donneafghane appartenenti all'etnia Pashtum, ed è un retaggio di una dominazione induista: a tale proposito va sottolineato che tra gli indù ortodossi il burqa è il vestito prescritto alle mogli dell'alta casta dei Bramini.
Il segno dell'islamofobia sottesa alle polimiche sul velo delle donne musulmane, che personaggi spregevoli come l'onorevole Santanchè hanno scatenato in Italia dove di burqa circolanti ce ne saranno a malapena una decina, mette in evidenza, comunque che la natura vera dell'islamofobia ha preso il posto dell'antisemitismo anti-ebraico (diventato un tabù dopo che in Europa sono stati sterminati da europei 6 milioni di Ebrei) ed è nella sostanza pretestuosa.
Si è pronti a denunciare la barbarie del velo, quella inaccettabile dei matrimoni combinati spesso tra giovinette e uomini anziani, e perfino le barbariche mutilazioni genitali femminili (clitoridoctomia, infibulazione) ma si omette di ricordare:
I - Che nell'Islam, e in particolare nel Corano, il matrimonio è valido solo se contratto in presenza del consenso libero di entrambi i coniugi, i quali debbono avere 14 e 16 anni come età minima a seconda che siano femmine o maschi. I matrimoni combinati dai genitori e quelli imposti a donne poco più che bambine sono tipici di ristrette aree al confine con l'India dove invece sono pratica diffusa e corrente al pari della vedovanza imposta per tutta la vita alle donne che rimangono vedove anche in giovane età (si calcola che in India le vedove forzate sono più di 30 milioni: ma fino a non molto tempo fa venivano bruciate sul rogo del marito); però nessuno scatena campagne contro tali barbarie di massa esistenti nella democratica India che, evidentemente, non è percepita come un pericolo dall'occidente;
II - Attribuire all'Islam la pratica delle mutilazioni genitali femminili è una vera e propria infamia. L'Islam considera il piacere naturale un diritto della donna e dell'Islam tutto si può affermare fuori che sia una religione sessuofobica. In realtà le mutilazioni genitali sono un retaggio, difficile da estirpare di antichissime tradizioni tribali africane che praticavano diversificate forme di "marcatura tribale"; ma non è improbabile che la diffusione di tali pratiche nelle regioni del golfo di Guinea, obiettivo privilegiato delle razzie schiavistiche nei 300 anni di tratta degli schiavi praticata dagli europei era una sorta di difesa delle donne che, sessualmente mutilate erano meno appetibili per i negrieri.
Caduto il comunismo di marca sovietica e partendo dal sanguinoso attentato delle torri gemelle a New York (opera di sauditi che da anni risiedevano negli Stati Uniti in quanto cittadini di un paese che con l'America ha solidi rapporti politico-economici) è diventato l'Islam. Naturalmente non conta che il termine designa una religione diffusa in più di 100 stati e praticamente esclusiva di 49 di essi; mentre i popoli che la praticano comprendono arabi, persiani, pakistani, indonesiani, malesi, kazhaki, turchi e persino popoli europei come i bosniaci e gli albanesi. L'Islam è il nuovo pericolo per la civiltà occidentale: e sfruttando la pressochè totale ignoranza che l'occidente ha sull'Islam reale, si costruisce un sentimento "di pancia", cui si può tranquillamente dare il nome di "Islamofobia", in gran parte costruita sui pregiudizi.
Uno dei compiti che abbiamo assegnato a questo blog è di demolire nella misura del possibile tali pregiudizi. Lo facciamo citando quasi esclusivamente fonti occidentali e, ovviamente il Corano, testo molto citato da "esperti" che non lo hanno mai letto. Il pregiudizio antislamico più diffuso riguarda: la donna, cominciando "dall'obbligo del velo per la donna musulmana".
Oggi nessun capo d'abbigliamento simboleggia il modello di vita islamico meglio del velo o del foulard della donna musulmana. Ciò si può forse spiegare risalendo all'antichissima origine di tale usanza, praticamente diffusa nell'intero bacino mediterraneo e che nel grosso dell'opinione pubblica europea nascerebbe da una prescrizione religiosa del Corano.
Tre sono i passaggi coranici nei quali si esprime l'esigenza di un abbigliamento adeguato e casto delle donne (Cor. XXXIII, 53; 59; XXIV, 31). Il termine arabo utilizzato "Higiab" (da "Hagiaba" = coprire), il cui significato però non è quello attuale di fazzoletto per il capo e per le spalle.
Questa parola ricorre sette volte nel Corano ma solo nel significato di tendaggio, cortina, schermatura divisoria e solo in Cor. XXXIII, 53 viene usato il riferimento alla donna musulmana "e quando domandate un oggetto alle spose del Profeta, domandatelo restando dietro una tenda: questo servirà meglio alla purezza dei vostri e dei loro cuori". Il contesto storico di questo versetto è la protezione della vita privata delle donne di Mohammed; la tenda allestita nella sua casa serviva a separare i rami privati dell'abitazione dal vestibolo d'ingresso, perennamente affollato dai visitatori. In origine quindi lo Higiab era un accorgimento per proteggere l'intimità delle mogli del profeta nella loro casa e solo successivamente finì con l'indicare il copricapo femminile diventando una norma generale per le donne sposate.
Un'altra parola chiave "Jilbab" è presente in Cor. XXXIII, 59 "O Profeta di alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano con i loro mantelli; questo sarà più adatto a distinguerle dalle altre affinchè non vengano offese. Ma Dio è clemente e misericordioso".
Contesto storico di questo versetto è che le donne musulmane devono copririsi il capo con un lembo del mantello quando escono di casa in modo da rendersi riconoscibili dalle schiave ed essere così trattate con il dovuto rispetto. Infatti, all'epoca di Mohammed, il velo era un segno di distinzione sociale: una donna libera e onorata si velava in pubblico in pubblico a differenza delle schiave. Il versetto, tuttavia non indica in alcun modo come la donna dovesse velarsi; solo nella tradizione e nei commentari sul Corano di età successiva, vengono esposte dettagliate descrizioni in merito.
Il fine, in Cor. XXIV, 31 viene utilizzato in riferimento all'abbigliamento femminile il termine "Himar". Il versetto rientra in una generale esposizione delle regole sociali che sovraintendono al rapporto tra l'uomo e la donna musulmani: "Dì alle credenti che si coprano i seni con un velo". Questo velo, che copre anche la nuca e le spalle, serve a distinguere le donne musulmane dalle donne delle altre tribù che si limitavano ad allacciare un foulard intorno alla nuca lasciandolo cadere lungo la schiena.
Il Corano, dunque, non prescrive norme religiose universali per l'abbigliamento femminile, ma da solo delle indicazioni specifiche inerenti il decoro sociale, consigliando un abbigliamento urbano adeguato, diverso da quello delle donne beduine e delle schiave. Successivamente, tuttavia, i versetti citati del Corano, vennero interpretati in senso più rigido sulla base di alcuni Hadit. Furono soprattutto le autorità più influenti sulla questione del copricapo femminile: il secondo califfo Omar, uomo ascetico che aveva sotto tutela le vedove di Mohammed e la moglie del Profeta Aisha, donna molto devota, politicamente attiva, che diventò presto l'ideale della donna musulmana.
Oggi molte scuole di diritto sciite e sunnite ritengono che i versetti del Corano appena citati esprimano l'obbligo religioso per le donne di indossare un foulard sul capo. Ma molti uomini e donne musulmani dei nostri giorni interpretano le indicazioni del Corano e gli Hadit in senso storico-culturale, ritenendolo prive di un valore assoluto e generale. Jaqueline Chabbi, docente di storia dell'Islam medievale all'università di Parigi afferma che "nel Corano le indicazioni sulle modalità di abbigliamento hanno, dal punto di vista storico, una valenza sociale e non religiosa. Non abbiamo inoltre nessun documento islamico dell'epoca che menzioni l'adozione di un particolare abbigliamento religioso". Chabbi conclude così che "il presunto velo islamico non può essere assolutamente giustificato con riferimento al Corano".
Quello che i fondamentalisti affermano essere "l'abito islamico femminile" non può essere invocato quale tradizionale abbigliamento musulmano perchè si tratta dell'adattamento di un tipo di abbigliamento già europeizzato, consono "alla castità voluta da Dio": abito lungo fino alla caviglia, accollato, a maniche lunghe che non aderisce alle forme del corpo e foulard ben stretto che non lascia intravedere nè i capelli nè il collo. Gli uomini, invece, sono perlopiù vestiti all'europea, indossano la camicia con il colletto aperto ma evitano la cravatta definita neo-colonialista.
Questo abbigliamento, soprattutto quello delle donne, è per molti qualcosa di più di un semplice modo di vestire o di un abito alla moda privo di implicazioni religiose: è invece diventato il simbolo di una identità e di una scelta politica religiosa. Quell'abito serve a mostrare al mondo la consapevole decisione di appertenere all'Islam e il disconoscimento di una società secolarizzata. Sono in ogni caso completamente estranee alla maggioritaria cultura musulmana il niqab e cioè l'abito che lascia scoperti soltanto gli occhi della donna, mentre il chador delle donne iraniane di colore nero è un velo tradizionale che lascia scoperto il viso e serve a ricordare al mondo che un milione di uomini iraniani sono morti nella guerra di aggressione scatenata da Saddam con armi americane.
Quanto al burqa, l'abito di colore azzurro che copre interamente il corpo e prevede la copertura degli occhi con una retina, esso è limitato alle donneafghane appartenenti all'etnia Pashtum, ed è un retaggio di una dominazione induista: a tale proposito va sottolineato che tra gli indù ortodossi il burqa è il vestito prescritto alle mogli dell'alta casta dei Bramini.
Il segno dell'islamofobia sottesa alle polimiche sul velo delle donne musulmane, che personaggi spregevoli come l'onorevole Santanchè hanno scatenato in Italia dove di burqa circolanti ce ne saranno a malapena una decina, mette in evidenza, comunque che la natura vera dell'islamofobia ha preso il posto dell'antisemitismo anti-ebraico (diventato un tabù dopo che in Europa sono stati sterminati da europei 6 milioni di Ebrei) ed è nella sostanza pretestuosa.
Si è pronti a denunciare la barbarie del velo, quella inaccettabile dei matrimoni combinati spesso tra giovinette e uomini anziani, e perfino le barbariche mutilazioni genitali femminili (clitoridoctomia, infibulazione) ma si omette di ricordare:
I - Che nell'Islam, e in particolare nel Corano, il matrimonio è valido solo se contratto in presenza del consenso libero di entrambi i coniugi, i quali debbono avere 14 e 16 anni come età minima a seconda che siano femmine o maschi. I matrimoni combinati dai genitori e quelli imposti a donne poco più che bambine sono tipici di ristrette aree al confine con l'India dove invece sono pratica diffusa e corrente al pari della vedovanza imposta per tutta la vita alle donne che rimangono vedove anche in giovane età (si calcola che in India le vedove forzate sono più di 30 milioni: ma fino a non molto tempo fa venivano bruciate sul rogo del marito); però nessuno scatena campagne contro tali barbarie di massa esistenti nella democratica India che, evidentemente, non è percepita come un pericolo dall'occidente;
II - Attribuire all'Islam la pratica delle mutilazioni genitali femminili è una vera e propria infamia. L'Islam considera il piacere naturale un diritto della donna e dell'Islam tutto si può affermare fuori che sia una religione sessuofobica. In realtà le mutilazioni genitali sono un retaggio, difficile da estirpare di antichissime tradizioni tribali africane che praticavano diversificate forme di "marcatura tribale"; ma non è improbabile che la diffusione di tali pratiche nelle regioni del golfo di Guinea, obiettivo privilegiato delle razzie schiavistiche nei 300 anni di tratta degli schiavi praticata dagli europei era una sorta di difesa delle donne che, sessualmente mutilate erano meno appetibili per i negrieri.
PRESENZE ISLAMICHE NELL'ITALIA PENINSULARE
Non paragonabile all'esperienza islamica siciliana è la presenza musulmana nell'italia peninsulare, chiamata dagli arabi "Terra Grande".
Si parla in Puglia di due emirati e di una colonia in Campania, dove si insediano musulmani nordafricani e siciliani che fanno scorrerie in Sardegna, in Calabria, nel Lazio, nelle Marche, in Umbria, in Piemonte e in Liguria, fino alla Provenza francese in cui impiantono vicino a Saint Tropez una base militare attiva per quasi cento anni.
Tali stanziamenti sono resi possibili dalla straordinaria abilità dei musulmani di inserirsi nei turtuosi giochi di potere di signorotti cristiani locali che non esitano ad assoldare "gli infedeli" per gettarli contro i correligionali loro nemici: tale è il caso di Lamberto, duca longobardo di Spoleto, o delle città campane che vogliono contrastare l'espansionismo del ducato longobardo di Benevento, o di Napoli che nell'880 arruola musulmani in Sicilia per sconfiggere le mire annessionistiche di Papa Giovanni VIII (a sua volta costretto a pagare profumatamente una tregua ai musulmani).
Il loro insediamento non viene spesso contrastato anche per motivi economici: i musulmani hanno l'abitudine di coniare grosse quantità di monete d'oro o, addirittura portano con sè monete coniate nei regni aghlabidi e fatinidi di cui l'Italia è particolarmente priva. In qualche caso è dato incontrare monete coniate longobarde, salernitane e amalfitane con scritte bilingui latino-arabe. Un ulteriore motivo della non opposizione agli insediamenti musulmani è stato l'abolizione in Puglia dell'antico, odiato e rovinoso latifondo, che tante sofferenze aveva prodotto e produrrà nel meridione italiano, e sostituito dagli arabi dalla piccola proprietà contadina di coltivatori diretti.
Quaranta anni dopo la sua nascita l'emirato costituito in Puglia sul territorio di Taranto strappato ai bizantini viene sostituito da musulmani andalusi comandati da un non meglio identificato emiro Sabah. L'entità sopravvive dall'846 all'883 ma viene sostituita da un'altra base musulmana comandata da Abù Jafar che dura fino all'852, anno in cui Taranto viene riconquistata dal bizantino Leone Apostitte.
Un ulteriore emirato musulmano si insedia a Bari ad opera del mullah Kalfun proveniente dalla Sicilia. La sua durata è ultra trentennale: nell'875 esso viene conquistato dal duca longobardo Adelchi di Benevento.
Nell'880 si costituisce presso Napoli, con il sostegno del bellicoso vescovo Atanasio II, un campo fortificato musulmano per colpire i nemici dell'alto prelato e saccheggiare lo stesso agro romano taglieggiando viandanti e popolazioni. Un'altra base musulmana ha lasciato tracce ad Agropoli presso Salerno dove sembra sia stata sconfitta dal bizantino Niceforo Foca. Un'altra collettività militare e organizzata si costituisce nell'883 alle foci del Garigliano. Ma tale località nella quale sorgono moschee e abitazioni per le famiglie dei guerrieri musulmani questi ultimi, su commissione del vescovo e duca di Napoli, attaccano e saccheggiano Capua e Salerno, finchè nel 916 una "crociata ante-litteram", voluta da re Berengario riceve la benedizione dell'imperatrice bizantina Zoe e del Papa Giovanni X che partecipa personalmente alla battaglia che mette fine all'esperienza.
giovedì 18 novembre 2010
RICORDI DELLA PRESENZA ARABA IN SICILIA
Ben poche tracce sicure restano in Sicilia del lungo dominio degli Arabi, ma quanto resta della dominazione normanna autorizza ad inclederne le testiomonianze nell'arte musulmana di occidente. L'isola non conserva più la divisione architettonica tra edifici di natura religiosa, civile e militare. Non vi si trovano tracce di moschee se non presso San Giovanni degli Eremiti. I monumenti che interessano sono quelli sorti in terra cristiana nel ricordo degli stili del Nord Africa, spesso progettati e costruiti da architetti e artisti musulmani.
Nel castello della Favara a Palermo, fondato dall'emiro Jafar non resta quasi nulla; ma forse il nome del castello "Di mare dolce" evoca il termine arabo "Fawwara" e cioè acque che dal monte scendono al mare. Ruggero II aveva fatto costruire un palazzo nella parte alta di Palermo chiamato Cassaro (dall'arabo Qasr). Nel 1140 venne consacrata la cappella palatina, al primo piano del palazzo reale, un'antica fortezza musulmana rimessa a nuovo, nella quale si fondono la pianta e le colonne corinzie in stile bizantino che risplende nei mosaici aurei delle pareti; ma l'arte araba stupisce per la meravigliosa presenza del soffitto ligneo a stalattiti dalle intricate decorazioni pittoriche in caratteri arabi. Le tre grandi culture medievali si fondono nel capolavoro di Santa Maria dell'Ammiragliato nota come la Martorana. Fondata dall'emiro Al-Bhar è una delle più belle chiese greche dell'isola. Alla base della cupola corre un fregio ligneo che reca incise le parole di un antico inno bizantino alla vergine scritto in lingua araba. Il padiglione della Cuba, eretto da Gueglielmo II su pianta rettangolare, ricorda il palazzo di Dar Al-Bhar. Il padiglione della Zisa è una meravigliosa sintesi dell'Islam il cui significato è raccolta per la iscrizione araba in stucco bianco in rilievo intorno all'arco d'ingresso: "Qui, ogni volta che lo vorrai, potrai ammirare il tesoro più bello di questo regno, il più splendido della terra e dei mari. La montagna dalle vette color del narciso fanno da sfondo. Vedrai il grande re di questo secolo nella sua bellissima dimora, una casa di delizia e di splendore che ben vi si addice. Questo è il paradiso terrestre che si offre alla vista; questo è il re glorioso che i suoi sudditi chiamano l'Aziz (il diletto).
Ma le testimonianze più commoventi della presenza araba in Sicilia sono le poesie che i poeti arabi siciliani hanno lasciato ai posteri e che valgono a spiegare perchè la prima poesia italiana è nata in Sicilia.
1 - Ibn Hamdis, fuggito dalla Sicilia nel 1079 e rifugiatosi presso gli abbasidi di Siviglia: "... Sogno la Sicilia e l'acuto dolore ne suscita nell'animo il ricordo ... vi è un luogo di giovanili delizie che ora è deserto e non è più animato dal fiore di nobili ingegni. Cacciato da un paradiso, come posso darne notizia senza che l'amarezza delle mie lacrime mi ricordi che esse non sono i fiumi di quel paradiso?".
2 - Ibn Al-Ballanubi, morto esule in Egitto nel 1050: "... Mai ho chinato il capo nel sonno senza che, malgrado ormai la lunga lontananza, non mi visiti la valle presso cui dormono i miei antenati di Sicilia..." "O Sicilia, terra dove germoglia la pianta dell'onore, ove giovani cavalieri ricchi di coraggio caricano in guerra contro la morte col sorriso negli occhi!" "Che viva quella terra popolata e colta, che vivano di lei anche le più remote rovine. Che viva il profumo che vi spira e che i mattini e le sere fanno giungere fino a noi. Che vivano quanti fra i suoi abitanti ancora esistono ma vivano anche quelli le cui ossa giacciono nei sepolcri".
3 - Mushh Al-Kurashi, morto esule in Spagna: "O Sicilia mia diletta patria natia, poichè tu ti sei allontanata da me prenderò per mia patria solo la sella dei miei cavalli. Poichè la mia origine è la terra, ogni terra sia la mia patria e ogni umana creatura sia mio fratello"
4 - Abd-Al-Rahman, "Che circoli fin dal mattino e fino a sera il vecchio vino dorato! Bevi al suono del liuto e dei canti degni del paradiso. Non può esservi vita serena se non all'ombra della mia dolce Sicilia. Ora dimoro in un palazzo regale di una dinastia gentile, in cui la gioia e la tolleranza hanno preso albergo ma non riescono a colmare il vuoto che mi ha lasciato la perdita della terra cui Dio elargì perfetta armonia"
5 - Al-Itrabahishi, poeta palermitano morto esule in Spagna: "Favara dal duplice lago, ogni desiderio in te ha sogni: vista soave e spettacolo mirabile. Le tue acque si spartiscono in nove ruscelli: o bellissime diramate correnti. Dove i tuoi due laghi si incontrano, ivi l'amore si accampa e sul tuo canale la passione pianta le tende ... Gli aranci superbi dell'isola sono fuochi ardenti su rami di smeraldo. I limoni hanno il pallore di un'amante, che ha passato la notte muovendosi per l'angoscia della lontananza o fremendo per i piaceri della vicinanza. Palme dei due laghi di Palermo possiate essere abbeverate da continuo flusso di pioggia! Possiate godere sorte felice e attingere ogni desiderio. Prosperate, e offrite riparo agli amanti, sulle vostre sicure ombre regna inviolato l'amore".
Dopo la morte di Federico II, quando si spegnevano in Sicilia gli ultimi fuochi della cultura araba, un Qabi palermitano fece incidere sulla sua pietra sepolcrale un lamento in caratteri arabi per un mondo ormai scomparso e per la sua isola tanto amata: "O Dio onnipotente dov'è la mia terra? Ahimè! Essa è perduta!".
A ricordare gli arabi di Sicilia provvedono anche i nomi di innumerevoli città: Mazzara del Vallo, Marsala, Saleni, Misceni, Alcamo, Caltanissetta, Caltagirone, Sciacca, Gibellina e, infine il secondo nome dell'Etna: Mongibello.
LA SICILIA ARABA: OLTRE 200 ANNI DI STORIA COMPLETAMENTE DIMENTICATI
La Sicilia aveva conosciuto scorrerie musulmane già verso la metà del VII secolo, all'epoca della prima espansione araba nel bacino del Mediterraneo. La prima avvenne nel 652, durante il califfato di Uthmam, che ne affidò l'incarico a Mu'awiya-ibn-Hudaig che portò a compimento l'impresa con una flotta partita dalla Tunisia. Le incursioni, sempre respinte dai bizantini si moltiplicarono con lo scopo di impadronirsi dei tesori delle chiese, molto richiesti sui mercati d'oriente. Divennero più frequenti durante il governo di Hassan, quando venne occupata la piccola isola di Pantelleria, che serviva da ponte tra l'Africa e la Sicilia. Nel 740 il governatore del nord Africa Ubaid-Allah-ibn-al-Habhab assediò Siracusa, che respinse gli attaccanti versando un consistente tributo. Durante la seconda metà dell' VIII secolo la Sicilia fu attaccata sporadicamente, perchè il nord Africa era in stato di perenne anarchia. Le spedizioni ripresero solo dopo la Costituzione del potente stato Aghlabita: la conquista musulmana dell'isola ebbe infatti inizio quando il sovrano di Qayrawan accettò la richiesta di aiuto del comandante bizantino della flotta Eufenio, ribelle contro l'imperatore di Bisanzio, che offrì la signoria dell'isola all'emiro tunisino Ziadat Allah.
L'esercito arabo costruì una poderosa base nella città di Mazara dalla quale un potente esercito musulmano mosse verso oriente stringendo d'assedio Siracusa. Un'epidemia di peste decimò gli assedianti la cui sorte apparve segnata quando il patrizio bizantino Teodoro mosse con decisione alla riscossa. La disfatta musulmana sembrava ormai prossima, quando nell'anno 830 giunsero dai correligionari di Spagna inattesi soccorsi. Teodoro fu sconfitto da Mohammed-al-Asbagh, nuovo comandante delle forse musulmane, e Palermo, conquistata nell'anno 831 divenne la capitale della nuova provincia islamica. Nell' 843 cadde Messina e due anni dopo la fortezza di Castro Giovanni fu occupata da Abass-al-Aghlab Ibrahim. Siracusa, simbolo della civiltà bizantina e dell'ellenismo in occidente, fu espugnata nell'878. Nel 902, con la distruzione di Taormina e la riduzione all'obbedienza del distretto dell'Etna la conquista dell'isola era terminata. l'Isola rimase legata alla dinastia aghlabita fino alla sua caduta quando, nel 910 passo sotto il dominio dei Fatinidi diventando una provincia dell'impero che essi avevano costruito in Africa. Nel 948, per delega del Califfo Fatinide, il governo della Sicilia passò alla famiglia araba dei Banu Kalv e l'emirato calvita si trasformò in un potere ereditario sotto la guida di una brillante dinastia.
Fu durante il governo di Alì-al-Kalvi che l'isola raggiunse la prosperità e la profonda diffusione della cultura araba. L'agricoltura e il commercio fiorirono, le conversioni all'Islam si moltiplicarono non per costrizione ma per il desiderio spontaneo suscitato nei siciliani dalla ammirazione per la superiore civiltà dei conquistatori. La prosperità e le raffinatezze dell'oriente, la vita culturale di Baghdad, Cordoba e del Cairo raggiunsero il massimo splendore nella città di Palermo, che arrivò a contare 100 moschee. Poi la cultura arabo-siciliana cominciò ad offuscarsi. Sopravvenne poi la guerra civile, principio della fine per la dinastia e l'Islam siciliano. Gli abitanti dell'isola gravati da sempre nuove tasse si ribellarono contro l'emiro Ahmad che chiese aiuto ai bizantini mentre in aiuto dei ribelli sbarcavano truppe berbere, guidate dal fratello dell'emiro Yusuf. La lotta si tradusse in un conflitto tra l'aristocrazia araba e la popolazione siciliana convertita all'Islam. La guerra civile si protrasse fino al 1061 quando l'arabo Ibn Ath-Thimena sconfitto dall'opposta fazione chiamò in soccorso i Normanni.
Il decadere della dinastia Kalvita, il sorgere di piccoli emirati indipendenti e gli intrighi bizantini prepararono l'avvio all'azione del Conte Ruggiero di Altavilla in un secolo di ripresa dell'azione dei cristiani che non si limitarono a difendere le loro coste ma inseguirono le coste musulmane fino a sbarcare in Africa e a incendiare le campagne e gli arsenali. La conquista normanna della Sicilia si completò tra il 1075 e il 1087.
Alla morte di Ruggiero successe al trono di Sicilia il figlio Ruggiero II che, come il padre seguì le usanze dei re musulmani, istituì alla sua corte la figura dei ganib (aiutanti di campo), degli hagib (ciambellani), dei silahai (scudieri), e dei gandar (guardie del corpo). Fu istituito presso la corte un "tribunale dei soprusi" (Diwan-al-Mazalim) al quale gli offesi portavano le loro querele e il re era chiamato a render giustizia anche contro il proprio figlio. Ruggiero tenne in onore i musulmani, li tratto con amicizia e famigliarità e li difese dai soprusi guadagnandosi la loro fedeltà e il loro affetto.
Durante il periodo dei nuovi conquistatori fiorì quella particolare cultura cristiano-islamica, destinata ad avere tanta fama e rilievo. Si instaurò la preminenza spirituale degli arabi, riverbero della gran civiltà musulmana dell'epoca si intensificò l'interesse per le scienze, ossia per la logica, la geometri, l'astronomia, la musica, la medicina e l'alchimia. Non pochi furono gli scienziati e i lotti che accettarono di vivere di ampia tolleranza della corte normanna che seppe con il suo eclettismo far convivere facilmente elementi tanto eterogenei: Franchi, Normanni, Arabi, Greci, Siciliani. Ruggiero II impedì la conversione delle sue truppe musulmane al Cristianesimo. Tutti, Normanni e Italiani, Longobardi, Greci e Saraceni ebbero un ruolo nello stato Normanno. Si mantenne l'uso della scrittura araba specie nei diplomi, e alla corte di Palermo si poteva ascoltare il francese e il greco, l'arabo e l'italiano. Le moschee erano affollate , mentre crescevano monasteri di rito Greco e Latino. Il Re spesso, per reprimere le ribellioni dei baroni normanni e per tene testa alle ripetute scomuniche papali, sapeva di poter contare sulle sue fedelissime truppe musulmane. Da ogni parte d'Europa accorrevano alla corte di Palermo scienziati e studiosi; gli studiosi arabi formavano il gruppo più numeroso e la loro lingua era riconosciuta come la lingua della scienza.
Anche nell'amministrazione della cosa pubblica era visibile l'impronta musulmana: l'isola era divisa in circoscrizioni territoriali-militari (iqlim). L'ufficio del Registro, in arabo diwan-at-tahqiq, venne tradotto in latino con Dohana de Secretis; strumenti dell'ufficio erano i dafatir latinizzati con il nome di defetari. Nei distretti in cui prevalevano gli arabi la regione era governata da amil musulmani. La giustizia veniva amministrata da magistrati itineranti, assistiti da un numero variabile di arbitri, sia cristiani sia musulmani che spesso operavano insieme. Esisteva anche una cancelleria araba che usava il greco, l'arabo o le due lingue insieme in testa ai decreti del Re venne scritto il motto di Ruggiero II: "Lode a Dio, in riconoscenza dei suoi benefici" nelle monete, accanto al nome occidentale, c'era il titolo arabo di Califfo per Ruggiero venne aggiunto il titolo: "Al Malik-al-Mu'Azam-al-Mu'Taz-vi-Llah" ("Il Re Venerando, esalato per grazia di Dio").
Ma intanto si stava affermando il carattere aggressivo della cultura dell'Europa nord occidentale. Si insediarono a corte numerosi cattolici, soprattutto francesi, che iniziarono persecuzioni occulte e lente, che non inficiarono i rapporti amichevoli tra le diverse popolazioni. Le moschee e le scuola cristiane fiorivano le une accanto alle altre, e nella preghiera solenne del venerdì si recitava la preghiera con l'invocazione per i Califfi di Baghdad. Erano i musulmani che spesso, durante i saccheggi trattenevano i cristiani dal compiere atti di violenza e sacrilegi contro altri cristiani. Eppure molte famiglie cercarono di vendere i loro beni nella speranze di poter raggiungere un paese musulmano. I sapienti e i nobili musulmani comprendevano che qualcosa stava cambiando e prevedevano che tra non molto l'Islam si sarebbe estinto in Sicilia.
Alla morte di re Guglielmo II nel 1189 contro i musulmani si scatenò all'improvviso una terribile persecuzione. Gli scampati si rifugiarono sulle montagne occidentali in Val di Mazara. Il nuovo re, figlio di Federico Barbarossa e marito di Costanza figlia di Ruggiero II era l'imperatore Enrico IV Hohemstaufen, entrato a Palermo nel Novembre del 1194. Lo spirito normanno degli Altavilla non era morto del tutto, Enrico IV morì dopo quattro anni di regno e fu chiamato a succedergli il figlio Federico II. Durante i lunghi anni della sua minore età il giovane Re di Sicilia fu affidato alla tutela del pontefice, e i musulmani dell'isola vennero perseguitati ovunque finchè vennero sconfitti presso Palermo nel 1200. L'ultima strage contro di loro venne compiuta contro gli ultimi ribelli guidati da Muhammad-ibn-Abbad che fu giustiziato insieme ai suoi figli.
I superstiti vennero deportati a Lucera e formarono una colonia di musulmani che rimase fedelissima all'imperatore fino alla morte e diede aiuto a Re Manfredi a Benevento dove la battaglia cominciò con la carica della cavalleria Saracena che si fece sterminare fino all'ultimo uomo.
Con la vittoria riportata sugli ultimi musulmani non si estinse però in Sicilia lo spirito dell'Islam che Federico cercò di mantenere nella stessa organizzazione dello stato.
Educato da maestri musulmani, perfetto conoscitore della lingua araba, in polemica con i cristiani praticava l'uso frequente del bagno completamente nudo, schiere di danzatrici rallegravano i suoi banchetti, e il suo harem era custodito da eunuchi. Anche alla sua corte il Muezin faceva l'appello alla preghiera. Negli ambienti ecclesiastici si accumularono sospetti e diffidenze, e lo si accusò di essere segretamente musulmano a causa della sua dissolutezza orientale. In realtà egli era indifferente alle questioni religiose ma era attratto dall'aspetto scientifico e intellettuale della civiltà araba. I migliori studiosi d'Europa si radunarono alla sua corte che divenne fiaccola luminosa della cultura. Fra essi Guglielmo Figuerra, Lanfranco Cigala, Sordello e, infine Michele Scoto che fu anello di congiunzione tra la corte di Palermo e il centro di traduzioni dell'università araba di Toledo. Per incarico dell'imperatore l'ebreo Jacob-ben-Abbamari discepolo dell'ebreo spagnolo Maimodine tradusse dall'arabo in ebraico i 5 libri della logica di Aristotele. Il maggiore contributo personale di Federico II alla cultura universale fu la fondazione dell'università di Napoli, la prima università statale in Europa. Qui egli realizzò il suo sogno facendo incontrare in pace le tre grandi culture medievali. In essa egli depositò un'ampia raccolta di manoscritti arabi, e ne inviò copie all'università di Parigi e di Bologna.
Ottimo politico, quasi sovrano rinascimentale nell'autunno del medioevo, nel 1215 aveva preso l'emblema della croce quando nella cattedrale di Aquisgrana vi fu posta sul capo la corona di Germania. Ma la sua visione dell'impero, il suo nuovo di avvicinare i popoli non cristiani lo pose in grave contrasto con la Santa Sede timorosa di vedersi circondata dall'impero e di perdere i propri diritti feudali sull'Italia meridionale.
Dopo lunghe insistenze pontificie culminate in una scomunica nel Giugno del 1228 Federico II salpò da Brindisi per l'ennesima crociata e sbarcò nell'autunno ad Acri. La cessione di Gerusalemme avrebbe suscitato l'indignazione del Califfo di Baghdad e di tutto il mondo musulmano. Fu così che Federico si scusò con l'emiro Fakhr-al-Din dicendogli che se avesse avuto paura di screditare il proprio onore non avrebbe mai imposto un tale sacrificio al sultano e dichiarando di voler prendere Gerusalemme solo per non perdere considerazione agli occhi dei cristiani; mandò poi a pregare il sultano di accordargli il permesso di entrare in Gerusalemme senza combattere. Il 17 Marzo 1229 l'imperatore entrò nella città. Il giorno successivo, dopo essere entrato nella chiesa del Santo Sepolcro ed essersi posto sul capo la corona, visitò i luoghi santi musulmani accompagnato dal Qadi di Nabrus inviato dal Sultano. Entrò nella moschea al-Sakhra e lesse sulla cupola l'iscrizione del grande Saladino: "Questa città di Gerusalemme Salah-al-Din ha liberato dagli infedeli". Giunse l'ora della preghiera del mezzogiorno ed egli invitò il Muezin al consueto appello. Scese la sera e Federico, evitando i pellegrini cristiani cenò con i Saraceni, parlò del Sole e della Luna con lo Sceicco Alam-al-Din l'astronomo che il Sultano gli aveva inviato in segno di amicizia. Sorse infine il mattino annunciato dalla prima preghiera musulmana e Federico uscì da Gerusalemme e tornò dai cavalieri di San Giovanni. Le impressioni che egli suscitò verso i musulmani furono piene di ammirazione e rispetto per un uomo che parlava la loro lingua e discuteva con loro dei massimi problemi della scienza ricercando la verità e il sapere.
Si riaccendeva intanto il dissidio insanabile con il pontefice Gregorio IX e poi con il suo successore Innocenzo IV nel consiglio generale di Lione rattificò la sentenza di deposizione dell'imperatore e sciolse i sudditti dal giuramento di fedeltà. Il pontefice tentò di trattare il recupero di Gerusalemme direttamente con il sultano Al-Salih-Ayyub ai danni dell'imperatore svevo, ma Al-Salih-Ayyub respinse le offerte papali: ancora una volta l'amicizia e la profonda fedeltà dei musulmani si rifiutiarono di tradire chi gli aveva sempre onorati e amati. Federico ricambiò informando il sultano del progetto e dei programmi della crociata di Luigi IX che si dirigeva verso l'Egitto nella privamera del 1249. Nella battaglia in cui lo stesso re di Francia fu fatto prigioniero morì Fakhr Al-Din il vecchio emiro amico di Federico che portava sulla sua bandiera le insegne imperiali accanto a quelle del sultano.
Nello stesso anno in cui in Egitto si estingueva la dinastia Ayyubita a Castelfiorentino moriva Federico. La cavalleria musulmana accompagnò il corpo del suo signore avvolto in una porpora rossa attraverso l'Italia fino a Palermo. Così commentò Ibn Al-Furat: "In quell'anno morì l'imperatore Federico, signore della Germania e della Sicilia protettore della santa città di Gerusalemme, re dei cristiani e comandante degli eserciti della croce. In molti dicevano che l'imperatore fosse in segreto un musulmano. Ma solo a Dio è dato conoscere i segreti del cuore umano".
L'amore per la cultura araba non venne meno nei successori di Federico. Salito al potere d'Egitto la dinastia dei mamerucchi, il sultano Baybars mandò un ambasciatore a Manfredi che, appena salito al trono era circondato dai nemici. Si avvicinava tuttavia il tramonto della potenza sveva che vide gli ultimi bagliori nel tentativo di riscossa di Corradino, anch'egli ricordato con affetto dai cronisti musulmani: "Giunsero al sultano Baybars messaggiari del re Corradino per portarvi una sua lettera. Vi si raccontava la vittoria da lui riportata contro re Carlo d'Angiò e come Iddio onnipotente gli avesse restituito il giusto patrimonio degli antenati toltogli con viltà. Il sultano vi rispose dicendogli di stare con animo lieto e di presentare il suo affetto a coloro che erano legati a suo zio Manfredi e al suo grande nonno Federico di Svevia".
In realtà il dominio svevo era alla fine e con esso finì anche l'influenza musulmana nell'Italia meridionale. Restava solo la fedelissima colonia di Lucera, che fu travolta dalla spietata distruzione compiuta nel 1300 da Carlo II d'Angiò.
Si riaccendeva intanto il dissidio insanabile con il pontefice Gregorio IX e poi con il suo successore Innocenzo IV nel consiglio generale di Lione rattificò la sentenza di deposizione dell'imperatore e sciolse i sudditti dal giuramento di fedeltà. Il pontefice tentò di trattare il recupero di Gerusalemme direttamente con il sultano Al-Salih-Ayyub ai danni dell'imperatore svevo, ma Al-Salih-Ayyub respinse le offerte papali: ancora una volta l'amicizia e la profonda fedeltà dei musulmani si rifiutiarono di tradire chi gli aveva sempre onorati e amati. Federico ricambiò informando il sultano del progetto e dei programmi della crociata di Luigi IX che si dirigeva verso l'Egitto nella privamera del 1249. Nella battaglia in cui lo stesso re di Francia fu fatto prigioniero morì Fakhr Al-Din il vecchio emiro amico di Federico che portava sulla sua bandiera le insegne imperiali accanto a quelle del sultano.
Nello stesso anno in cui in Egitto si estingueva la dinastia Ayyubita a Castelfiorentino moriva Federico. La cavalleria musulmana accompagnò il corpo del suo signore avvolto in una porpora rossa attraverso l'Italia fino a Palermo. Così commentò Ibn Al-Furat: "In quell'anno morì l'imperatore Federico, signore della Germania e della Sicilia protettore della santa città di Gerusalemme, re dei cristiani e comandante degli eserciti della croce. In molti dicevano che l'imperatore fosse in segreto un musulmano. Ma solo a Dio è dato conoscere i segreti del cuore umano".
L'amore per la cultura araba non venne meno nei successori di Federico. Salito al potere d'Egitto la dinastia dei mamerucchi, il sultano Baybars mandò un ambasciatore a Manfredi che, appena salito al trono era circondato dai nemici. Si avvicinava tuttavia il tramonto della potenza sveva che vide gli ultimi bagliori nel tentativo di riscossa di Corradino, anch'egli ricordato con affetto dai cronisti musulmani: "Giunsero al sultano Baybars messaggiari del re Corradino per portarvi una sua lettera. Vi si raccontava la vittoria da lui riportata contro re Carlo d'Angiò e come Iddio onnipotente gli avesse restituito il giusto patrimonio degli antenati toltogli con viltà. Il sultano vi rispose dicendogli di stare con animo lieto e di presentare il suo affetto a coloro che erano legati a suo zio Manfredi e al suo grande nonno Federico di Svevia".
In realtà il dominio svevo era alla fine e con esso finì anche l'influenza musulmana nell'Italia meridionale. Restava solo la fedelissima colonia di Lucera, che fu travolta dalla spietata distruzione compiuta nel 1300 da Carlo II d'Angiò.
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