giovedì 24 marzo 2011

ANCORA A PROPOSITO DELLA LIBIA

I - Kosovo, Iraq, Libia

Articolo di Massimo Nava, Corriere della Sera, 24/03/2011


Oggi la Libia, ieri il Kosovo e l'Iraq Perché questa guerra è giustificabile di MASSIMO NAVA _N on è necessario essere pacifisti militanti per sostenere che la guerra sia una cosa orribile e ingiusta. Almeno sul piano etico, è difficile accettare che qualcuno possa decidere di bombardare e uccidere, anche quando i bersagli siano terroristi o dittatori. La guerra giusta è come il rischio zero nel nucleare: più grande è la falla nel sistema, più spazio c'è per polemiche e avvertenze prima dell'uso. Ma l'orrore per la guerra non può tramutarsi in indifferenza verso massacri e impotenza della comunità internazionale di fronte a gravi violazioni dei diritti umani. Il mondo è lontano dall'ideale della pace universale di Kant: occorre quindi l'accettazione (anch'essa morale) di guerre giustificabili, se non giuste. E uno dei criteri fondanti delle Nazioni Unite: i diritti dei popoli sono più importanti della sovranità degli Stati. Le polemiche sull'intervento in Libia e il rinfacciarsi fra destra e sinistra il sostegno a questa guerra o la condanna di guerre precedenti (dal Kosovo all'Iraq) avrebbero meno senso se alcuni punti fossero condivisi. In primo luogo il fatto che pochi interventi militari internazionali abbiano avuto un sostegno e una legittimazione così ampi quanto l'operazione «Odissea» in Libia, decisa dopo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, con il sostegno della Lega araba e di molti Paesi europei. Si può argomentare sul «gallismo» dei francesi, sugli eccessi di protagonismo elettorale di Sarkozy, sulle divisioni non sorprendenti dell'Europa, sul recalcitrare della Lega araba dopo i primi missili, sull'opportunità o meno del comando Nato — necessario per il coordinamento delle operazioni, meno utile per le sensibilità dei Paesi arabi — ma sono appunti che non stravolgono la sostanza giuridica della decisione di bombardare la Libia. Tra l'altro, si tratta di un intervento multilaterale: non più soltanto occidentale, non più a guida americana. La Francia ha capito la posta in gioco e ha scommesso, con un occhio ai propri interessi, sul futuro della regione. Che potrà essere incerto, però sarà probabilmente senza alcuni dei dittatori di oggi. Non è stato così per l'intervento in Iraq, deciso unilateralmente dagli Stati Uniti, con il falso pretesto delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam. Non è stato così nemmeno in Kosovo, poiché il bombardamento della Serbia di Milosevic fu deciso in ambito Nato, adottando la tesi di un intervento «difensivo». Solo successivamente intervennero le Nazioni Unite, con una risoluzione che fra l'altro rispettava l'integrità della Federazione jugoslava (così si chiamava ancora il Paese di Milosevic) e non prevedeva l'indipendenza del Kosovo. L'intervento in Afghanistan fu legittimato dalle Nazioni Unite che dopo l'attentato alle Torri Gemelle affermarono la necessità di combattere con ogni mezzo il terrorismo. Valse per gli Usa il diritto all'autodifesa. Nella caduta di Kabul fu determinante l'Alleanza del Nord, la parte del popolo afghano che si opponeva ai talebani e che era doveroso aiutare. Fi:rono sostenute dal consenso della comunità internazionale le operazioni in Somalia e a Timor Est. Purtroppo non si trovarono Paesi «volenterosi» per arrestare i genocidi in Ruanda e Cambogia. Agli argomenti giuricici, si possono muovere obiezioni sul piano morale. Milosevic e Saddam erano meno rispettabili di Gheddafi? E nei confronti di Milosevic e di Saddam l'Occidente non aveva intrattenuto quel genere di rapporti ambigui (affari, forniture di armi, rispettabilità e riabilitazione politica) cre oggi vengono ricordati a proposito del rais libico? Le vit *** time della pulizia etnica nella ex Jugoslavia o della dittatura di Saidam erano più innocenti dei cittadini di Bengasi? La risposta, per quanto insoddisfacente, non può che essere politica. Se motivazioni morali e legittimazione giuridica dovrebbero essere argomenti condivisi, è la politica che stabilisce ura gerarchia che offre il fianco alla polemica. Ed è la politica che — sempre a posteriori — stabilisce in base ai risultati la «convenienza» di un intervento. Nel caso dell'Iraq, è arduo negare le conseguenze dei bombardamenti sulla popolazione civile, lo stillicidio di attentati seguito all'occupazione militare, l'instabilità, il prezzo pagato dall'America e dall'Occidente in termini d'immagine ed esposizione al terrorismo. Per fare la guerra a Saddam si è scoperto il fronte afghano, si è permesso che il terrorismo accentuasse la presenza nel Paese, si sono forniti argomenti al fonda-mentalismo islamico. Nel caso del Kosovo, le durissime operazioni della polizia serba avrebbero portato Milosevic al Tribunale dell'Aia per crimini di guerra. Si decise di appoggiare la secessione organizzata dai guerriglieri kosovari. II distacco del Kosovo completò il processo di disgregazione della Jugoslavia. Chi scrive fu critico nei confronti di un intervento giuridicamente approssimativo, ma occorre riconoscere la preoccupazione morale di non veder ripetersi i massacri della Bosnia e l'obiettivo politico — non scritto in nessuna risoluzione, esattamente come oggi per Gheddafi — di sbarazzarsi di Milosevic, considerato un pericoloso e permanente fattore d'instabilità. Anche se poi fu la democratica rivoluzione dei serbi a cacciarlo. Nel caso della Libia, molte condizioni giuridiche, politiche e morali sembrano rispettate. Senza contare che in Libia, come in larga parte del mondo arabo, è in atto una rivoluzione per affermare libertà e diritti.


II - L'EUROPA CHE NON C'E'


Articolo di Timothy Garton Ash, La Repubblica, 24/03/2011


Così gli europei vengono da Marte e gli americani da Venere. I francesi, quegli smidollati mangia formaggio, hanno guidato la carica in Libia. I crociati mastica hamburger sono rimasti esitanti nelle retrovie.
olo che stereotipi così grossolani sono fuorvianti oggi quanto lo erano ai tempi della Guerra in Iraq. Ora come allora gli americani sono divisi, e gli europei ancor di più. La Francia e la Gran Bretagna hanno guidato la campagna per la no-fly zone e per "tutte le misure necessarie a proteggere i civili in Libia". La Germania si è apertamente dissociata. L'amministrazione Obama inizialmente si è mostrata riluttante quasi quanto la Germania a farsi coinvolgere in una qualche forma di intervento militare, ma ha cambiato posizione in reazione alla brutale campagna lanciata da Gheddafi per recuperare il potere, a seguito dell'atteggiamento decisamente interventista della Lega araba e delle numerose pressioni interne. Tra le voci americane levatesi a favore dell'intervento c'è quella di Robert Kagan, il neo-con autore dell'aforisma"Gli americanivengono da Marte, gli europei da Venere".
Quanto alla Francia non dobbiamo farci illusioni sui motivi personali di Nicolas Sarkozy. Senza dubbio si augura che il fare bella figura in campo internazionale gli faccia guadagnare punti accrescendo le sue possibilità di essere rieletto l'anno prossimo. Il deciso intervento a tutela dei diritti umani degl i arati i d ovreb be coprire una esecrabile tradizione di mezzucci per ingraziarsi i leader arabi che calpestavano quei diritti, tra cui Hosni Mubarak,il tunisino Zine El Abidine ben-Ali, che fino apoco tempo fa presiedeva assieme a Sarkozy l'Unione per il Mediterraneo e, ebbene si, MuammarGheddafi. Il premier britannico David Cameron, benché in posizione del tutto diversa. è giunto a una conclusione simile. Lé motivazioni delle persone sono sempre miste. Quel che conta sono i pro e i contro del caso e la realtà sul campo. Non sono statele illusioni di gran-dezza diSarkozyapersuaderelalega araba ad appoggiare l'intervento e tanto meno aconvincere il Consiglio di sicurezza dell'Onu ad autorizzarlo. E' stato Gheddafi che ammazzala sua gente e minaccia di eliminare i 'ratti' che gli si oppongono, di casa in casa, senza mostrare "né pietà né clemenza" acambiareleopinioni. E' stato il dottor Saif al-Islam Gheddafi (Phd, LSE) che farnetica sopra un carro armatoacambiareopinioni. E' Bengasi che sembra sul punto di cadere in mano alle forze di Gheddafi a cambiarele opinioni. Ladecisione di intervenire, presa con serietà, senza farsi illusioni si fonda su un unico postulato: ben presto sarebbe stato peggio, letale per molti, se non fossimo intervenuti. E' questa la logica che ha convinto la maggioranzadel Consiglio di sicurezzadell'Onu avotare perla risoluzione 1973 (e, detto per inciso, ha portato il presidente del Rwanda ad appoggiarla). Una logica che non ha convinto però la Russia, la Cina, il Brasile e l'India; né la Germania. L'immagine che ben rappresenta questa crisi è per me quella dell'ambasciatore tedesco alle Nazioni Unite, Peter Wittig, seduto con le mani conserte e un'espressione addolorata in volto mentre al suo fianco l'ambasciatore del Gabon, Emma-nuel Issoze-Ngondet, alza il braccio pervotarelarisoluzione mirataasalvare civili innocenti da un dittatore mezzo pazzo con i baffi. Mi chiedo come si sentisse Witting, persona degnissima, in quel momento. Semplice imbarazzo? O qualcosa di più simile alla vergogna? AltrocheFranciaeGermaniacop-pia indissolubile al centro dell'Europa, in grado, assieme, di darle maggior voce nel mondo. Invece i ministri degli esteri francese e tedesco, Alain Juppé e Gu ido Westerwelle, sono in aperto disaccordo. "lo esprimo il mio pensiero, lui il suo", è stato il secco commento di Juppé dopo alcuni aspri scambi tra i due a Bruxelles lunedì scorso. ELeMonde riporta questo devastante giudizio, sempre di Juppé: "La politica di difesa sicurezza comune europea? E' morta". Il problema qui non 61a partecipazione diretta della Germania. Chiunque avrebbe capito se non fosse stata possibile. Ma come può la Germania non appoggiare una risoluzione Onu sostenuta dai suoi principali partner europei, dagli UsaedallaLegaAraba? Peggio ancora, Westerwelle recentemente per difendere l'astensione tedesca ha fatto cenno a dubbi espressi circa la portata dell'intervento militare da parte della Lega araba: "Abbiamo calcolato il rischio. Se, a tre giorni dall'intervento, vediamo che la Lega Araba già lo critica, credo che avessimo dei buoni motivi". Mentre i piloti britannici e francesi rischiano la vita in azione, il ministro degli esteri tedesco in pratica incoraggia la LegaArabaad essere ancora più critica. Una parola che mi sorge spontanea è Dokhstoss (pugnalata alle spalle).
Questo atteggiamento tedesco ha varie motivazioni. Westerwelle è uno dei ministri degli esteri più deboli che Ia Germania abbia avuto da tempo.In quanto leader dei Liberal democratici teme gli esiti di alcune importanti elezion i provinciali—al pari diAngela Merkel. Come molti politici europei contemporanei la Merkel e We *** sterwelleseguono I'opinionepubblica invece di esserne guida. Dopo qualche cauto passo per assumersi più ampie responsabilità intemazionali, incluse quelle militari, negli anni '90, l'opinione pubblica tedesca sembra nuovamente sprofondata in un atteggiamento all'insegna del lasciateci i n pace". Che la Germania sia una grande Svizzera! E il dinamismo della straordinaria crescita delle esportazioni tedesche è sempre più estraneo al vecchio occidente, negli scambi commerciali con paesi come il Brasile, la Russia, l'India e la Cina—proprio i paesi Bric con i quali la Germania è schierata all'Onu. Anche se pensate che l'approccio tedesco alla questione specifica della no-fly zone sia corretto e quello francese sbagliato, dovete ammettere che queste divisioni rendono ridicola la pretesa che l'Europa abbia una politica estera. Ricordate che questo avrebbe dovuto essere l'anno in cui l'UE finalmente l'avrebbe realizzata. «L'incontro di oggi», ha detto Catherine Ashton, l'Alto Rappresentante perlapoliticaesterae di sicurezzadellaUe dopo lazuffadi lunedì, «dimostra la determinazione della Ue a reagire con rapidità e decisione e all'unisono agli eventi in Libia». Merita un premio per essere riuscita a dirlo con la faccia seria. A fronte di divisioni così profonde tra i paesi più importanti anche il miglior Alto Rappresentante del mondo aveva ben poco da fare.
Non fraintendetemi: se critico l'atteggiamento tedesco non significa che io non abbia dubbi su questa operazione. Ho dei dubbi seri a riguardo, come quasi tutti quelli che conosco. Sono convinto che restare a guardare avrebbe significato terribili conseguenze per i civili attaccati dalle forzediGheddafi. Se non ci fossimo mossi sarebbe statopeggio. Ma ora dobbiamo dimostrare che le cose andranno meglio perché siamo intervenuti. Siamo presi in trappola tra i limiti ben precisi del mandato Onu—proteggere i civili — e la condizione necessaria per garantire quel fine con certezza: la caduta di Gheddafi. L'unico esito positivo di un'azione militare mirata autorizzata dall'Onu è consentire ai libici di sbarazzarsi di Gheddafi. Quindi il compromesso verso cui questa coalizione divolenterosi sembra orientarsi — esperienza di comando e controllo Nato in un involucro politicopiù ampio—è probabilmente la via migliore. Poi tutto dipenderà da chi è sul campo. Ma molti esiti peggiori sono del tuttopossibili, nondaultimounaorribile protratta spartizione del paese, con la metà occidentale ancora sotto il controllo di Gheddafi. Un'Europadivisaaumentala probabilità di una Libia divisa.


Mi è venuto spontaneo confrontare la puntuale intelligenza dei due articoli riportati con il caotico insieme di sciocchezze pronunciato da una deputata del PDL, sedicente rappresentante delle donne marocchine in Italia nella trasmissione diretta da Lilly Gruber (8 e mezzo) la sera del 23/03/2011. In mezzo alle altre inconsulte sciocchezze la signora onorevole si è manifestata come un'accanita sostenitrice del dittatore Gheddafi. Non c'è che dire. Mi chiedo: "Perché per due persone intelligenti debbono esistere valanghe di imbecilli?".


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