Gheddafi riconquista le città del petrolio e prepara la battaglia finale di Bengasi. L'anabasi dei rivoltosi rischia di giungere presto a compimento se non riceveranno sostegno esterno.
n esito assai preoccupante: la vittoria del Colonnello avrebbe pesanti conseguenze non solo sul destino degli insorti ma anche sulla residua credibilità occidentale. La vicenda libica ha tratti diversi da quelle tunisina ed egiziana, sul piano interno e esterno. Non solo perché i conflitti centro-periferia e quello infra-tribale minano alle radici le potenzialità dei nuovi attori sociali, come i giovani, emersi aTunisi e al Cairo, a favore di soggetti tradizionali legati a un'identificazione di clan o territoriale. La soci età egiziana è maggiormente differenziata rispetto a quella libica più facile ricompattarla con lusinghe, minacce, promesse. "LafamigliaGhedda-fi è la Libia", ha detto il Colonnello e in quest'affermazione, permeata di un'inaudita volontà di potenza, vi è paradossalmente un fondo di verità: dopo quarant'anni di regime personale, la sua influenza è molto più ampia di quanto fosse quella dei suoi due vicini deposti. Inoltre la Libia è meno permeabile alla pressione esterna degli altri due paesi nordafricani. In questo contesto Gheddafi ha capito che poteva giocare la carta del resistere, contando sul fattore tempo, sulle incertezze occidentali, su quelle dei regimi arabi timorosi del precedente, oltre che sulle convergenze di Mosca e Pechino aPalazzo diVetro. Ciò che sorprende non è la scelta del Colonnello quanto quella, impotente, dell'Occidente, precipitatosi prima ad appoggiare entusiasticamente i rivoltosi, poi a riconoscerli come potere nascente, infine, abbandonandoli di fatto alla loro sorte. Sia chiaro: un intervento militare, compresa l'invocata "no fly zone", operazione comunque di natura bellica, è gravido di incognite. Ma è possibile, dopo essersi spinti tanto avanti, persino sul piano giudiziario, fare finta di nulla, limitarsi a invocare la realizzazione di precise condizioni politiche e nel frattempo veder sfilare il satrapo a cavallo a Bengasi? Possibile, dopo che Obama gli ha intimato di andarsene e Sarkozy ha proposto di bombardare il suo bunker? Certamente no: Ghedaffi è destinato a diventare, nuovamente, un paria della comunità internazionale. Anche se qualcuno continua a guardarlo come un male minore e coltiva l'idea che possa continuare a garantire flussi petroliferi e fare da antemurale a masse di migranti. Per restare alla poco reticente titubanza italiana, è possibile pensare che, dopo quanto awenuto, si possa ripristinare quel trattato italo-libico "sospeso di fatto"?E magari riprendere i pattugliamenti misti in mare a caccia di disperati? Se Ghedaffi rimanesse al potere guarderebbe inevitabilmente a Russia e Cina, decise rispettivamente a riconquistare un posto al sole nel Mediterraneo e soddisfare le crescenti voracità petrolifere. Un immobilismo rassegnato farebbe, in ogni caso, svanire il credito conquistato nel mondo islamico dall'America di Obama. Le opposizioni nel Golfo, non solo quelle saudite ma anche quelle iraniane, non avrebbero più speranze. Acqua per il mulino delle declinanti tesi islamiste radicali sul "naturale" e "inevitabile" sostegno americano ai "regimi empi".
Un dilemma tragico, quello che deve affrontare l'Occidente, nel quale si gioca non solo lasorte del Colonnello ma anche quella delle forze che si battono per la democrazia della Mezzaluna. In ogni caso un dilemma che va sciolto subito: il tempo sta ormai per scadere.
Se il rais riuscirà a domare gli insorti e a restare al potere, quale sarà l'atteggiamento degli Usa e dell'Europa?
Il titolo dell'articolo che abbiamo appena riportato dovrebbe essere radicalmente corretto. Ne proponiamo uno che meglio fotografa il ruolo che il cosiddetto occidente, per altro in buona compagnia, ha svolto nel confronto più che altro "recitato" con il colonnello Gheddafi, che ormai sembra avviato a una facile vittoria sui giovani armati per lo più del solo coraggio e che hanno per altro dimostrare al mondo di essere stufi di un dittatore pagliaccio armato di una ben sperimentata ferocia sanguinaria e di una megalomania che ha avuto per altro la cortezza di dotarsi di un arsenale moderno ed efficiente.
Naturalmente è possibile fare una classifica fra i diversi gradi di opportunismo vile, di sostanziale menefreghismo di fronte le sorti di una rivoluzione democratica partita dal basso e, infine tra le diverse manifestazioni di cialtroneria fanfarona.
I - Il primato negativo spetta come al solito a Berlusconi e alla sua corte. Forse perché non ha certo dimenticato il bacia-mano in cui si è profuso con il Colonnello libico, Berlusconi dopo aver esordito dicendo di non aver telefonato nei primi giorni della rivolta al suo compare libico dicendo che "non voleva disturbarlo", ha proseguito dando mandato al suo azzimato ministro degli esteri (presto lo vedremo in qualche sfilata di moda maschile) che doveva essere evitata ogni interferenza degli affari interni di uno stato sovrano; lo stesso Frattini ha inventato poi la strana teoria che l'Italia "riconosce gli stati ma non i governi" per rispondere negativamente alle proposte di quanti in Europa sollecitavano il riconoscimento del governo provvisorio di Bengasi; ancora Frattini, dopo aver auspicato l'istituzione di una "off line zone" per bloccare l'aviazione libica ba shccessivamente confermato a riprese la pericolosità di una simile scelta. La sola preoccupazione che ha avuto il ministro leghista Maroni è stata quella di evidenziare a più riprese che la caduta di Gheddafi avrebbe significato un'invasione africana dell'Italia: in sostanza per il caritatevole ministro degli interni è meglio un dittatore che collabora nell'affondare barconi pieni di disperati piuttosto che rafforzare un processo di rinnovamento democratico del nord Africa. Berlusconi ha concluso i suoi esploits facendo intendere che la responsabilità del mancato allontanamento dal potere di Gheddafi era di quei magistrati del tribunale dell'Aia che hanno ravvisato i massacri compiuti dal suo compare "crimini contro l'umanità" legittimamente perseguibili". Berlusconi è fissato: la colpa è sempre dei giudici. La cornice di tutto questo non edificante quadro è stata la vicenda degli aiuti italiani: partiti in quarta strombazzando la Costituzione di un "campo Italia" che avrebbe potuto ospitare almeno 50.000 profughi accalcati ai confini con la Tunisia, si è ripiegato su quattro tende per ospitare i servizi logistici dei soccorritore. Un anziano tunisino ha commentato: "Un grande paese come l'Italia fa tante storie per le 5000 persone che sono sbarcate a Lampedusa in 20 giorni, e noi tunisini, pieni di problemi, poveri e affanati, abbiamo nutrito e dissetato e fornito tende nello stesso periodo a non meno di 60 mila persone.
II - Il presidente francese Sarkozy, dopo essere stato l'ultimo a scaricare il dittatore tunisino Ben Alì e il faraone egiziano Mubarak nei confronti di Gheddafi ha imbracciato una delle spade dei 3 moschettieri e ha proclamato: "Bombarderò le postazioni di Gheddafi da solo anche senza l'autorizzazione dell'ONU!". Naturalmente si è ben guardato dal farlo nonostante il primo ministro britannico abbia fatto finta di volerlo seguire.
III - "Gheddafi deve andarsene!" ha ripetuto una decina di volte Barack Obama presidente degli USA. "Gheddafi deve andarsene!" gli ha fatto eco Hillary Clinton, segretario di stato americano. Chissà forse qualche stratega della CIA disponeva di qualche speciale qualità di sale " da mettere sulla coda del passero libico". Fatto sta che gli USA non hanno mosso un dito usando, come paravento la contrarietà presumibile della lega araba e della Russia. Poi la lega araba si è pronunciata all'unanimità a favore della "No Fly Zone" sulla Libia mentre Vladimir Putin ha solennemente proclamato che Gheddafi deve essere allontanato dalla scena politica internazionale.
Mentre tutti i sopra elencati chiaccheroni seguitano a chiaccherare, Gheddafi prosegue i suoi bombardamenti con modernissimo aerei, con l'artiglieria pesante e con una mole notevole di carri armati. I ribelli, quattro giovani armati in sostanza del loro coraggio e del loro desiderio di Libertà, sono costretti ad arretrare.
Molto giornali italiani, per un antico vezzo nazionale, tifano neppure troppo nascostamente per la folgorante controffensiva del colonnello. Essi ignorano che certi livelli di infamia prima o poi si pagano di fronte alla storia .
n esito assai preoccupante: la vittoria del Colonnello avrebbe pesanti conseguenze non solo sul destino degli insorti ma anche sulla residua credibilità occidentale. La vicenda libica ha tratti diversi da quelle tunisina ed egiziana, sul piano interno e esterno. Non solo perché i conflitti centro-periferia e quello infra-tribale minano alle radici le potenzialità dei nuovi attori sociali, come i giovani, emersi aTunisi e al Cairo, a favore di soggetti tradizionali legati a un'identificazione di clan o territoriale. La soci età egiziana è maggiormente differenziata rispetto a quella libica più facile ricompattarla con lusinghe, minacce, promesse. "LafamigliaGhedda-fi è la Libia", ha detto il Colonnello e in quest'affermazione, permeata di un'inaudita volontà di potenza, vi è paradossalmente un fondo di verità: dopo quarant'anni di regime personale, la sua influenza è molto più ampia di quanto fosse quella dei suoi due vicini deposti. Inoltre la Libia è meno permeabile alla pressione esterna degli altri due paesi nordafricani. In questo contesto Gheddafi ha capito che poteva giocare la carta del resistere, contando sul fattore tempo, sulle incertezze occidentali, su quelle dei regimi arabi timorosi del precedente, oltre che sulle convergenze di Mosca e Pechino aPalazzo diVetro. Ciò che sorprende non è la scelta del Colonnello quanto quella, impotente, dell'Occidente, precipitatosi prima ad appoggiare entusiasticamente i rivoltosi, poi a riconoscerli come potere nascente, infine, abbandonandoli di fatto alla loro sorte. Sia chiaro: un intervento militare, compresa l'invocata "no fly zone", operazione comunque di natura bellica, è gravido di incognite. Ma è possibile, dopo essersi spinti tanto avanti, persino sul piano giudiziario, fare finta di nulla, limitarsi a invocare la realizzazione di precise condizioni politiche e nel frattempo veder sfilare il satrapo a cavallo a Bengasi? Possibile, dopo che Obama gli ha intimato di andarsene e Sarkozy ha proposto di bombardare il suo bunker? Certamente no: Ghedaffi è destinato a diventare, nuovamente, un paria della comunità internazionale. Anche se qualcuno continua a guardarlo come un male minore e coltiva l'idea che possa continuare a garantire flussi petroliferi e fare da antemurale a masse di migranti. Per restare alla poco reticente titubanza italiana, è possibile pensare che, dopo quanto awenuto, si possa ripristinare quel trattato italo-libico "sospeso di fatto"?E magari riprendere i pattugliamenti misti in mare a caccia di disperati? Se Ghedaffi rimanesse al potere guarderebbe inevitabilmente a Russia e Cina, decise rispettivamente a riconquistare un posto al sole nel Mediterraneo e soddisfare le crescenti voracità petrolifere. Un immobilismo rassegnato farebbe, in ogni caso, svanire il credito conquistato nel mondo islamico dall'America di Obama. Le opposizioni nel Golfo, non solo quelle saudite ma anche quelle iraniane, non avrebbero più speranze. Acqua per il mulino delle declinanti tesi islamiste radicali sul "naturale" e "inevitabile" sostegno americano ai "regimi empi".
Un dilemma tragico, quello che deve affrontare l'Occidente, nel quale si gioca non solo lasorte del Colonnello ma anche quella delle forze che si battono per la democrazia della Mezzaluna. In ogni caso un dilemma che va sciolto subito: il tempo sta ormai per scadere.
Se il rais riuscirà a domare gli insorti e a restare al potere, quale sarà l'atteggiamento degli Usa e dell'Europa?
Il titolo dell'articolo che abbiamo appena riportato dovrebbe essere radicalmente corretto. Ne proponiamo uno che meglio fotografa il ruolo che il cosiddetto occidente, per altro in buona compagnia, ha svolto nel confronto più che altro "recitato" con il colonnello Gheddafi, che ormai sembra avviato a una facile vittoria sui giovani armati per lo più del solo coraggio e che hanno per altro dimostrare al mondo di essere stufi di un dittatore pagliaccio armato di una ben sperimentata ferocia sanguinaria e di una megalomania che ha avuto per altro la cortezza di dotarsi di un arsenale moderno ed efficiente.
Naturalmente è possibile fare una classifica fra i diversi gradi di opportunismo vile, di sostanziale menefreghismo di fronte le sorti di una rivoluzione democratica partita dal basso e, infine tra le diverse manifestazioni di cialtroneria fanfarona.
I - Il primato negativo spetta come al solito a Berlusconi e alla sua corte. Forse perché non ha certo dimenticato il bacia-mano in cui si è profuso con il Colonnello libico, Berlusconi dopo aver esordito dicendo di non aver telefonato nei primi giorni della rivolta al suo compare libico dicendo che "non voleva disturbarlo", ha proseguito dando mandato al suo azzimato ministro degli esteri (presto lo vedremo in qualche sfilata di moda maschile) che doveva essere evitata ogni interferenza degli affari interni di uno stato sovrano; lo stesso Frattini ha inventato poi la strana teoria che l'Italia "riconosce gli stati ma non i governi" per rispondere negativamente alle proposte di quanti in Europa sollecitavano il riconoscimento del governo provvisorio di Bengasi; ancora Frattini, dopo aver auspicato l'istituzione di una "off line zone" per bloccare l'aviazione libica ba shccessivamente confermato a riprese la pericolosità di una simile scelta. La sola preoccupazione che ha avuto il ministro leghista Maroni è stata quella di evidenziare a più riprese che la caduta di Gheddafi avrebbe significato un'invasione africana dell'Italia: in sostanza per il caritatevole ministro degli interni è meglio un dittatore che collabora nell'affondare barconi pieni di disperati piuttosto che rafforzare un processo di rinnovamento democratico del nord Africa. Berlusconi ha concluso i suoi esploits facendo intendere che la responsabilità del mancato allontanamento dal potere di Gheddafi era di quei magistrati del tribunale dell'Aia che hanno ravvisato i massacri compiuti dal suo compare "crimini contro l'umanità" legittimamente perseguibili". Berlusconi è fissato: la colpa è sempre dei giudici. La cornice di tutto questo non edificante quadro è stata la vicenda degli aiuti italiani: partiti in quarta strombazzando la Costituzione di un "campo Italia" che avrebbe potuto ospitare almeno 50.000 profughi accalcati ai confini con la Tunisia, si è ripiegato su quattro tende per ospitare i servizi logistici dei soccorritore. Un anziano tunisino ha commentato: "Un grande paese come l'Italia fa tante storie per le 5000 persone che sono sbarcate a Lampedusa in 20 giorni, e noi tunisini, pieni di problemi, poveri e affanati, abbiamo nutrito e dissetato e fornito tende nello stesso periodo a non meno di 60 mila persone.
II - Il presidente francese Sarkozy, dopo essere stato l'ultimo a scaricare il dittatore tunisino Ben Alì e il faraone egiziano Mubarak nei confronti di Gheddafi ha imbracciato una delle spade dei 3 moschettieri e ha proclamato: "Bombarderò le postazioni di Gheddafi da solo anche senza l'autorizzazione dell'ONU!". Naturalmente si è ben guardato dal farlo nonostante il primo ministro britannico abbia fatto finta di volerlo seguire.
III - "Gheddafi deve andarsene!" ha ripetuto una decina di volte Barack Obama presidente degli USA. "Gheddafi deve andarsene!" gli ha fatto eco Hillary Clinton, segretario di stato americano. Chissà forse qualche stratega della CIA disponeva di qualche speciale qualità di sale " da mettere sulla coda del passero libico". Fatto sta che gli USA non hanno mosso un dito usando, come paravento la contrarietà presumibile della lega araba e della Russia. Poi la lega araba si è pronunciata all'unanimità a favore della "No Fly Zone" sulla Libia mentre Vladimir Putin ha solennemente proclamato che Gheddafi deve essere allontanato dalla scena politica internazionale.
Mentre tutti i sopra elencati chiaccheroni seguitano a chiaccherare, Gheddafi prosegue i suoi bombardamenti con modernissimo aerei, con l'artiglieria pesante e con una mole notevole di carri armati. I ribelli, quattro giovani armati in sostanza del loro coraggio e del loro desiderio di Libertà, sono costretti ad arretrare.
Molto giornali italiani, per un antico vezzo nazionale, tifano neppure troppo nascostamente per la folgorante controffensiva del colonnello. Essi ignorano che certi livelli di infamia prima o poi si pagano di fronte alla storia .
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