All'epoca della sua nascita l'Islam operò una profonda rivoluzione nell'assetto sociale dell'Arabia, sostituendo alla complessa rete di relazioni tribali e di sangue l'idea di un gruppo umano legato da vincoli di fede a prescindere dall'origine familiare e dalla razza. I privilegi genealogici continuarono ad avere peso politico ma l'Islam insistette più sull'uguaglianza che sulle differenze degli uomini di fronte a Dio.
La comunità islamica deve infatti essere un corpo omogeneo nel quale tutti gli elementi concorrono alla perfezione e all'armonia. Non solo ogni credente è fratello ideale degli altri, ma la solidarietà e la mutua assistenza fra i membri della Umma sono un obbligo giuridico, un precetto cui nessuno può sottrarsi. Nelle parole del Profeta "I musulmani sono una sola mano e assomigliano a un muro compatto le cui parti si sorreggono a vicenda". Il dovere di combattere per la sicurezza collettiva, la protezione degli inabili, le elemosine e le tutele morali ed economiche a favore dei deboli sono tutti precetti che sottolineano la stretta dipendenza fra le diverse membra di un unico grande organismo. Il concetto di Umma non esprime solo la compattezza interna della comunità, ma ne implica la proiezione all'esterno, perché il suo compito primario è quello di promuovere il bene e reprimere il male. "Voi siete la migliore nazione mai suscitata tra gli uomini; promuovete la giustizia, impedite l'ingiustizia e credete in Dio (Cor. II, 110).
Il capo effettivo di questa grande entità è Dio, legislatore, arbitro e giudice supremo. L'Islam non concepisce l'idea di uno o più intermediari di Dio che possano di propria volontà dirigere le sorti della Umma: nessuna chiesa e nessun clero, perché ogni credente è sacerdote di se stesso e la comunità obbedisce e risponde direttamente a Dio. L'Islam avverte tuttavia l'esigenza di un'autorità che garantisca l'applicazione e il rispetto della legge, pur senza essere dotata di alcun potere legislativo e religioso. Questo ufficio direttivo venne assolto durante la sua vita dal Profeta. Alla sua morte il capo della comunità poté solo limitarsi a tutelare e a garantire la legge come essa è, sottomettendovisi per primo e usando la propria discrezionalità solo in una sfera molto limitata. Egli non deteneva alcun potere assoluto ma era titolare di un mandato pubblico per applicare e difendere la Shari'a.
Questi principi di dottrina politica non vennero accettati da tutti e ciò portò al grande scisma dell'Islam (Fitna). La maggioranza dei musulmani rimase tuttavia fedele a questa impostazione di fondo e costituì una delle principali ossature dell'Islam sunnita e del suo concetto di sovranità. Le varie componenti della Sunna trattarono nel corso dei secoli la materia in modo differente, ma la maggior parte concordò su alcuni elementi essenziali che possono considerarsi patrimonio comune del pensiero sunnita:
I - La comunità deve avere una guida e tale necessità viene indicata come un vero e proprio obbligo religioso.
La guida deve essere unica, perché unica è la legge che essa deve far osservare;
II - Per quanto riguarda le modalità con cui individuare la guida, il Corano (Cor. IV, 59) invita i credenti ad obbedire a Dio, al suo messaggero e a quelli di voi che detengono l'autorità;
III - Il capo della comunità deve essere un musulmano ma la sua autorità deve in ultima analisi provenire dal popolo. In linea di principio l'Islam propone per l'individuazione del capo l'idea della libera scelta, principio sostanzialmente democratico che viene corretto in vario modo: la libera scelta deve essere una scelta oculata e non può quindi essere affidata a tutti indistintamente, ma va riservata a coloro che, per affidabilità morale, cultura religiosa e dignità sociale sono maggiormente in grado di interpretare le esigenze complessive della Umma;
IV - L'investitura del potere è un vero e proprio contratto legale con il quale le persone più autorevoli della comunità prestavano all'eletto un giuramento di obbedienza a nome di tutto il popolo, ma la persona investita si impegnava a sua volta ad osservare e a far osservare la legge, ad amministrare correttamente la giustizia e a promuovere il benessere generale. Più volte tale principio venne sostituito dai fatti da una designazione ereditaria operata dal sovrano in carica, ma il giuramento di obbedienza rimase l'elemento essenziale di ogni successione.
La titolatura spettante al sovrano rivela particolari importanti sulle dimensioni religiosi e civili della funzione politica. I sunniti hanno utilizzato a tale proposito 3 espressioni distinte: Khalifa, Imam e Amir Al-Mu'Minin:
A - La prima trae origine dal Corano (sura II, 30) che a proposito dei Profeti Adamo e Davide utilizza il termine per indicare il fatto che essi vengono istituiti come vicari di Dio sulla Terra. Il califfo è dunque in origine un rappresentante di Dio;
B - La parola Imam (guida, preposto) è tratta dall'uso rituale in cui l'Imam è colui che guida la preghiera collettiva e tende ad evocare i compiti più strettamente religiosi del capo. Da notare che la prima guida della preghiera fu Abu Bakr nominato dal Profeta;
C - Il titolo di Amir Al-Mu'Minin (capo o principe dei credenti) era inizialmente il preposto alla conduzione militare della comunità e designò infine colui al quale erano assegnate le funzioni prettamente civili dell'autorità (potere amministrativo).
NOTA: l'impero ottomano introdusse due termini ulteriori per designare le posizioni di potere: il titolo di Dei designava i sovrani di stati vassalli dell'impero; il Pascià era in genere il governatore di una provincia o un alto grado militare. Il termine sceicco designa in genere colui che è preposto a una comunità per la sua cultura e per la sua anzianità.
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