mercoledì 30 marzo 2011

LA SOVRANITA' DEL PANICO

Articolo di Barbara Spinelli, La Repubblica, 30/03/2011


"La sovranità del Panico"

Sono settimane che in Italia si guarda a quel che accade in Libia e alla guerra che stiamo conducendo attraverso un'unica lente: nient'altro è per noi visibile se non quello che potremmo patire noi, se i fuggitivi arabi e africani continueranno a imbarcarsi verso le nostre coste. Non si discute che di Lampedusa assediata, di città italiane più o meno restie all'accoglienza. Per la verità non si parla di rifugiati ma di invasori, come se la vera guerra fosse contro di noi. Il trauma è nostro monopolio, il mondo è un altrove che impaura e minaccia: da un momento all'altro, il favore di cui gode l'operazione in Libia potrebbe precipitare. Sembriamo molto lucidi e pratici, ma questo restringersi della visuale ci rende completamente ciechi: l'altrove mediterraneo resta altrove, solo la nostra quiete di nazione arroccata e aggredita ci interessa. Già alcuni parlano di tsunami, ed ecco paesi e persone degradati ad acqua che irrompe. Non ci interessa quel che fa Gheddafi (vagamente parliamo di massacri, in parte avvenuti in parte potenziali). Non ci interessano neanche gli insorti, le loro intenzioni. Il mondo è in mutazione ma noi siamo lì, chiusi in un recinto fatto di ignoranza volontaria: come se esistesse, oltre alla guerra preventiva, un non-voler sapere preventivo. Credevamo di aver spostato le nostre frontiere più in là, lungo le coste libiche, ben felici che a gestire l'immigrazione fosse il colonnello coi suoi Lager, invece nulla da fare. Il muro libico crolla e i detriti son tutti a Lampedusa e la maggioranza stessa degenera in detrito: con Bossi che offre come soluzione lo slogan "föra di ball", con il Consiglio dei ministri che salta, con Berlusconi che di persona andrà nell'isola campeggiando - ancora una volta - come re taumaturgo. Lampedusa è divenuta l'emblema della nostra condizione di vittime, il grido che lanciamo all'universo. Dice il governo che oggi arriveranno 4 navi per 10.000 posti, ma per tanti giorni non abbiamo visto che l'isolotto sommerso da grumi informi a malapena identificati con persone. Il fermo immagine sull'isola - il fotogramma che sospende il tempo creando stasi, ristagno - è l'arma di un governo che scientemente arresta la pellicola su questo dramma abbacinante. Lampedusa è agnello sacrificale, ha scritto su Repubblica Eugenio Scalfari. Tutte le colpe s'addensano nell'icona espiatoria, e non stupisce il vocabolario sacrificale che l'accompagna: esodo biblico, inferno, apocalisse. Sguainare la parola apocalisse è profittevole al capo politico, che pare più forte. Diventa il kathekon del mondo: trattiene i poveri mortali dal disastro. Così Lampedusa si tramuta in podio politico: Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale, già ci è andata, il 14 marzo, ben cosciente che l'Italia è oggi laboratorio delle destre estreme. Giustamente il cardinale Martini mette in guardia contro l'uso dello spauracchio apocalittico: non ha detto, Gesù, che "fatti terrificanti" verranno ma "nemmeno un capello del vostro capo perirà"? La paura è comprensibile ma va affrontata, secondo Martini, con quattro virtù: resistenza, calma, serietà, dignità. È proprio quello che manca in Italia. Che manca, nonostante l'attività della Caritas, anche alla Chiesa: con gli innumerevoli alloggi che possiede, non pare sia decisa a offrirli per i fuggiaschi, stipati in condizioni non vivibili, privati ora anche di cibo. Chiara Saraceno ha spiegato bene il paradosso, domenica su Repubblica: questi alloggi, trasformati in alberghi, godono di sconti fiscali perché destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali". Perché non sono messi subito a disposizione? Quando non c'è serietà le bugie dilagano, le immagini s'adeguano. Si adeguano nel caso della guerra libica, che non essendo chiamata guerra non può nemmeno esser pensata a fondo, con conoscenza di causa. Si adeguano nel descrivere l'Unione europea, su cui piovono accuse talvolta giuste ma nella sostanza menzognere, da parte di governanti che di tutto son capaci tranne di pedagogia delle crisi. Se non c'è una politica europea sull'emigrazione, è perché gli Stati vogliono mantenere per sé competenze che non sanno esercitare. È contro il proprio panico sovrano che dovrebbero inveire, non contro Bruxelles: contro l'ideologia del fare da sé, del "ghe pensi mi", che angustia l'Italia da quasi cent'anni. In teoria dovrebbe valere il principio di sussidiarietà (l'Unione decide sulle questioni di sua competenza che gli Stati non sanno risolvere), ma si esita ad applicarlo. Quanto all'immigrazione, il trattato di Lisbona prevede che l'Unione decida all'unanimità tra governi, senza la codecisione del Parlamento europeo, con l'eccezione di alcune materie in cui il trattato stesso prevede la procedura legislativa ordinaria: solo in queste materie (non sono le più importanti) si decide a maggioranza qualificata e dunque si agisce. Ma la menzogna decisiva riguarda quel che l'Italia pensa di sé. Alla radice della cecità, c'è l'illusione di essere una nazione che ancora può scegliere tra essere multietnica o no. Che non deve nemmeno chiedersi se stia divenendo xenofoba. In realtà sono 30 anni che siamo un paese d'immigrazione, con punte massime negli ultimi dieci, e quando Berlusconi nel 2009 disse che "non saremo un paese multietnico", mentiva per evitare il ruolo di pedagogo delle crisi. Per negare che la convivenza col diverso si apprende faticosamente ma la si deve apprendere: attraverso una cultura della legalità, dello Stato, del rispetto. Il politico-pedagogo non finge patrie omogenee che rimpatriano alla svelta bestiame umano, ma governa una civiltà multietnica che da tempo non è più un'opzione ma un fatto.
Per capire il nostro vero stato di salute conviene leggere il rapporto, assai allarmato, che Human Rights Watch 1 ha pubblicato il 21 marzo sull'espandersi del razzismo in Italia. Condotta fra il dicembre 2009 e il dicembre 2010, l'inchiesta raccoglie una mole di testimonianze e mette in luce cose che sappiamo, ma dimentichiamo. Raramente il crimine razzista è denunciato come tale, nonostante la legge Mancino del '93 (articolo 3) lo consideri un'aggravante nei reati: la disposizione non è però inserita nel Codice penale. Raramente sono applicate leggi europee e internazionali per noi vincolanti. Infine, né polizia né magistratura sono formate per affrontare reati simili, e numerosissimi casi vengono archiviati, specie quando le violenze sono commesse da forze dell'ordine. È la retorica che vince sui fatti, scrive ancora il rapporto, e la colpa è dei politici come dei media. Dei politici, che per primi "stigmatizzano le persone con stereotipi". Dei media, "a causa della monopolizzazione dell'editoria radio-televisiva esercitata da Berlusconi". Il rapporto non risparmia la sinistra, spesso tentata di equiparare immigrati e criminali. Continuamente i politici chiedono che immigrati o fuggitivi si integrino nella nostra cultura, ma è ipocrisia. Primo perché ai fuggiaschi non vengono dati gli strumenti per interiorizzare la nostra civiltà, i suoi diritti e doveri. Secondo perché gli italiani stessi - mal informati, mal governati - ignorano la civiltà sbandierata. Basti un esempio. Il migrante privo di documento che è vittima di un reato può richiedere il rilascio di un permesso temporaneo, e rimanere nel paese per la durata del processo. L'autorizzazione è concessa per periodi rinnovabili di tre mesi, e revocata a processo finito se il caso è archiviato. Ma la regola di solito è ignorata, con effetti gravi: il reato non è denunciato per paura, la fiducia del migrante nello Stato frana, le mafie diventano rifugi. Se questa è la cultura politica imperante non sorprende che la nostra politica estera sia così debole, anche in Libia. Non dimentichiamo che gli aiuti pubblici allo sviluppo, in Italia, sono crollati. Ristabiliti dal governo Prodi, da due anni scendono sempre più. In uno studio per l'Istituto affari internazionali, Iacopo Viciani fornisce dati probanti: nel bilancio di previsione per il 2011, la cooperazione allo sviluppo è tra le spese più decurtate, riducendo al minimo il peso italiano nel mondo. Gli stanziamenti per la cooperazione raggiungeranno nel 2011 il livello più basso, con una riduzione del 61% rispetto al minimo del '97. Si dirà che ciascuno taglia, in Europa. È falso: Londra, Stoccolma e Parigi aumentano gli aiuti malgrado la crisi. Inutile andare a una guerra quando si conta così poco nella scelta delle sue già confuse finalità. I governi italiani non sono gli unici ad aver negoziato con Gheddafi, ma il patto stretto da Berlusconi ha qualcosa di scellerato. È grazie a esso che dal 2009 sono stati rimpatriati centinaia di africani giunti in Libia per arrivare in Europa. Senza distinguere tra profughi e migranti, i fuggitivi sono stati respinti in Libia ben sapendo cosa li aspettava: autentici campi di concentramento, dove regnavano tortura, stupri, fame. Forse è il motivo per cui fatichiamo, non solo in Italia, ad analizzare questa guerra libica così opaca. A vedere le insidie di un movimento di insorti che non ha esitato, pare, a uccidere prigionieri africani sospettati di lavorare per Gheddafi. Molti libici fuggiranno anche dai successori del colonnello: dai ribelli che stiamo aiutando perché abbattano il Rais. Forse siamo semplicemente alla ricerca di nuovi carcerieri per gli immigrati che respingeremo.

Per commentare l'articolo di Barbara Spinelli, come al solito puntuale ed esauriente, mi voglio permettere un piccolo "excursus" in una mia banale vicenda personale, che può tuttavia illuminare sulle ragioni profonde della "Sovranità del Panico". La settimana scorsa sono stato ospite di una tavola rotonda presso la stazione televisiva padovana TeleItalia sul tema "Moschea Si, Moschea No" i co-protagonisti dell'incontro erano con me, un avvocato di Venezia, il Presidente regionale dell'azione cattolica e il segretario provinciale della CSL di Padova: tutte persone fornite di un normale livello di civiltà e anche di un non comune livello culturale. Ma il vero interlocutore era il pubblico, cui un malizioso conduttore (o solo troppo ingenuo?) ha dato libero sfogo attraverso le chiamate telefoniche; e cosa ci fosse da aspettarsi da questo non conosciuto comprimario si poteva arguire dall'esito di un pre-sondaggio sull'argomento: il 96% si era pronunciato per il "NO alle moschee" e solo uno striminzito 4% aveva espresso parere favorevole all'esercizio della libertà di culto da parte dei musulmani. Il fatto che il conduttore mi avesse presentato come il rappresentante legale dell'Associazione Musulmani Italiani di Vicenza, oltre il mio aspetto fisico assolutamente europeo, non poteva generare dubbi sul fatto della mia "italianità" o, se si preferisce sul mio essere a tutti gli effetti un europeo per nascita, formazione culturale, vita lavorativa, lingua e modo generale di espressione. Ma tutti questi elementi non sono bastati al mettermi al riparo dalle ripetute aggressioni verbali di quanti telefonavano, quasi tutte espresse in volgarissimo gergo veneto da campagna, molto diverso dal nobile e musicale dialetto veneziano:    
"E' lu, co quea barba, non se vergogna mia de esse musulman?!"; "Eco un amico dei teroristi che se veniù in Italia per far distruggere la nostra religion!" e piacevolezze consimili....Una signora di Roma mi ha così interpellato: "Che lo sappia quel signore dei Castelli Romani che io da romana la moschea de Roma la distruggerei come fanno in Arabia Saudita!". Solo un ascoltatore che telefonava da Parigi ci ha tenuto a dire che lui vive in quartiere dove c'è di tutto e che si trova benissimo. 
Nel tono degli interlocutori non ho mai avvertito paura, panico, timore per il diverso, ma odio: quella particolare forma di odio che mette insieme ignoranza, fanatismo religioso e intolleranza verso chi si permette di essere diverso. Tutti i miei interlocutori erano chiaramente cattolici, anche se il rappresentante dell'azione cattolica ha ripetutamente sottolineato che lo spirito di Gesù e del Cristianesimo aveva poco a che vedere coi loro discorsi. Mi è così venuto in mente di usare nei confronti di quella parte di veneti in grande maggioranza leghisti nel voto e nelle budella, il termine di "catto-nazisti": un esemplare tipico anche dal punto di vista visivo è l'Onorevole Borghezio ma non mi sento di trascurare l'onorevole Stefani da dieci anni parlamentare, ma conosciuto in tutta Vicenza per il sistematico uso degli insulti contro le sue operaie e delle bestemmie usate come punteggiatura. In breve ho avuto un contatto diverso ,dalle solite telefonate piene di insulti che ogni tanto ricevo a domicilio, con quella che non esito a definire la crescente barbarie europea e in particolare italiana, maggiormente radicata nelle regioni più ricche che, come tutti i ricchi, odiano quelli che sono più poveri: l'odio feroce del possidente che ha tutto, o quasi tutto verso chi non possiede nulla o quasi nulla. Sottolineo i due "quasi". Il ricco possiede quasi tutto ma molto spesso non ha più il dono della giovinezza e magari deve accontentarsi per motivi di logica ereditario-patrimoniale di un solo figlio, al massimo di due, a cui trasmettere l'azienda, lo studio professionale, le rendite. Quanto al povero, in genere, non ha quasi nulla oltre alla giovane età, al fulgore fisico e a figli più numerosi del ricco. Provo a immaginare quale possa essere il sentimento dei ricchi reazionari d'Italia e d'Europa, età media 50 anni, numero di figli 1,2 di fronte a ciò che sta avvenendo nella sponda sud del Mediterraneo dove vivono 350 milioni di esseri umani con un'età media di 27-30 anni e un numero medio di 3 figli. Fino a ieri i nostri catto-nazisti di sentivano sicuri per l'analfabetismo, la mancanza di strumenti di comunicazione, l'esistenza di governi tirannici e corrotti messi a far la guardia di masse incontrollabili. Ora sembra cambiare tutto: i dittatori sanguisuga messi a governare per conto dei catto-nazisti stanno saltando uno dopo l'altro; le decine di milioni di giovani algerini, tunisini, egiziani, libici, siriani scendono in piazza armati di coraggio, di fede in Dio, di internet, di telefonini e si scuotono il giogo secolare che gli ha resi subalterni rispetto a una pseudo cultura occidentale fatta di predoni cinici e senza scrupoli.
Allah è il più Grande: ed è nei suoi possibili disegni e nella sua infinita misericordia e clemenza volere per un prossimo futuro che quei milioni di giovani, riconquistato il bene supremo della libertà, si riversino sull'Europa imbarbarita ed egoista per tornare a riaprirla ai valori dell'Umanesimo, della Giustizia e della Fraternità: e quello sarà un bel giorno per la civiltà umana e un brutto giorno per la barbarie catto-nazista.  


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