domenica 27 marzo 2011

IL PERICOLO SIRIANO

Articolo tratto da Roberto Tottoli, con aggiunte e osservazione

Uno Stato-Mosaico che rischia il crac


Nell'onda di rivolte che sta sconvolgendo il medio oriente, nessuno poteva immaginare che persino la famiglia Assad in Siria iniziasse a traballare. Il padre Hafez Al-Assad prima, e poi in forma più edulcorata il figlio Bashar avevano creato e mantenuto in vita una dittatura quasi perfetta e per molti aspetti quasi obbligata.
Al potere dal 1971 essi hanno infatti plasmato nel tempo e con fredda inflessibile ferocia un dominio tra terrore e auto controllo generato dallo stesso terrore. Sono stati 40 anni in cui è stata cancellata nel sangue ogni espressione politica ed è stato cancellato ogni spirito critico. Gli Assad hanno forgiato una stabilità senza tempo e nel silenzio delle carceri hanno saputo nascondere agli occhi del mondo torture, imprigionamenti e sparizioni.
Si contano a migliaia le vittime di una repressione che solo gli ultimi anni hanno in parte attenuato. Le incognite hanno iniziato a prendere il posto delle certezze e riguardano tutte le realtà della società siriana in cui non mancano nodi da sciogliere. Più di ogni altro paese che la circonda, più della stesso Libano e dell'Iraq, la Siria è un mosaico di fedi religiose e di intricati rapporti inter confessionali e inter etnici, sopiti e tenuti in equilibrio sotto una mano governativa forte e intransigente. La tolleranza e convivenza tra la maggioranza sunnita, le varie correnti sciite e le numerose confessioni cristiane (cattolici, ortodossi, armeni, assiri, caldei ecc.ecc.) è stata una difesa interessata più che un percorso virtuoso. La minoranza sciita alauita a cui appartengono gli Assad, è da sempre vista dagli altri musulmani come un'eresia da combattere con ogni forza: solo un potere forte e inflessibile ha potuto superare le resistenze e far accettare a una maggioranza musulmana una visione tanto avversa.
Prima di procedere oltre è il caso di far presente che i sunniti rappresentano il 74% della popolazione, gli sciiti il 16%, di cui solo la metà sono alauiti, i cristiani di varie confessioni sono il 10%. Gli alauiti sono perciò una minoranza di una minoranza ma costituiscono la rete potentissima su cui poggia il potere degli Assad. In breve essi sono un gruppo minoritario della galassia sciita e cioè di quella parte dell'Islam che si collega alla eresia di Alì, cugino e genero del Profeta Muhammad; la loro fede si basa su una dottrina basata sullo sciismo, ma ricca di influssi cristiani, zoroastriani e persino pagani.
Nel 1982, quando si trattò di stroncare l'opposizione dei Fratelli Musulmani che rappresentavano la componente più organizzata e numerosa dei sunniti, Hafez Al-Assad mandò il suo esercito Alauita all'assalto della roccaforte dell'opposizione nella città di Hama e così dimostrò come sapeva superare ogni dubbio di legittimità democratica e di ostilità confessionale. Le sue truppe circondarono la città con un terribile anello di artiglieria pesante e, con un bombardamento che si protrasse per una settimana, vennero trucidate almeno 20 mila persone. Da allora non si sentì più parlare i Fratelli Musulmani e di opposizioni politico-religiose in Siria.
Gli sciiti non alauiti sono in aumento grazie al fatto di essere alleati con gli Hezbollah della realtà libanese e per il rapporto privilegiato che hanno con l'Iran. Essi non si faranno certo coinvolgere nell'eventuale crollo del regime retto dal potere alauita, ma sicuramente reclameranno più spazio, suscitando il panico nell'opinione pubblica di Israele che, magari ne approfitterà per intervenire immediatamente nella situazione.
Le confessioni cristiane non hanno patito erosioni come in altri contesti, ma sono con il fiato sospeso davanti a rivolgimenti che difficilmente potranno relegare il fattore religioso a un ruolo secondario; e se i nuovi assetti saranno fatti a colpi di maggioranza, o magari grazie a interventi esterni, essi rischiano di ritrovarsi come in Iraq in una situazione scoperta e senza futuro politico. Ne le complicazioni sono finite. Esiste in Siria una consistente minoranza curda (un milione e duecento mila sunniti) alla quale si potrebbero aprire nuove possibilità, compresa quella di aggregarsi ai curdi iraqeni, ormai di fatto indipendenti dal governo centrale di Baghdad.
Fattore destabilizzante è anche la presenza di centinaia di migliaia di profughi palestinesi, cittadini fantasma, appena tollerati e abbandonati nei campi profughi: elemento questo che, insieme ad altri dimostra come il fattore storico religioso è come in altri paesi arabi complicato dai residui di confini nazionali tracciati a casaccio dalle potenze coloniali e dalle ferite più recenti della regione: a cominciare dal conflitto israelo-palestinese che è costato alla Siria il possesso delle colline del Golan che Israele si è tranquillamente annesso in violazione di tutte le raccomandazioni e le votazioni dell'ONU.
Se le vistose crepe di questi giorni dovessero portare a un crollo del regime si aprirebbe una fase di instabilità estremamente pericolosa per tutta la regione e non solo per la Siria. In particolare rischia di polverizzarsi una realtà complessa e più intricata di Iraq e Libano, cui la compattezza fittizia e imposta della Siria faceva da contr'altare o da appoggio concreto. Nessuno può dire allora che direzione prenderanno gli eventi ma si può scommettere che tanti cercheranno di alzare una voce sopita da molto tempo e con troppa violenza.
I giovani delle rivolte arabe, fatti anche da siriani cresciuti in esilio, punteranno a rilanciare gli slogan liberali e anti regime di queste settimane. La maggioranza sunnita non mancherà di far sentire la sua voce e forse la fratellanza musulmana cercherà di vendicarsi di Hama e di una esclusione che ne ha cancellato la presenza da troppo tempo. E forse, insieme a cavallo di tutto ciò non mancheranno rivendicazioni di minoranze di qualsiasi tipo, in grado forse di mettere in discussione la stessa unità della Siria.
Tutti cercheranno di giocare la loro partita se ne avranno davvero la possibilità e la forza in una realtà politica praticamente sconosciuta e frustata nelle sue espressioni più vive. Nessuno conosce i molti attori che si contenderanno la scena, se la crisi si aggraverà e gli Assad usciranno dal palcoscenico. Il quadro politico che si potrebbe aprire appare ora terribilmente vuoto, più ancora che in Libia e per di più a stretto contato con Iraq, Libano e Israele.
C'è da sperare che il giovane Assad raccolga fino in fondo le "paterne" raccomandazioni che gli rivolge il leader turco Erdogan. Del resto è auspicabile che l'intero medio oriente possa tornare ad usufruire del ruolo pacificatore ed equilibratore che per secoli ha esercitato l'impero ottomano, il cui crollo e la cui indecorosa spartizione è a ben vedere la causa prima dei mali che affliggono una regione vitale per le sorti del pianeta.
Qualcosa di simile, d'altra parte è già avvenuta in Europa in seguito alla dissoluzione del vecchio austro-ungarico che portò dritti dritti alla Seconda Guerra Mondiale.

Nessun commento:

Posta un commento