domenica 20 marzo 2011

GUERRA SULLA LIBIA DI GHEDDAFI

Riportiamo una parte dell'articolo di Eugenio Scalfari, La Repubblica, 20/03/2011


"Poche settimane fa, dopo la caduta di Mubarak, del dittatore tunisino Ali e delle insorgenze nello Yemen e negli Emirati, anche i giovani di Tripoli e soprattutto di Bengasi si ribellarono mettendo a mal partito la dittatura di Gheddafi che durava da oltre quarant´anni. L´Occidente non ebbe esitazioni: il caso libico appariva come un altro tassello della rivoluzione nord-africana; al Qaeda era scavalcata da un movimento che vedeva insieme uomini e donne, motivato da uno slogan formidabile: “pane e libertà”, al tempo stesso sociale e ideale. Sembrò e in gran parte rimane una svolta storica, un´innovazione profonda che scavalcava il terrorismo di Bin Laden, il fondamentalismo coranico e talebano, aprendo un capitolo inedito nella convivenza delle civiltà.
Questa fu la prima e unanime reazione dell´opinione pubblica ed anche delle cancellerie occidentali ma si pose subito il problema della gestione politica della fase successiva all´abbattimento delle dittature.
In Egitto l´esercito è sempre stato il perno dello Stato e non poteva che esser l´esercito a gestire la transizione. La storia della Turchia ne forniva l´esempio. In Tunisia mancava la “risorsa” dell´esercito e infatti la transizione si presenta ancora fragile e agitata. La Libia è un caso a sé, assai diverso dagli altri.
Il paese è geograficamente immenso, demograficamente assai poco popolato, non arriva a cinque milioni di abitanti. Ricco di petrolio solo parzialmente sfruttato. Da quasi mezzo secolo guidato da Gheddafi con mano di ferro, accortamente populista, spregiudicato, corrotto, avventuroso oltre ogni limite. L´esercito non è che una milizia ben pagata e ammaestrata, con reparti speciali mercenari, una sorta di “legione straniera” assai contundente e feroce. Convincerli alla resa è molto difficile. Alle brutte i mercenari si squaglieranno, la milizia tribale si difenderà fino alla fine.
Dopo l´inizio dell´operazione militare resta dunque la domanda: bombardare fino a che punto? Negoziare fino a che punto?
* * *
Si possono, anzi si debbono bombardare gli aeroporti, abbattere i caccia se si alzeranno o distruggerli a terra, smantellare gli impianti di comunicazione, colpire le truppe se non si ritireranno nelle caserme. Più in là non si può andare. Quanto alla negoziazione si può forse rilasciare un salvacondotto al raìs e ai suoi familiari. Se non ci sta, bisogna abbatterlo, ogni altra soluzione è impensabile, sarebbe fonte di trappole continue e di incontrollabili avventure.
A questa strategia vengono opposte due obiezioni. La prima sostiene che il mandato dell´Onu non può violare la sovranità di uno Stato che tra l´altro non ha invaso nessun altro paese. Saddam Hussein aveva invaso il Kuwait però si ritirò subito dopo l´ingiunzione internazionale ma l´armata di Bush in nome dell´Onu lo inseguì fino a Baghdad, lo processò e lo giustiziò.
L´Onu di tanto in tanto assume le sembianze di uno Stato mondiale di fronte al quale le sovranità nazionali debbono cedere il passo. È avvenuto di rado ma alcune volte le sue risoluzioni hanno avuto questa valenza. In quante occasioni avremmo voluto l´esistenza di uno Stato mondiale nell´era della globalizzazione?
La seconda obiezione è: che cosa avverrà dopo? Una Libia senza un capo, senza una classe dirigente, sarà ancora governabile? Si dividerà in due, in tre, in cinque pezzi? Diventerà preda dei signori della guerra? E il suo petrolio? Le sue città? Le sue aziende? Gli investimenti esteri?
I pessimisti temono che la Libia senza Gheddafi sarà un´altra Somalia, nido di briganti e di pirati. È un destino che le ex colonie italiane facciano tutte questa fine?
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Questa obiezione è più pertinente della prima. Non considera però che anche in Tripolitania e in Cirenaica esiste un ceto evoluto, esiste una rete di aziende produttive, un artigianato folto, una gioventù che aspira a cimentarsi con l´amministrazione e con la politica e una religione che fa da cemento sociale.
Bisogna accompagnare questa fase di rinnovamento, aiutarli a costruire uno Stato, un´amministrazione, una rete di commerci e di produzione. La Turchia può aiutare, l´Egitto può aiutare. L´Europa deve aiutare e l´Italia che ha responsabilità notevoli a causa di un antico e di un recentissimo passato con parecchi peccati da scontare.
Romano Prodi in una recente intervista ha tracciato una lucida visione del “che fare” nell´Africa mediterranea e in Libia in particolare. Parlava con la duplice esperienza di ex presidente del Consiglio e di ex presidente dell´Unione europea. Proponeva tra le altre cose trattati di associazione dei Paesi africani mediterranei all´Unione europea. Non ingresso nell´Unione per il quale non esistono le condizioni, ma associazione, amicizia istituzionalizzata a vari livelli secondo le condizioni politiche, sociali ed economiche di quei Paesi.
Queste proposte andrebbero riprese e messe con i piedi per terra. Il Mediterraneo è stato per millenni il centro del mondo atlantico. In tutte le sue sponde è un mare europeo e ancora di più lo è oggi con l´immigrazione che in questo Ventunesimo secolo cambierà la fisionomia etnica del continente. Flussi di persone e di famiglie, flussi di capitale e di investimenti, flussi culturali e religiosi, conquista di diritti, osservanza di doveri poiché ogni dovere suscita un diritto e ogni diritto comporta un dovere.
L´Italia ha una missione da adempiere e una grande occasione da cogliere. Noi ci auguriamo che ne sia    
all'altezza. Le esortazioni di Giorgio Napolitano ci siano, anche in questo, di insegnamento e di stimolo."


Chiosando l'articolo di Scalfari ci sembra importante aggiungere quanto segue:
I - Quanti insistono con l'agitare lo spettro di Al Qaida o sono degli imbecilli o sono in mala fede o entrambe le cose. Al Qaida e Osama Bin Laden hanno cessato di essere un'entità reale da parecchio tempo: agitarne l'influsso è già un improprio mezzo per dare giustificazione all'interminabile guerra in Afghanistan dove, in realtà, i cosiddetti terroristi sono un aspetto aggiornato del tradizionale spirito guerresco con cui gli Afghani di ogni etnia, generalmente impegnati a farsi la guerra tra loro, si uniscono compatti quando si tratta di cacciaredal loro paese un qualsiasi invasore. Di questo spirito fu vittima persino l'esercito macedone di Alessandro e, nel secolo XIX, l'esercito coloniale inglese che al Passo Kyber, riportò una delle più pesanti sconfitte degli eserciti coloniali europei (21 mila morti, un solo superstite). Anche gli strascichi della guerra americana in Iraq sono in realtà il retaggio degli antichi odi tra sunniti e sciiti e Al Qaida centra molto poco. Parlare di Al Qaida a proposito delle rivoluzioni arabe che si vanno allargando dall'Atlantico al Golfo Persico è ancora più demenziale. Certamente esistono componenti legate a una concezione integralistica dell'Islam, come ad esempio i Salafiti di Algeria; ma questi sono il retaggio di un carattere maggiormente oppressivo e sanguinario del colonialismo europeo: tipico il caso dell'Algeria dove, per altro le responsabilità maggiori delle sofferenze del popolo algerino vanno addebitate a una casta militare al potere che saccheggia senza pudore le grandi ricchezze di quel paese;
II - Giulietto Chiesa, giornalista per molti aspetti valoroso e documentato, compie un grave errore di valutazione nell'accusare gli americani di essere i registi occulti e via via sempre più manifesti dell'attacco internazionale al colonnello Gheddafi. In realtà il soggetto più attivo nel costruire il vasto fronte anti Gheddafi è 

stato il presidente francese Nicolas Sarkozy che ha fiutato con tempestività l'occasione per risalire l'impopolarità delle sue prudenze nei confronti delle rivolte contro Ben Alì in Tunisia e contro Mubarak in Egitto (oltre a quella, naturalmente taciuta di prendere il posto dell'Italia nel rapporto economico privilegiato con la Libia che verrà dopo Gheddafi). Giulietto Chiesa è prigioniero di un riflesso condizionato che gli deriva dai lunghi anni in cui si è distinto per il totale e pedissequo allineamento alle posizioni dell'Unione Sovietica: a quei tempi qualsiasi cosa capitasse nel mondo era colpa dell'America. In questo Chiesa ricorda l'atteggiamento di quegli ultra atlantisti che all'inverso addebitavano all'orso russo tutto il male che esplodeva nel pianeta. Questo riflesso condizionato anti russo sopravvive, al punto che quando l'irresponsabile governo georgiano ha bombardato un villaggio dell'Ossezia del Sud ammazzandovi 3000 persone di cui 500 con cittadinanza russa, scatenando l'ovvia e giustificata reazione delle forze armate russe che sono penetrate in profondità in territorio georgiano, in occidente non è mancato chi ha accusato i russi di aggressione;

III - Sono del pari raccontatori di favole per spaventare bimbi quanti paragonano i pericoli insiti nella situazione libica al caos che da decenni sconvolge la Somalia. In realtà, a differenza del Corno d'Africa, afflitto da miseria siccità, guerre intestine ed esterne e drammatica carenza di qualcosa che somigli alla classe dirigente di un'entità statale, la Libia è uno dei paesi arabi con il più alto reddito individuale annuo, non conosce disoccupazione ed emigrazione (ma, semmai assolve 2 milioni di immigrati con una popolazione di poco superiore ai 5 milioni) ma soprattutto dispone di una classe professionale e di livelli culturali di riconosciuto livello, in grado di svolgere funzioni manageriali nelle grosse entità multinazionali nelle quali il colonnello ha investito non piccola parte degli entroiti petroliferi della Libia. 

 

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