Articolo di Adriano Sofri, La Repubblica 17/03/2011
Le forze del raìs assediano Bengasi. Scomparsi quattro giornalisti del New York Times
"Quando leggete queste righe, forse Bengasi è caduta, e finalmente la famosa Comunità Internazionale potrà dire, sospirando, che è troppo tardi per intervenire. Potrà aggiungere, alzando le spalle, che i ribelli hanno millantato credito e si sono fatti espugnare con qualche bombardamento e "col gesso".
Solo che non è più in questione il credito militare dei ribelli, ma la sorte di una popolazione civile in balia della rappresaglia. Per parlare di oggi, vorrei ricordare due date dell´altro ieri. Il 15 aprile 1986 due missili Scud lanciati dalla Libia si inabissarono a un paio di chilometri dalla costa di Lampedusa. Undici giorni dopo, il 26 aprile, esplose il reattore di Chernobyl. I missili libici rispondevano a un massiccio attacco aereo americano mirato a uccidere Gheddafi. Uccise una sua figlia piccola e alcuni civili, il dittatore se la cavò (avvertito, si disse poi, dal governo di Craxi e Andreotti). Quanto alla nube di Chernobyl, fu portata qua e là sull´Europa; da noi si presero misure restrittive sul latte e le verdure. Lampedusa, che non era ancora così affollata, apparve per un momento come una fortunata terra di nessuno, appena a nord della gittata dei missili libici, appena a sud della nuvola radioattiva. Sono passati venticinque anni, Gheddafi completa la riconquista, la Comunità Internazionale maschera meglio l´imbarazzo dietro la commozione per il disastro giapponese e lo spavento nucleare. Che cosa è successo, in venticinque anni, che ha fatto passare da una ritorsione militare americana condotta con ben 24 bombardieri su molti obiettivi libici, comprese Tripoli e Bengasi, il cui movente dichiarato era l´attentato sanguinoso in una discoteca tedesca, all´omissione di ogni azione quando il dittatore scatena contro la popolazione insorta la sua schiacciante macchina militare? Tante cose, certo, dalla Somalia 1993 all´11 settembre, e la guerra in Iraq e in Afghanistan … Questo spiega l´astensione di Obama, benché non le dia ragione. Ma l´Europa? L´Europa fa affari grossi in armi, ma quando si tratti di un´azione di polizia diventa più pacifista di un fachiro indù, "per non disturbare". L´Europa è quella che ha lasciato massacrare la Bosnia per anni - e la Bosnia era europea - finché Clinton ne ebbe abbastanza. Dall´Europa si vedeva il fumo di Sarajevo a occhio nudo, si vede a occhio nudo il fumo di Bengasi. Il fumo è la verità
dell´Europa. Non si accorgono, le potenze democratiche (le chiamiamo così?) che una simile inerzia di fronte alla rappresaglia dei miliziani di Gheddafi rivaluta a posteriori l´impresa unilaterale di Bush contro Saddam? Saddam scommise, come Gheddafi oggi, sull´impotenza delle potenze democratiche, lui sbagliò la sua puntata, Gheddafi l´ha azzeccata, a quanto pare. Le potenze democratiche l´hanno bandito e additato al tribunale internazionale, gli hanno dato tutto il tempo di riaversi dal colpo della ribellione e di ricomprarsi le sue forze armate, e hanno fatto da spettatrici a una riconquista che consegna alla vendetta una gente inerme. La quale, ubriaca di liberazione, ha avuto l´ingenuità di intimargli la resa, come un condannato può intimarla al plotone di esecuzione, convinta di avere alle spalle il sostegno, oltre che gli applausi, delle potenze democratiche. Il dilemma è ormai antico, nuovo è solo il contesto in cui si pone. Che esistano una giustizia e un tribunale internazionale senza che esista una polizia internazionale è una boutade. La giustizia internazionale - se non l´aspirazione morale, il minimo di legalità nelle relazioni sociali - sconta l´incapacità a misurarsi con corpi separati troppo potenti, come le banche troppo-grandi-per-fallire, gli Stati troppo grossi per essere messi agli arresti, a cominciare dal più grosso, la Cina. Ma se Cina e Russia sono troppo grosse per fischiar loro la contravvenzione, non lo siano almeno tanto da imporre il veto ad azioni di difesa del diritto e delle vite umane in ogni punto del pianeta. Gheddafi può essere arrestato, o mandato a quel paese, almeno quando una buona parte dei suoi sudditi gli si è ribellata. Si può avanzare un´obiezione, cui peraltro ha già risposto il diritto-dovere di ingerenza umanitaria, dove se ne diano le condizioni, e qui perfino l´avventurosa imputazione di crimini contro l´umanità: che un´insurrezione che non conti sulle proprie forze non è legittimata a vincere. Non è vero, e lo è stato molto di rado, Risorgimento compreso, per non dire della Resistenza. Una moderna dittatura dinastica e tribale, come quella di Gheddafi, confisca una ricchezza sufficiente a mantenere una vasta base sociale e una forte milizia pretoriana, sfruttando un lavoro servile innumerevole, un popolo di formiche invisibile fino a che non si è rovesciato sui confini. Ci sono in Africa situazioni esemplarmente complementari, quella libica, dove una rivolta ottiene un vastissimo riconoscimento internazionale, inclusa la Lega araba, e viene abbandonata alla repressione, e quella della Costa d´Avorio, in cui la vittoria di un candidato - Ouattara - in elezioni riconosciute regolari dall´Unione africana, viene rifiutata dal despota uscente, Gbagbo, precipitando il paese nel sangue. E intanto l´unico intervento militare straniero avviene nel Bahrein ad opera dell´Arabia Saudita, e sia pure su richiesta del sovrano, per soffocare la ribellione della maggioranza sciita.
È difficile certo seguire una rotta ferma nell´incandescenza del mondo, e tanto meno una rotta che non voglia deridere troppo i principii solennemente proclamati. Ma il piccolo cabotaggio non rende quando le onde sono così alte. L´Europa sembra più divisa che mai. La Francia di Sarkozy l´ha sparata troppo grossa e intempestiva per non dare l´impressione di cedere a un tornaconto elettorale, a qualche vanità personale, e al peso delle perdite in Afghanistan o della disgraziata operazione di liberazione di ostaggi in Niger: ma almeno l´ha detto. Così la combattiva posizione di Cameron, che in altri tempi sarebbe stata presa sul serio, ha un timbro meramente retorico. (E c´è solo da augurarsi che la riconsegna, nell´estate 2009, di Al-Megrahi,
l´"eroe nazionale" di Lockerbie, non abbia aperto la strada alla concessione di prospezioni di profondità nel Golfo della Sirte, nell´estate scorsa, a quella BP fresca del disastro nel Golfo del Messico; rispetto al quale il Mediterraneo è una piscina domestica). Angela Merkel ha usato un´espressione rivelatrice: vuole «aspettare e vedere come si evolve la situazione». I prossimi popoli che covano voglie di ribellione e libertà sono avvisati.
Si direbbe che le stonature stridenti nei pronunciamenti europei siano in effetti il concerto di un continente unito nell´intenzione di lavarsene reciprocamente le mani. L´Italia poi è irrilevante, e tiene a esserlo. Ogni giorno che passa rende lo scioglimento più arduo. Che la banda Gheddafi se ne vada per via di persuasione e qualche embargo, è impensabile. Che si rimetta saldamente in sella e tutti ricomincino a trafficarci come prima, è il sogno di molti, ma difficile da realizzare. E allora? Allora, siccome il tempo è un fattore decisivo per qualunque sbocco, l´Europa prende, cioè perde, tempo. È questo perdere tempo, l´Europa."
L'ULTIMO CREDITO DELL'OCCIDENTE
Articolo di Vittorio Zucconi, La Repubblica, 18/03/2011
È giocato molto più che il destino della esausta rivoluzione libica o la vita degli ultimi resistenti a Bengasi nelle ore della notte senza fine al Palazzo di Vetro. Era in ballo, e an-cora lo è, il futuro del rapporto fra l'Occidente e il mondo arabo che sta cercando la propria autonoma strada alla democrazia.
La scandalosa titubanza delle grandi e piccole potenze, Stati Uniti per primi, fino all'esasperazione del segretario di Stato Clinton furiosa con il presidente Obama, che non esitarono a rovesciarsi sul Kuwait per salvare la loro prosperità alimentata dal petrolio arabo o si accodarono all'Americadi Bush in un'impresa che nessuno gli aveva chiesto, resterà come una macchia di inchiostro sull'abito bianco delle buone intenzioni e delle belle parole che l'Occidente spende con tanta prosopopea, quando dà lezioni al mondo.
Questa volta, a differenza di quanto accadde dieci anni or sono in Afghanistan, dove almeno esisteva una minuscola coalizione di anti talebani arroccata nel Nord e al contrario di quello che aweniva in Iraq, dove soltanto un magliaro internazionale come Ahmed Chalabi aveva spacciato l'esistenza di un maquis pronto a sollevarsi, un'operazione militare non sarebbe stata frutto di scenari ideologici o di necessaria bonifica dei focolai terroristici di al Quaeda, che in Cirenanica non c'è e non c'è mai stata.
In Libia, come in Egitto, era la voce di una gioventù cresciuta nel sogno di Internet, non nella aspirazione al gilet al tritolo, a chiedere aiuto. A dimostrare di L'analisi L'ultimo credito dell'Occidente essere pronta a pagare con il proprio sangue la liberazione, mentre qualcuno osava ironizzare sull'esistenza di fosse comuni o distinguere fra sepolture individuali odi massa.
È stato quando Gheddafi, tornato il feroce tiranno che si era sempre nascosto dentro i costumi da clown indossati per chi gli baciava la mano, ha detto che "non avrebbe avuto pietà" per gli insorti e avrebbe portato a termine il mattatoio di Bengasi che i titubanti, gli indecisi, i formalisti si sono trovati di fronte allaverità. O muoversi con la forza per proteggere quello che resta del movimento insurrezionale o assistere a una strage degna di quelle che Saddam compiva contro le tribù sciite irrequiete. E con questo dichiarare la sostanziale indifferenza, la politica del Ponzio Pilato, di fronte a quelle aspirazioni che dicevano di appoggiare. L'ipocrisia dell'Occidente, che personaggi come Ahmadinejad osano rimproverare all'Europa e agli Stati Uniti quando li accusano di predicare diritti che poi non rispettano a casa, era andata assumendo in questi giorni di "hand wringing", di torcersi le mani senza decidere niente, una credibilità che a noi appare assurda. Ma che nell'universo musulmano, arabo o non arabo, viene accolta molto più seriamente. A partire dalla questione palestinese, la politica dei "due pesi e delle due misure", l'arte di predicare bene e razzolare malissimo, è una delle lesioni più profonde che rendono difficile il rapporto fra noi occidentali e il mondo delle piazze arabe, oggi infmitamente più informate e attente aquanto accade, grazie alle reti televisive satellitari e a Internet. La Libia è un test storico per la conclamata "guerra di civiltà" che non è l'Armageddon fra cristiani e anti-cristiani, ma fra diritti civili e regimi corrotti, un momento nel quale decenni di chiacchiere sulla "democrazia da esportare", ma soltanto quando e dove fa comodo agli esportatori, hanno incontrato la realtà. Forse il momento è già passato e potrebbe essere troppo tardi per un'azione militare indiretta, come la "no fly zone", capace di schiodare il sanguinario clown di Tripoli e la sua gang e di evitare rappresaglie e vendette. Quello che ancora una settimana fa sarebbe costato poco, in termini di operazioni, materiali, vite, spese, oggi, che l'esercito fedele al rals ha circondato Bengasi, è un'impresa esponenzialmente più seria. Rimane ancora pochissimo tempo per convincere i generali di una forza armata tanto risibile in assoluto (come dimostrò operando straccionescamente in Sudan) quanto inarrestabile per un nemico in ciabatte e pick up, che anche a loro conviene voltare gabbana... Ma è tutto quello che resta all'Occidente per non trasformarsi dawero nel nemico della civiltà, della libertà nel mondo arabo, quando è quello stesso mondo a chiederla.
Mentre ci preparavamo a commentare il primo dei due articoli pubblicati, salvo dedicarci anche alla splendida analisi di Vittorio Zucconi, è arrivata finalmente la notizia che aspettavamo da settimane, per la quale abbiamo ogni giorno rivolto le nostre preghiere ad Allah Clemente e Misericordioso. Il 17 Marzo appena trascorso dopo una seduta-fiume durata l'intera giornata il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha adottato con 10 voti favorevoli e 5 astensioni la seguente risoluzione con riferimento a quanto avviene in Libia:
I - Il colonnello Gheddafi (già deferito al Tribunale Internazionale dell'Aia per essere perseguito per delitti contro l'umanità) deve ordinare immediatamente la cessazione di ogni atto di ostilità che possa mettere in pericolo la popolazione civile. Per atti di ostilità non si intendono soltanto i bombardamenti aerei, gli attacchi con truppe corazzate ma anche e più semplicemente qualsiasi atto individuale o collettivo che comporti l'uso delle armi anche leggere, compresa comunque ogni concentrazione di truppe o di mezzi atti ad offendere;
II - Ogni stato membro delle Nazioni Unite, singolarmente, in forma associata o in quanto parte di un'organizzazione rappresentativa plurinazionale è legittimato ad effettuare ogni azione idonea a stroncare una delle azioni indicate nel punto precedente;
III - E' sottointeso nella deliberazione che sono confermate tutte le sanzioni deliberate in precedenza, in particolare l'embargo su ogni fornitura militare e il blocco dei beni all'estero della famiglia Gheddafi e del suo regime.
In buona sostanza la decisione dell'ONU ribadisce, questa volta in maniera esplicita che nessun governo libico potrà riacquistare legittimità internazionale finché non venga rimosso un criminale comune che ha utilizzato il potere delle armi per reprimere le istanze legittime di libertà del suo popolo, procedendo all'indiscriminato massacro di persone di ogni sesso e di ogni età.
Su questa deliberazione, che va ben oltre l'adozione di una "No Fly Zone", c'è solo da osservare come la sua tardiva adozione non ha risparmiato le migliaia di vittime cadute nelle more dei balletti della diplomazia internazionale. Ma, come dice un vecchio detto, "Meglio tardi che mai!". Ci corre tuttavia l'obbligo, in nome dell'umanità offesa e per onorare i giovani che quasi inermi hanno affrontato la morte in nome della libertà e della democrazia, che la decisione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU non è stata adottata all'unanimità.
La principale spinta alla sua adozione è venuta dalla presa di posizione unanime dei componenti della Lega Araba e dell'Organizzazione dell'Unità Africana. Tra gli astenuti va segnalata per livello di spudoratezza la Germania governata dalla zotica cancelliera Angela Merkel, mentre non hanno meravigliato le astensioni della Cina pseudo-comunista e della Russia di Putin, il cui unico proposito è quello di crearsi eventuali favori a futura memoria nel caso sciagurato in cui il criminale Gheddafi rimanesse al potere. Le astensioni di Turchia e Brasile si spiegano soltanto facendo riferimento al complesso di superiorità tipico dei potenti di recente nascita che, adottando posizioni originali, si illudono di aumentare in tal modo il loro prestigio internazionale: una specie di complesso "dei pidocchi rifatti". Per fortuna del nostro onore di italiani in questo momento nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU non siede alcun rappresentante del governo italiano. Altrimenti potremmo essere certi che le astensioni sarebbero state sei, se dobbiamo giudicare dai comportamenti tenuti dal presidente del consiglio, dal ministro Frattini, dallo zotico Giovanardi, dal leghista Maroni e non proseguiamo l'elenco per carità di patria. I governanti italiani sono andati dal "desiderio di non voler disturbare Gheddafi" dichiarato dal "Gentiluomo settecentesco" Silvio Berlusconi, avvezzo come è noto all'arte del bacia-mano internazionale; alla voce flebile e alle espressioni pensose del volto dell'elegantone Frattini che ha detto senza vergognarsi che bisogna avere prudenza prima di adottare iniziative che potrebbero trasformare la Libia in un nuovo Afghanistan (quasi che i giovani di Libia fossero dei pericolosi talebani seguaci di Al Qaida; alle rozze e volgari ironie del buzzurro Giovanardi, che ha ironizzato sulle fosse scavate sulla spiaggia di Tripoli per seppellire le vittime del colonnello; all'ossessione maniacale di Maroni che evidentemente ha i suoi incubi notturni popolati dall'immagine di centinaia di barconi pieni di profughi che sbarcano in provincia di Varese.
Per pura nota di colore vogliamo accennare alle ultra prudenti dichiarazioni che come esperti di tattiche militari numerosi generali per lo più in pensione hanno voluto pronunciare dagli schermi televisivi troppo facilmente e senza merito hanno avuto a disposizione: prudenza, piede di piombo, attenzione agli equilibri, pensiamo al dopo, ecc.ecc.
In tal modo una certa casta militare ha voluto emulare la tradizione di fellonia che nella nostra storia patria ha caratterizzato non di rado i massimi esponenti delle forze armate. Un piccolo tarlo maligno ci rode, e riguarda il singolare atteggiamento di una delle firme di punta del nostro giornalismo italiano, in genere distinto da numerosi suoi colleghi per il livello culturale e per sensibilità democratica. Ci riferiamo al Dottor. Corrado Augias, il quale è cresciuto nella pubblica fama grazie ai suoi libri di argomento biblico-religioso pervasi da illuminismo ateo alla Olbach. In genere il Dottor. Augias discetta su ogni argomento gli dia la possibilità di manifestare la sua variegata e poliedrica cultura: è singolare che in quasi due mesi non abbia dedicato neppure una riga a quella straordinaria fioritura di libertà di cui si sono resi protagonisti i giovani tunisini, libici, egiziani, yemeniti e del medio oriente in genere. Che vi sia qualche radice ancestrale che gli impedisce di provare qualche moto di simpatia nei confronti di gente che è formata in fin dei conti da "arabi"? Per la verità il Dottor. Augias ha accennato una volta alla questione; lo ha fatto in via indiretta pubblicando quella ineffabile letterina-elzeviro firmata da Arbasino "Fino-Fino": il quale sarà bene ricordarlo ha ironizzato sul fatto che i rivoluzionari anti Gheddafi non facevano altro che muoversi a piedi o in automobile sulle strade libiche, senza che lo spettacolo avesse alcun che di bellico. Arbasino "Fino-Fino" ignora che i ribelli libici avevano come principali armi la forza delle loro gambe di giovani e le automobili della loro famiglia. Non avevano né carro armati né aerei né artiglieria pesante; ma come la stragrande maggioranza delle migliaia di giovani morti nel nostro Risorgimento avevano il loro cuore e l'amore per una piccola donna che fa paura ai potenti e ai tiranni di ogni epoca e che si chiama LIBERTA' ("Libertè, Libertè, ma Cherie...).
La scandalosa titubanza delle grandi e piccole potenze, Stati Uniti per primi, fino all'esasperazione del segretario di Stato Clinton furiosa con il presidente Obama, che non esitarono a rovesciarsi sul Kuwait per salvare la loro prosperità alimentata dal petrolio arabo o si accodarono all'Americadi Bush in un'impresa che nessuno gli aveva chiesto, resterà come una macchia di inchiostro sull'abito bianco delle buone intenzioni e delle belle parole che l'Occidente spende con tanta prosopopea, quando dà lezioni al mondo.
Questa volta, a differenza di quanto accadde dieci anni or sono in Afghanistan, dove almeno esisteva una minuscola coalizione di anti talebani arroccata nel Nord e al contrario di quello che aweniva in Iraq, dove soltanto un magliaro internazionale come Ahmed Chalabi aveva spacciato l'esistenza di un maquis pronto a sollevarsi, un'operazione militare non sarebbe stata frutto di scenari ideologici o di necessaria bonifica dei focolai terroristici di al Quaeda, che in Cirenanica non c'è e non c'è mai stata.
In Libia, come in Egitto, era la voce di una gioventù cresciuta nel sogno di Internet, non nella aspirazione al gilet al tritolo, a chiedere aiuto. A dimostrare di L'analisi L'ultimo credito dell'Occidente essere pronta a pagare con il proprio sangue la liberazione, mentre qualcuno osava ironizzare sull'esistenza di fosse comuni o distinguere fra sepolture individuali odi massa.
È stato quando Gheddafi, tornato il feroce tiranno che si era sempre nascosto dentro i costumi da clown indossati per chi gli baciava la mano, ha detto che "non avrebbe avuto pietà" per gli insorti e avrebbe portato a termine il mattatoio di Bengasi che i titubanti, gli indecisi, i formalisti si sono trovati di fronte allaverità. O muoversi con la forza per proteggere quello che resta del movimento insurrezionale o assistere a una strage degna di quelle che Saddam compiva contro le tribù sciite irrequiete. E con questo dichiarare la sostanziale indifferenza, la politica del Ponzio Pilato, di fronte a quelle aspirazioni che dicevano di appoggiare. L'ipocrisia dell'Occidente, che personaggi come Ahmadinejad osano rimproverare all'Europa e agli Stati Uniti quando li accusano di predicare diritti che poi non rispettano a casa, era andata assumendo in questi giorni di "hand wringing", di torcersi le mani senza decidere niente, una credibilità che a noi appare assurda. Ma che nell'universo musulmano, arabo o non arabo, viene accolta molto più seriamente. A partire dalla questione palestinese, la politica dei "due pesi e delle due misure", l'arte di predicare bene e razzolare malissimo, è una delle lesioni più profonde che rendono difficile il rapporto fra noi occidentali e il mondo delle piazze arabe, oggi infmitamente più informate e attente aquanto accade, grazie alle reti televisive satellitari e a Internet. La Libia è un test storico per la conclamata "guerra di civiltà" che non è l'Armageddon fra cristiani e anti-cristiani, ma fra diritti civili e regimi corrotti, un momento nel quale decenni di chiacchiere sulla "democrazia da esportare", ma soltanto quando e dove fa comodo agli esportatori, hanno incontrato la realtà. Forse il momento è già passato e potrebbe essere troppo tardi per un'azione militare indiretta, come la "no fly zone", capace di schiodare il sanguinario clown di Tripoli e la sua gang e di evitare rappresaglie e vendette. Quello che ancora una settimana fa sarebbe costato poco, in termini di operazioni, materiali, vite, spese, oggi, che l'esercito fedele al rals ha circondato Bengasi, è un'impresa esponenzialmente più seria. Rimane ancora pochissimo tempo per convincere i generali di una forza armata tanto risibile in assoluto (come dimostrò operando straccionescamente in Sudan) quanto inarrestabile per un nemico in ciabatte e pick up, che anche a loro conviene voltare gabbana... Ma è tutto quello che resta all'Occidente per non trasformarsi dawero nel nemico della civiltà, della libertà nel mondo arabo, quando è quello stesso mondo a chiederla.
Mentre ci preparavamo a commentare il primo dei due articoli pubblicati, salvo dedicarci anche alla splendida analisi di Vittorio Zucconi, è arrivata finalmente la notizia che aspettavamo da settimane, per la quale abbiamo ogni giorno rivolto le nostre preghiere ad Allah Clemente e Misericordioso. Il 17 Marzo appena trascorso dopo una seduta-fiume durata l'intera giornata il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha adottato con 10 voti favorevoli e 5 astensioni la seguente risoluzione con riferimento a quanto avviene in Libia:
I - Il colonnello Gheddafi (già deferito al Tribunale Internazionale dell'Aia per essere perseguito per delitti contro l'umanità) deve ordinare immediatamente la cessazione di ogni atto di ostilità che possa mettere in pericolo la popolazione civile. Per atti di ostilità non si intendono soltanto i bombardamenti aerei, gli attacchi con truppe corazzate ma anche e più semplicemente qualsiasi atto individuale o collettivo che comporti l'uso delle armi anche leggere, compresa comunque ogni concentrazione di truppe o di mezzi atti ad offendere;
II - Ogni stato membro delle Nazioni Unite, singolarmente, in forma associata o in quanto parte di un'organizzazione rappresentativa plurinazionale è legittimato ad effettuare ogni azione idonea a stroncare una delle azioni indicate nel punto precedente;
III - E' sottointeso nella deliberazione che sono confermate tutte le sanzioni deliberate in precedenza, in particolare l'embargo su ogni fornitura militare e il blocco dei beni all'estero della famiglia Gheddafi e del suo regime.
In buona sostanza la decisione dell'ONU ribadisce, questa volta in maniera esplicita che nessun governo libico potrà riacquistare legittimità internazionale finché non venga rimosso un criminale comune che ha utilizzato il potere delle armi per reprimere le istanze legittime di libertà del suo popolo, procedendo all'indiscriminato massacro di persone di ogni sesso e di ogni età.
Su questa deliberazione, che va ben oltre l'adozione di una "No Fly Zone", c'è solo da osservare come la sua tardiva adozione non ha risparmiato le migliaia di vittime cadute nelle more dei balletti della diplomazia internazionale. Ma, come dice un vecchio detto, "Meglio tardi che mai!". Ci corre tuttavia l'obbligo, in nome dell'umanità offesa e per onorare i giovani che quasi inermi hanno affrontato la morte in nome della libertà e della democrazia, che la decisione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU non è stata adottata all'unanimità.
La principale spinta alla sua adozione è venuta dalla presa di posizione unanime dei componenti della Lega Araba e dell'Organizzazione dell'Unità Africana. Tra gli astenuti va segnalata per livello di spudoratezza la Germania governata dalla zotica cancelliera Angela Merkel, mentre non hanno meravigliato le astensioni della Cina pseudo-comunista e della Russia di Putin, il cui unico proposito è quello di crearsi eventuali favori a futura memoria nel caso sciagurato in cui il criminale Gheddafi rimanesse al potere. Le astensioni di Turchia e Brasile si spiegano soltanto facendo riferimento al complesso di superiorità tipico dei potenti di recente nascita che, adottando posizioni originali, si illudono di aumentare in tal modo il loro prestigio internazionale: una specie di complesso "dei pidocchi rifatti". Per fortuna del nostro onore di italiani in questo momento nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU non siede alcun rappresentante del governo italiano. Altrimenti potremmo essere certi che le astensioni sarebbero state sei, se dobbiamo giudicare dai comportamenti tenuti dal presidente del consiglio, dal ministro Frattini, dallo zotico Giovanardi, dal leghista Maroni e non proseguiamo l'elenco per carità di patria. I governanti italiani sono andati dal "desiderio di non voler disturbare Gheddafi" dichiarato dal "Gentiluomo settecentesco" Silvio Berlusconi, avvezzo come è noto all'arte del bacia-mano internazionale; alla voce flebile e alle espressioni pensose del volto dell'elegantone Frattini che ha detto senza vergognarsi che bisogna avere prudenza prima di adottare iniziative che potrebbero trasformare la Libia in un nuovo Afghanistan (quasi che i giovani di Libia fossero dei pericolosi talebani seguaci di Al Qaida; alle rozze e volgari ironie del buzzurro Giovanardi, che ha ironizzato sulle fosse scavate sulla spiaggia di Tripoli per seppellire le vittime del colonnello; all'ossessione maniacale di Maroni che evidentemente ha i suoi incubi notturni popolati dall'immagine di centinaia di barconi pieni di profughi che sbarcano in provincia di Varese.
Per pura nota di colore vogliamo accennare alle ultra prudenti dichiarazioni che come esperti di tattiche militari numerosi generali per lo più in pensione hanno voluto pronunciare dagli schermi televisivi troppo facilmente e senza merito hanno avuto a disposizione: prudenza, piede di piombo, attenzione agli equilibri, pensiamo al dopo, ecc.ecc.
In tal modo una certa casta militare ha voluto emulare la tradizione di fellonia che nella nostra storia patria ha caratterizzato non di rado i massimi esponenti delle forze armate. Un piccolo tarlo maligno ci rode, e riguarda il singolare atteggiamento di una delle firme di punta del nostro giornalismo italiano, in genere distinto da numerosi suoi colleghi per il livello culturale e per sensibilità democratica. Ci riferiamo al Dottor. Corrado Augias, il quale è cresciuto nella pubblica fama grazie ai suoi libri di argomento biblico-religioso pervasi da illuminismo ateo alla Olbach. In genere il Dottor. Augias discetta su ogni argomento gli dia la possibilità di manifestare la sua variegata e poliedrica cultura: è singolare che in quasi due mesi non abbia dedicato neppure una riga a quella straordinaria fioritura di libertà di cui si sono resi protagonisti i giovani tunisini, libici, egiziani, yemeniti e del medio oriente in genere. Che vi sia qualche radice ancestrale che gli impedisce di provare qualche moto di simpatia nei confronti di gente che è formata in fin dei conti da "arabi"? Per la verità il Dottor. Augias ha accennato una volta alla questione; lo ha fatto in via indiretta pubblicando quella ineffabile letterina-elzeviro firmata da Arbasino "Fino-Fino": il quale sarà bene ricordarlo ha ironizzato sul fatto che i rivoluzionari anti Gheddafi non facevano altro che muoversi a piedi o in automobile sulle strade libiche, senza che lo spettacolo avesse alcun che di bellico. Arbasino "Fino-Fino" ignora che i ribelli libici avevano come principali armi la forza delle loro gambe di giovani e le automobili della loro famiglia. Non avevano né carro armati né aerei né artiglieria pesante; ma come la stragrande maggioranza delle migliaia di giovani morti nel nostro Risorgimento avevano il loro cuore e l'amore per una piccola donna che fa paura ai potenti e ai tiranni di ogni epoca e che si chiama LIBERTA' ("Libertè, Libertè, ma Cherie...).
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