mercoledì 23 marzo 2011

IL CRIMINE DELL'INDIFFERENZA E LA STUPIDITA' DEL NEUTRALISMO


Il crimine dell'indifferenza
di Spinelli Barbara

Non è mai cosa semplice giustificare una guerra, per chi è mandato al fronte ma anche per chi ha l'incarico di iniziarla, di deciderne i fini e la fine. Non è facile neanche per chi, sui giornali, cerca di dire la verità della guerra, le sue insidie. La più grande tentazione è di rifugiarsi nei luoghi comuni, nelle frasi fatte, nelle menzogne. Frasi del tipo: nessuna guerra è buona; nessun politico ragionevole s'impantanain paesi lontani; nessunaguerra, infine, va chiamata guerra.
l governo italiano è specialista di quest'ultima menzogna: la più ipocrita. Né si limita a mentire: un presidente del Consiglio che si dice«addo-lorato per Gheddafi» senza sentir dolore per le sue vittime non sala storia che fa, né perché la fa. A questi luoghi comuni sono affezionati sia gli avversari incondizionati delle guerre, sia i governi che le guerre le fanno senza pensarle, o pensandone i moventi (petrolio e gas libici) senza dirli. I luoghi comuni sempre rispondono al primo istinto, più facile. Memorabile fu quel che disse il premier Chamberlain, nel '38, quando Hitler volle prendersi la Cecoslovacchia: «Un paese lontano, dei cui popoli non sappiamo nulla». Sono frasi che circolano, immemori, da secoli. Perché combattere per Bengasi? Siamo usciti dal colonialismo dimenticando che la tattica di Mussolini in Libia (far terra bruciata) è imitata da Gheddafi nel suo Paese. Frasi simili possono esser dette solo da chi immagina che il proprio interesse (personale, nazionale) sia disgiunto dal mondo. Non c'è solo la banalità del male. Esisteanchelabanalitàdell'indifferenza a quel che succede fuori casa. Lo scrittore Herman n Broch parlò, agli esordi del nazismo, di crimine dell'indifferenza.
IL CRIMINE DELL'INDIFFERENZA L'Onu nacque per arginare questo crimine, nel dopo guerra. La Carta delle Nazioni unite garantisce la sovranità degli Stati, nel capitolo 1,7, ma nello stesso paragrafo stabilisce che il principio di non ingerenza «non pregiudica l'applicazione di misure coercitive a norma del capitolo 7»: capitolo che chiede al Consiglio di sicurezza di accertare «l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione», e gli consente (se l'aggressore non è dissuaso) di «intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni medianteforze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite» (articoli 39 e 42 del capitolo 7). Le Nazioni Unite hanno commesso innumerevoli errori in passato, mai peccati maggiori sono stati di omissione, non di interventismo: basti pensare al genocidio in Ruanda, cui Kofi Annan, allora responsabile delle operazioni militari Onu, restò indifferente nel '94. Nonostante ciò l'Onu è l'unico organismo multinazionale che possediamo, la sola risposta ai luoghi comuni di cui il nazionalismo è impregnato. La sua Carta non è diversa dalle Costituzioni pluraliste dei paesi usciti dal nazifascismo come l'Italia e la Germania. Non è lontana, pur mancando di autorevolezza sovranazionale, dallo spirito dell'Unione europea: l'assoluta sovranità non è inviolabile, se gli Stati deragliano. D'altronde l'Onu ha imparato qualcosa dal Ruanda. Nel 2005, su iniziativa dello stesso Kofi Annan, ha approvato il principio della «Responsabilità di proe:4 ere» le popolazioni minacciate dai propri regimi (Responsibility to Protect, detto anche RtoP), anche se è imperativa l'approvazione del Consiglio di sicurezza. È il principio invocato in questi giorni a proposito della Libia. A partire dal momento in cui questa responsabilitàviene codificata, lo spazio delle ipocrisie si restringe e più intensamente ancora le ragioni della guerra vanno meditate: specie nei Paesi arabi, dove spesso dominano tribù anziché Stati moderni. Anche questo è difficile: dai tempi di Samuel Johnson sappiamo che «la prima vittima delle guerre è la verità», e quest'antica saggezza va riscoperta Se l'Italia «non è in guerra», cosa fanno i nostri caccia nei cieli libici? Pattugliano per far scena, senza difendersi se attaccati, addolorati anch'essi per Gheddafi? Èquesto, ministro Frattini, quelchediceagli aviatori? Frattini riterrà la domanda incongrua, e lo si può capire. È lo stesso ministro che il 17 gennaio, in un'intervista al Corriere, definì Gheddafi un modello di democrazia per il mondo arabo: un mese dopo la Libia esplodeva. Come mai la maggioranza non l'ha estromesso dal governo, come i gollisti hanno fatto col ministro degli esteri MichèleAlliot-Mane? Ma forse c'è un motivo, per cui le parole vane si moltiplicano. In parte nascono da vecchi riflessi, impermeabili all'esperienza. In parte sono frutto di una confusione mentale profonda: l'Onu è di continuo invocata, ma quando agisce e l'America di Obama sceglie la via multilaterale molti perdono la bussola. In parte èl'Onu, prigioniera dei protagonismi nazionali, a evitare parole chiare. Di qui le tante ambiguità della risoluzione sulla Libia: un testo che vuol accontentare tutti e in realtà non sa quello che vuole, né quello che non vuole. Perfino sulla *** questione cruciale regna il buio: non si vuol spodestare Gheddafi, e però non pochi chiedono proprio questo. Il primo a tentennare è Obama: stavolta non vuole cambi di regime alla Bush, ma il risultato è che ciascuno nell'amministrazione dice la sua come in un giardino d'infanzia. 11 18 marzo il Presidente annuncia che «il cambiamento nella regione non sarà e non può esserimposto dagli Usa né da alcuna potenza straniera: in ultima istanza, sono i popoli del mondo arabo a doverlo compiere». Tre giorni dopo, i121 marzo in Cile, ripete che la missione è proteggere i civili ma aggiunge: «La politica degli Stati Uniti ritiene necessario che Gheddafi se ne vada: tale politica sarà sostenuta da mezzi aggiuntivi». Ben altro aveva detto domenica il capo di stato maggiore Michael Mullen: l'obiettivo è di «limitare o eliminare le capacità del dittatore di uccidere il proprio popolo e di sostenere lo sforzo umanitario», non di provocare un cambio di regime. Per lui, Gheddafi può anche restare al potere. Non è l'unica ambiguità: gli interventisti proclamano di nonvolere occupazioni né attacchi terrestri, ma nutrono parecchi dubbi in proposito. Anche perché con la sola aviazione e gli spazi aerei interdetti si ottiene poco, o peggio ancora: in Bosnia-Erzegovina, la no-fly zone fra il '93 e il '95 non impedì il massacro di 800010000 musulmani bosniaci a Srebrenica, città sotto tutela dell'Onu.
Non meno equivoco èil ritardo con cui l'Onu interviene. Il divieto di sorvolo poteva essere imposto prima, quando Gheddafi non avevaancorariconquistato cittàe creato una spartizione di fatto della Libia. Uno dei difetti dei cieli interdetti è la scelta dei tempi. Le no-fly zone in Iraq (1991-2002) furono istituite dopo che a Nord l'orrore era già avvenuto (3.0004.000 villaggi curdi distrutti da Saddam con armi chimiche, nell'88, più di 1 milione di morti), e nel Sud il divieto restò inascoltato. L'Europa non solo è inesistente, mapericolosanellasuafrantu-mazione: la scommessa fatta da Obama sulla sua autonomia èfallita, e non per sua colpa. Uno dei motivi per cui Lega araba è incollerita purvolendo l'intervento 61a fretta di Sarkozy, che ha fatto partire i propri aerei senza mai consultare gli arabi. Non basta qualche aereo del Qatar per riempire il vuoto, abissale, di politica. Sarkozy interventista pensa ai suoi casi elettorali non meno della Merkel anti-interventista: di qui il litigio sulla guida o non guida della Nato. Quanto all'Italia, vale la pena ricordare quel che scriveva oltre un secolo fa lo scrittore Carlo Dossi, consigliere di Crispi: «La politica internazionale attuale dell'Italia non è che politica di rimorchio. L'Italia governativa non ha più propria opinione, né ardisce mai d'iniziare un affare o un'impresa, anche se vantaggiosa. Essa si accosta sempre al parere altrui. Eneppureosa aderirvi schiettamente. Piglia busse, tace e ubbidisce». Ancora non sappiamo se il mondo arabo sia scosso da tumulti, da clan rivoltosi, o da rivoluzioni che edificano nuovi Stati. Una cosa però già la sappiamo: una vera discussione sulla democrazia è in corso, e a questa discussione gli occidentali non partecipano, per ignoranza o disprezzo. La settimana scorsa, la Bbc ha diffuso un dibattito organizzato dalla Fondazione Qatar (il Doha Debate) in cui una platea di giovani arabi discuteva dell'Egitto. La maggioranza ha votato una mozione in cui si chiede di non indire subito le elezioni, perché la democrazia «non si esaurisce nelle urne»: è fatta di infrastrutture democratiche, di costituzioni garanti delle minoranze, di separazione dei poteri. Ha detto Marwa Sharafeldine, attivista democratica egiziana: «La democrazia fast-food può solo creare indigestioni». Non lascia spazio che ai ricchi, agli organizzati come i fondamentalisti islamici. Pensando all'Italia, ho avuto l'impressione che anche noi avremmo bisogno di partecipare a questa conversazione mondiale, cominciata in ben sedici Paesi arabi. Forse impareremmo qualcosa sulle nostre democrazie fast-food: dove regnano i clan, le cerchie di amici, e i capipopolo che si sentono in tale fusione col popolo da ritenersi, come Gheddafi, politicamente immortali.




A puro titolo esemplificativo vorrei ricordare i nomi di alcuni illustri personaggi che da opposte sponde si faranno compagnia nel sostenere: "No a Gheddafi, No alla guerra!".
GIULIANO FERRARA, NIKY VENDOLA, VITTORIO FELTRI, GINO STRADA, ROBERTO SALLUSTI, DON CIOTTI, MARCELLO VENEZIANI (fascista), FERRERO (Rif. Comunista), ANGELA MERKEL, SILVIO BERLUSCONI (che però è "dispiaciuto" per il colonnello).
Sono invece schierati a favore dell'intervento nei termini stabiliti dalla deliberazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (l'ultimo, senza dimenticare il penultimo che deferisce Gheddafi al Tribunale Internazionale per crimini di guerra):
I - José Luis Zapatero, che appena eletto primo ministro spagnolo ritirò dall'Iraq il contingente militare inviato dal suo predecessore;
II - Joschka Fischer leader dei Verdi tedeschi e ministro degli esteri del governo tedesco Schroeder, che fu decisivo nell'impedire la partecipazione della Germania alla guerra in Iraq dichiarata da George W. Bush;
III - Daniel Cohn-Bendit, leader franco-tedesco delle lotte studentesche del 68', euro parlamentare che ha sostenuto come la neutralità tra Gheddafi e i ribelli libici assomiglia alla vigliaccheria di quanti per neutralismo abbandonarono il popolo e la repubblica di Spagna alla criminale aggressione nazi-fascista. 
Una particolare menzione vogliamo dedicare al capogruppo della Lega in Consiglio comunale a Milano, Matteo Salvini, che per la sua espressione arrogante fino alla spudoratezza meriterebbe il titolo di "Mister Simpatia". Costui ha ridotto il conflitto drammatico che ha portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia a una sorta di guerra condotta dai musulmani contro i cristiani. Gli eventi jugoslavi sono abbastanza recenti e tutti sono in grado di ricordare che la guerra Jugoslava è iniziata con i massacri reciproci tra croati cattolici e serbi cristiano ortodossi, e proseguita con i massacri congiunti dei cattolici croati e dei serbi ortodossi ai danni dei musulmani bosniaci: dai 7000 ai 9000 massacrati a Sebrenica ad opera del generale Mladic serbo ortodosso e dei circa 4000 musulmani massacrati a Mostar con i cannoni che i serbi ortodossi avevano amichevolmente prestato ai croati cattolici. A Sarajevo i cecchini serbo ortodossi hanno ammazzato circa 20.000 musulmani bosniaci. Il mattatoio si è concluso con le stragi dei musulmani kosovari ad opera delle milizie serbo ortodosse  cui le milizie kosovare musulmane hanno replicato ammazzando qualche migliaio di serbi ortodossi.
Durante la seconda guerra mondiale i croati cattolici hanno ammazzato circa 600.000 serbi ortodossi, 120.000 ebrei e 180.000 rom, un terzo dei quali musulmani. In coppia con l'ineffabile Magdi Cristiano Allam, il prode Salvini ha sostenuto che nelle recenti elezioni sulla nuova Costituzione egiziana, definite libere dagli osservatori internazionali, hanno vinto i Fratelli Musulmani e cioè un partito di fondamentalisti, terroristi, estremisti legato ad Al Qaida. Naturalmente è una balla.

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