martedì 8 marzo 2011

DUE COMMENTI GIORNALISTICI SULLE RIVOLUZIONI ARABE



Repubblica di lunedì 7 marzo 2011, pagina 42
Linea di confine - "Quando il popolo si desta Dio si mette alla sua testa"
di Pirani Mario

LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI "L'interrogativo cui nessuno riesce a rispondere è come abbia potuto verificarsi un sommovimento pari a quello che ha investito la sponda meridionale del Mediterraneo senza che nessun avvertimento lasciasse prevedere ciò che stava per accadere. Non solo come dimensioni ma altresì come natura, gruppi egemonici emergenti, contro poteri in atto, influenza o meno del fon-damentalismo religioso (Fratelli musulmani) e della militanza risalente al "jihad" o addirittura ad "al Qaeda". Ed oggi, a più di due mesi da quando 01 17 dicembre) un giovanevenditore ambulante tunisino, Mohamed Buazizi, si dava fuoco per protesta contro i gendarmi, innestando quella rivolta che avrebbe investito il mondo arabo dal Marocco al Golfo Persico con gli epicentri più dirompenti nellastessaTunisia, in Egitto e, infine, in Libia, ebbene, da allora ancora nessuno riesce a dirci chi stia prevalendo, chi conduca il gioco, quali previsioni sia possibile azzardare. Nessuna risposta si rivela esauriente ed è quasi automatico che i Servizi fungano da capri espiatori. Facile quanto probabilmente errato. Tanto èvero che se il più recente rapporto delSis al Parlamento, giusto al primo esplodere dei fatti, si limitava a poche righe (uil Medio Oriente resta un'area particolarmente sensibile, i cui equilibri risultano ulteriormente influenzabili dalle tensioni esplose nel vicino Nordafrica, dove, a partire dall'epicentro tunisino, i fermenti sociali e le aspirazioni al cambiamento, amplificati e condivisi sul web, dovranno misurarsi con tentativi di strumentalizzazione in chiave islamista e con il rischio di inserimenti di natura terroristica»), ciò non di meno non si ha notizia di nessuna analisi molto più approfondita, neppure nel quadro della collaborazione con altri Servizi internazionali, particolarmente attenti a questo settore, come la CiaoilMossad.Ven da azzardare che la risposta non ci sia in quanto non poteva esserci, che previsioni precise non sono state elaborate in quanto dietro l'esplodere di massa della protesta non agivano gruppi individuabili impegnati nella attuazione di piani rivoluzionari. Così come è awenuto del resto nel 1989, con la caduta improvvisa del Muro di Berlino e il crollo, quasi senza colpo ferire, per un' implosione tutta interna e non preordinata, dei regimi comunisti. La storia insegna che a volte sistemi dittatoriali i quali si erano retti alungo, oltrechesullarepressione, su consensi populisti, nazionalisti odi altra natura, accumulano nel loro seno un tale potenziale di protesta che, ad un certo punto, da nessuno preordinato, questo prorompe nelle forme di una rivolta. Così ilvecchio motto ottocentesco—"Quando il popolosi desta, Dio si mette alla sua testa, e le folgori gli dà" —si moltiplicagrazie ai motori globali del web. 






Nelle crisi arabe c'è un nuovo inizio





E il risultato sarebbe che noi americani oggi parleremmo tutti arabo. Ma dopo il 1200 circa il Medio Oriente si è preso una lunga pausa: è entrato in stagnazione economica e oggi analfabetismo e autocrazia la fanno da padroni. E mentre in tutta la regione dilagano le proteste per la democrazia, viene spontaneo porre una domanda fondamentale: perché c´è voluto così tanto?

E un´altra domanda, politicamente scorretta: la ragione dell´arretratezza del Medio Oriente potrebbe essere l´Islam? Il sociologo Max Weber e altri studiosi sostenevano che l´Islam, per le sue caratteristiche intrinseche, non si presta allo sviluppo di un´economia capitalistica, e qualcuno ha sottolineato in particolare gli scrupoli islamici nei confronti del prestito a interesse. Ma è una tesi che non convince. Altri esperti fanno notare che l´Islam per certi versi è più propizio all´impresa di altre religioni. Il profeta Maometto era un mercante di successo, e aveva molta più simpatia per i ricchi di quanta ne avesse Gesù. E il Medio Oriente nel XII secolo era un centro globale della cultura e del commercio: se oggi l´islam soffoca la libera impresa, perché all´epoca non la soffocava? Quanto all´ostilità verso il prestito a interesse, precetti analoghi si trovano anche in testi ebraici e cristiani, e quello che il Corano proibisce non è l´interesse in quanto tale, ma la "riba", una forma estrema di usura che può condurre alla schiavitù il debitore insolvente. Fino al tardo Settecento in Medio Oriente quelli che di mestiere prestavano denaro potevano essere musulmani, cristiani o ebrei, senza distinzioni. E oggi pagare gli interessi è una pratica abituale anche nei Paesi islamici più conservatori. Molti arabi hanno una teoria alternativa sulla ragione dell´arretratezza della regione: il colonialismo occidentale. Ma è una spiegazione altrettanto capziosa, e anche inesatta. «Pur con tutti i suoi lati negativi, il periodo coloniale in Medio Oriente non ha portato stagnazione, ma trasformazioni importantissime; non ha portato diffusione dell´ignoranza, ma alfabetizzazione e istruzione; e non ha portato impoverimenti, bensì un arricchimento senza precedenti», scrive Timur Kuran, storico dell´economia alla Duke University, in un nuovo saggio frutto di ricerche meticolose e intitolato The Long Divergence: How Islamic Law Held Back the Middle East ("La lunga divergenza: il peso del diritto islamico nell´arretratezza del Medio Oriente"). Il libro del professor Kuran fornisce la spiegazione migliore del ritardo del Medio Oriente. Dopo un attento studio di antichi documenti aziendali, Kuran afferma, con argomenti convincenti, che la causa dell´arretratezza del Medio Oriente non è l´Islam in sé e per sé, e nemmeno il colonialismo, ma una serie di prassi giuridiche secondarie del diritto islamico, che oggi hanno perso totalmente rilevanza. È una tesi complessa, che è impossibile riportare nello spazio limitato consentito da un articolo di giornale, ma uno degli impedimenti, per fare un esempio, era dato dal diritto ereditario. I sistemi occidentali normalmente trasferivano tutte le proprietà in blocco al primogenito, preservando i grandi latifondi. Il diritto islamico invece prevedeva una divisione dei beni più equa (compresa una parte che andava alle figlie), ma questo si traduceva in una frammentazione delle grandi proprietà. Una conseguenza di questo sistema era che non c´era un accumulo di capitale privato sufficiente a sostenere quegli investimenti necessari per mettere in moto una rivoluzione industriale. Il professor Kuran mette l´accento anche sul sistema di partenariato islamico, usato normalmente come veicolo per le attività imprenditoriali. I partenariati islamici si scioglievano ogni volta che moriva uno dei soci, e quindi normalmente comprendevano solo un ristretto numero di soci, con conseguente difficoltà a reggere la concorrenza delle grandi corporation industriali e finanziarie europee, che avevano dietro centinaia di azionisti. Lo sviluppo del settore bancario in Europa fece scendere i tassi di interesse a lungo termine nel Regno Unito di due terzi, preparando il terreno per la Rivoluzione Industriale. Nel mondo arabo questo successe solo con il periodo coloniale. Simili impedimenti tradizionali nel XXI secolo non sono più un problema. I Paesi islamici ormai hanno banche, grandi aziende e mercati azionari e obbligazionari, e il diritto ereditario non rappresenta più un ostacolo all´accumulazione di capitale. Dunque, se la diagnosi del professor Kuran è corretta, il futuro dovrebbe essere roseo (e il boom economico della Turchia negli ultimi anni dimostra le potenzialità di una rinascita). Ma c´è un problema psicologico. Molti arabi incolpano gli stranieri per la loro arretratezza, e reagiscono rifiutando la modernità e il mondo esterno. È una disgrazia che un´area che un tempo produceva una scienza e una cultura straordinarie (regalandoci parole come algebra) ora abbia livelli di istruzione tanto bassi, soprattutto per quel che riguarda le ragazze. La crisi nel mondo arabo offre l´occasione per un nuovo inizio. Spero che ci sia un dibattito franco e senza infingimenti, da tutte le parti, sugli errori fatti, come punto di partenza per un percorso nuovo e con prospettive migliori. I Fratelli musulmani spesso hanno usato lo slogan: «L´Islam è la soluzione». E per l´Occidente, la percezione inconfessata, di fronte al panorama deprimente offerto dal Medio Oriente, spesso è stata: «L´Islam è il problema». La ricerca del professor Kuran suggerisce che la visione più corretta, almeno per il futuro, è che l´Islam non è il problema né la soluzione, è semplicemente una religione; e questo significa che la pausa è finita, che non ci sono più scuse e che è tempo di ricominciare ad avanzare. (traduzione di Fabio Galimberti).




Mentre non abbiamo obiezioni da fare sul primo articolo, ne abbiamo di sostanziali sul secondo che sembra sposare in pieno la nota tesi (eurocentrica e capitalisticocentrica) secondo la quale il livello di civiltà e la relativa dinamicità dei popoli e delle culture è legata pressoché esclusivamente alla capacità di perfezionare procedimenti economico produttivi improntati alla regola dell'accumulazione capitalistica. In altri termini l'articolo sembra sostenere che il grado di civiltà e sviluppo capitalistico dell'economia sono coincidenti; e i popoli arabi e islamici in genere sarebbero rimasti indietro perché hanno conservato, dopo il periodo del loro massimo fulgore, strumenti giuridico-economici immobilisti e privi di forza propulsiva. Naturalmente la tesi è completamente inaccettabile, e la migliore dimostrazione della sua erroneità è data dall'intensità della crisi non solo economica che la cosiddetta globalizzazione capitalistica sta imponendo all'intera umanità: a meno di non voler considerare "civiltà" e cultura un sistema economico che mentre consente a meno del 20% della popolazione mondiale di utilizzare senza alcun riguardo per l'ambiente e per i bisogni degli altri, non meno dell'80% delle risorse prodotte in tutta la terra; ovvero un modello di civiltà che si basa sul presupposto falso che le risorse della terra sono illimitate e riproducibili.
In realtà il pur brillante articolo di Nicholas Kristof dimentica alcuni elementi sostanziali: 
1 - Tutte le grandi civiltà del passato hanno conosciuto una fase di sviluppo, un apogeo e un declino: caratteristica questa che esse sembrano condividere con gli esseri umani che le producono. Spesso i fattori del declino sono intrinseci al loro modello, ma molto spesso lo stesso declino è dovuto a fattori esterni, sia naturali, sia umani. La decadenza della cultura greco romana che ebbe il suo momento più alto in coincidenza con il primo secolo dell'impero romano, iniziò con la rovinosa pestilenza che all'epoca dell'imperatore Marco Aurelio provocò il dimezzamento della popolazione e con essa il formarsi della proprietà feudale della terra e la quasi paralisi del sistema commerciale e industriale dell'economi. A tale fattore si aggiunsero poi le cosiddette "invasioni barbariche" e cioè l'afflusso nei territori dell'impero di entità etniche portatrici di culture completamente in conflitto con i valori dell'epoca ellenistico-romana, a cominciare dalla grande importanza rivestita nel mondo antico dalla schiavitù. Il mondo islamico dei califfi, individuato come l'apogeo della civiltà islamica medio orientale, ricevette un colpo mortale dalle invasioni mongole del XIII secolo e che si protrassero per più di cento anni. La vitalità dell'Islam, tuttavia venne dimostrata nei secoli successivi dal fatto che dalle rovine delle invasioni mongole fiorirono la grande civiltà dell'impero ottomano e dell'impero moghul 
(ma non dimentichiamo che uno dei complessi architettonici più belli del mondo fiorì nelle steppe dell'Asia centrale ad opera di Tamerlano e della dinastia Timuride: o vogliamo dimenticare Samarcanda?;
2 - Uno dei fattori principali dello straordinario sviluppo di quella che viene chiamata civiltà europea o occidentale è stata la cosiddetta "accumulazione originaria" realizzata dagli spagnoli attraverso il saccheggio totale e la distruzione dei grandi regni pre colombiani d'America. L'oro razziato nelle americhe fini nelle tasche dei banchieri fiamminghi e nelle stive delle navi corsare inglesi; e fu soprattutto quest'ultimo fattore a rendere possibile il decollo dell'industrializzazione del XVIII secolo. Non si può neppure dimenticare il livello di disumano sfruttamento che fu imposto ai popoli europei dal cosiddetto capitalismo di partenza. Scambiare questo elemento di "progresso economico produttivo" in crescita del livello di civiltà è quanto meno azzardato. Per questo non credo abbiano poi tanto torto i Fratelli Musulmani i quali sostengono che la soluzione dei problemi esistenti nei paesi del medio oriente e in tutte le realtà dove è dominante la religione dell'Islam, è l'Islam stesso: che non spinge l'uomo a una sorta di rassegnazione al destino, ma incoraggia il lavoro, la crescita individuale e persino la ricerca della ricchezza, a condizione che tutto questo non avvenga affamando il prossimo e mettendo da una parte i doveri di solidarietà e di fratellanza che devono regolare i rapporti tra esseri umani.  




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