venerdì 19 agosto 2011

19 Agosto 2011 - Siria

SIRIA
Il mondo contro Assad: "Deve andarsene"
LONDRA - Bashar el Assad se ne deve andare. Prima gli Stati Uniti, poi l´Europa si sono schierati contro il despota di Damasco: non ha più legittimità, deve lasciare il potere. La repressione è sempre più selvaggia, il regime si sta rivoltando contro il suo stesso popolo: è arrivato il momento di prendere posizione con forza, sostengono le cancellerie dell´Occidente. Barack Obama ha chiesto al presidente siriano di farsi da parte, ha annunciato sanzioni molto severe, ma ha lasciato uno spiraglio, evitando per il momento di richiamare l´ambasciatore. Il governo americano ha deciso il blocco di tutti i beni del governo siriano negli Usa e ha vietato ai cittadini americani ogni commercio, compreso quello di prodotti petroliferi, dando anche via libera a misure di ritorsione contro chiunque, americano o no, «fornisca sostegno allo stato siriano».
La diplomazia di Bruxelles si è affiancata all´alleato. Il responsabile comunitario degli Esteri, Catherine Ashton, ha «constatato la totale perdita di legittimità di Assad davanti al popolo siriano e quindi la necessità che si dimetta». Poi è toccato a Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e David Cameron chiedere in un comunicato congiunto che il regime «metta fine immediatamente alla violenza, liberi i prigionieri politici e consenta alle Nazioni Unite di condurre senza ostacoli un´indagine conoscitiva». I tre leader europei hanno anche aggiunto che servono «nuove sanzioni europee ferme contro il regime di Assad». Secondo la Merkel, Sakozy e Cameron il regime «che ha fatto ricorso alla forza militare brutale contro il suo popolo ha perso ogni legittimità e non può più dirigere il Paese». L´Onu ha annunciato un ricorso alla Corte dell´Aja per la possibile violazione di diritti umani durante la repressione. Secondo un rapporto della stessa Onu presentato ieri al Consiglio di Sicurezza 26 persone sono state uccise dai militari siriani con esecuzioni sommarie, dopo essere state bendate in uno stadio della città di Daraa, il primo maggio. Tra le vittime anche un tredicenne.
I toni sono molto decisi, ma per ora un intervento diretto in Siria sembra solo un´opzione valutata con estrema prudenza. La stessa Clinton ha detto che gli Usa «rispetteranno il desiderio del popolo siriano, che nessuno intervenga nella sua lotta». L´equilibrio è considerato delicatissimo: un attacco sulla Siria porterebbe conseguenze pesantissime in tutta l´area, dal Libano a Israele, all´Iraq. Nonostante le aperture immediatamente seguite alla sua nomina, negli ultimi anni l´ex studente di oftalmologia Bashar el Assad ha rallentato il passo delle riforme, e alla "primavera araba" ha reagito - segnalano diverse testimonianze - con la repressione spietata. Una parte delle testimonianze, però, descrive le manifestazioni anti-Assad come «pesantemente armate», suggerendo che all´origine delle contestazioni possa esserci una regia esterna con l´intenzione di dare l´idea di una tirannide lontana dal popolo e prossima alla caduta, per aprire la strada a un intervento esterno, con il pretesto delle ragioni umanitarie.


La Repubblica, Giampaolo Cadalanu








«Assad deve andarsene» Ma Damasco sfida la condanna del mondo

NEW  YORK — Vattene Assad. Lo dice forte e chiaro Barack Obama prima di  partire per dieci
giorni di sospirata vacanza sull'isola di Marthàs  Vineyard con la moglie e le figlie: «Per il
presidente siriano è  arrivato il momento di andarsene». Lo dicono i leader di Gran Bretagna, 
Francia e Germania in un documento congiunto: «Assad lasci il potere  nell'interesse del suo
popolo». Il leoncino di Damasco diventato iena  non è mai stato così sotto pressione. Anche alle
Nazioni Unite qualcosa  si muove ai piani alti: il Consiglio per i Diritti umani ieri ha  ottenuto una
riunione del Consiglio di sicurezza per discutere un  rapporto sui crimini in Siria presentato
dall'Alto commissario Navi  Pillay. Un atto d'accusa di ventidue pagine in cui gli investigatori 
documentano le azioni delle forze di sicurezza contro la popolazione  civile: oltre duemila morti
in cinque mesi di proteste, episodi come  l'esecuzione di 26 persone tra cui un ragazzino di 13
anni nello stadio  di Deraa, il primo maggio. E ipotizzano per Assad un'incriminazione per 
crimini contro l'umanità e il deferimento alla Corte penale  internazionale. L'Onu intende inviare,
nel fine settimana, una missione  in Siria per valutare la crisi umanitaria. Certo al Palazzo di
Vetro il  regime siriano conserva i suoi potenti amici, a cominciare da Russia e  Cina (seguite da
Brasile, India e Sudafrica) che hanno sempre stoppato  anche solo una blanda risoluzioncina di
critica da parte del Consiglio  di sicurezza. La novità è che dopo le violenze degli ultimi giorni il 
cerchio degli avversari esterni si stringe intorno a Bashar Assad. E  alza la voce. Condanna
senza appello e sanzioni economiche. «Il futuro  della Siria deve essere deciso dal suo popolo
— precisa Barack Obama —.  Avevamo già chiesto al presidente Assad di guidare una
transizione  democratica nel Paese oppure di farsi da parte. Non c'è stata nessuna  transizione.
A questo punto deve togliersi di mezzo». 
Vattene Assad.  Out of the way, fuori dalle scatole. Le cautele dell'Occidente,  accusato in
questi mesi di bombardare il libico Gheddafi risparmiando al  tempo stesso il collega siriano
Assad, vengono meno. Un intervento  armato resta fuori dall'agenda delle opzioni. Ma i toni
sono ultimativi  come mai prima d'ora. Alle parole forti di Washington fa da sponda il 
comunicato altrettanto duro messo a punto dalla triade europea  Cameron-Sarkozy-Merkel:
«Assad ha perso legittimità, non può più pensare  di guidare il Paese». Anche il fronte arabo,
guidato da Turchia e  Arabia Saudita, si fa più compatto (pure all'interno del non sempre 
«umano» Consiglio per i Diritti umani dell'Onu dove Giordania, Kuwait e  Qatar hanno chiesto
con gli altri 21 Paesi membri una riunione  straordinaria per lunedì prossimo). 
Sono le bordate che arrivano  dagli Stati Uniti le più dolorose per Damasco. Le nuove sanzioni 
economiche di cui ha parlato il Segretario di Stato Hillary Clinton si  annunciano pesanti:
congelamento dei beni di Stato negli Stati Uniti,  divieto per le aziende Usa di nuovi investimenti
e messa al bando di  ogni transizione legata al petrolio siriano (che peraltro va al 90% nei 
Paesi Ue). 
«Queste misure colpiranno il regime al cuore», ha detto  la Clinton. Ora gli Usa si aspettano che
nuovi Paesi si aggiungano alla  carovana delle sanzioni, già nella riunione prevista per oggi a
livello  di Unione Europea. 
Tema sempre delicato, le sanzioni — soprattutto  in Medio Oriente (l'embargo all'Iraq di
Saddam Hussein) — tanto da  indurre Hillary a mettere le mani avanti, precisando che
«saranno presi  tutti gli accorgimenti necessari per mitigare gli effetti non voluti  sulla
popolazione civile».
extremis? Le prime  reazioni da Damasco sembrano dimostrare il contrario. Ieri il presidente Basterà la voce compatta dell'Occidente (e  dei Paesi arabi) a indurre Assad a un'apertura in 
siriano aveva anticipato la condanna di Obama, dichiarando «terminate»  le operazioni militari.
In serata la voce femminile del regime, Reem  Haddad, responsabile delle relazioni esterne del
ministero  dell'Informazione, ha rimandato le condanne ai mittenti: «È strano che  anziché dare
il loro aiuto per applicare il nostro programma di riforme,  Obama e il mondo occidentale
cerchino di fomentare la violenza in  Siria».


Michele Farina, Corriere della Sera





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