mercoledì 3 agosto 2011

L'ITALIA VARA UNA LEGGE CHE VIETA IL BURQA

Con tutti i problemi che ha il nostro paese - disoccupazione giovanile al 30%, debito pubblico alle stelle, produzione immobile, economia stagnante, mafia - il parlamento italiano ha trovato il tempo per approvare una proposta di legge che vieta alle donne musulmane residenti in Italia di indossare il burqa (e anche il nikab).


Burqa vietato, primo sì alla legge


Fa un passo in avanti la legge per vietare il burqa, sulla quale si discute, e si litiga, fin dal 2007. Dopo Francia e Belgio, ieri la commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato il testo messo a punto da Souad Sbai, la deputata di origini marocchine del Pdl. Il Pd ha votato contro, astenuti Udc, Fli e Italia dei valori. In tre articoli il ddl prevede multe fino a 500 euro per chi indossa burqa e niqab in luoghi pubblici, ad eccezione di alcuni casi particolari. Ma prevede anche carcere e niente cittadinanza per chi costringe le donne a indossare veli che coprano completamente il volto, introducendo così un reato specifico. «Questa legge è per le donne— dice con soddisfazione Souad Sbai —. Sia chiaro a tutti che il burqa non è un diritto di libertà ma solo e sempre un’aberrante imposizione» . Il testo, comunque, non verrà discusso prima della ripresa dei lavori parlamentari, a metà settembre. Per la verità una legge che vieti di coprirsi il volto in pubblico, per ragioni di sicurezza, in Italia già esiste: è la 152 del 1975. Si è quindi voluto modificarla appositamente; il primo articolo del nuovo testo introduce infatti il divieto di «celare o travisare il volto» , anche con indumenti «di origine etnica e culturale, quali il burqa e il niqab» . Plaudono le donne del Pdl. E tutte chiedono una rapida approvazione a settembre. «Il burqa è una prigione di stoffa» , dice Isabella Bertolini. «Un passo verso l’integrazione. Il velo integrale non è mai una libera scelta ma un segno di oppressione» , sottolinea il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna. Esulta Daniela Santanché: «Sono felice di questo voto, nel 2007 sono stata io ad avanzare la prima proposta di legge in questo senso» . «Chiedo una corsia preferenziale in Senato» , aggiunge Simona Vicari. «Una battaglia di civiltà che si fonda sul principio di uguaglianza tra uomo e donna» , è il commento di Carolina Lussana della Lega. Ma proprio la Lega, che ha premuto per ottenere il sì a questa legge e che nei mesi scorsi aveva già votato contro il burqa a Novara come a Sesto San Giovanni (qui assieme a un Pd che decise in maniera opposta rispetto ai suoi parlamentari), viene accusata dal centrosinistra di essere xenofoba e razzista o, nel migliore dei casi, di aver voluto la norma solo per motivi propagandistici. «Un inutile errore questa legge - dice Salvatore Vassallo del Pd. Le donne che in Italia indossano burqa o niqab sono poche unità e non sono mai state causa di allarme sociale o di pericolo per la sicurezza» . Più dura la senatrice Vittoria Franco (Pd): «La verità è che la destra vuole lavarsi la coscienza facendo passare per diritti delle donne una forma neanche tanto sottile di intolleranza» . Reagisce con freddezza il mondo islamico. L’Ucoii è critico: «Vietare il velo islamico per legge è un’ingiustizia che tocca le libertà individuali» . «Siamo contro burqa e niqab ma decisamente contrari a una proposta di legge che si potrebbe tradurre in una ulteriore penalizzazione per alcune donne» , dicono gli esponenti del Movimento dei diritti musulmani.


Corriere della Sera, 03/08/2011, Mariolina Iossa





Integrazione come valore

ADESSO ci si mette anche il Governo italiano. Come se, in piena crisi economica, i parlamentari non avessero altro da fare che dare via libera a una proposta di legge che vieta nei luoghi pubblici burqa e niqab.
Come se l´esempio della Francia e del Belgio dovesse in questo caso essere necessariamente seguito, laddove in altre circostanze ci si inalbera non appena qualcuno osi fare un paragone tra quello che succede in casa propria e quello che invece accade all´estero… Certo, la giustificazione della legge è intrisa di buoni propositi. Si parla della liberazione delle donne segregate e senza diritti. Si invoca l´umiliazione di tutte coloro che non possono riappropriarsi del proprio destino. Ci si scaglia contro questa forma di "aberrante imposizione". Burqa e niqab sarebbero un mezzo di oppressione per le donne, un modo per metterle al margine della società rendendole anonime e trasparenti. Si può tuttavia veramente vietare l´utilizzo per strada del velo integrale, punendo coloro che lo portano? Non è sempre pericoloso quando, nel nome della libertà, si decide di legiferare sul modo in cui ci si possa o debba vestire in pubblico?
Molte donne musulmane sono ostili al velo integrale e mettono chiaramente in rilievo come il Corano non lo preveda: il fatto stesso di indossarlo significherebbe accettare la possibilità di restare fuori dalla società. Tante altre però, come hanno spiegato alcune francesi davanti alla Commissione parlamentare (la Commission Gérin), sostengono che portare un niqab è oggi un modo per proteggersi dallo sguardo maschile, una maniera per esprimere la fierezza di essere musulmane in un mondo occidentale considerato decadente e corrotto. Nascondendo ciò che copre, il velo, per definizione, riesce contemporaneamente a mostrare e a distogliere lo sguardo. Da questo punto di vista, è in genere utilizzato per proteggersi dalla vista degli altri, per sottrarsi alla logica della vergogna. Per mostrarsi e farsi vedere, bisogna volerlo: permettere allo sguardo altrui di posarsi su di noi senza ferirci. Il velo può allora essere un riparo per colei che lo porta, a patto, però, di non chiudersi mai completamente. Se serve a proteggere il mistero del corpo, deve anche lasciar intravedere qualcosa - gli occhi, una caviglia, una ciocca di capelli. Il rischio, altrimenti, è quello di diventare un "sudario". A seconda del contesto, del luogo e dell´identità di colei che lo porta, indossare un velo può essere un gesto religioso come un atto di conformità a un costume; può essere il frutto della sottomissione a minacce o intimidazioni, oppure un atto provocatorio e di sfida identitaria. Se alcuni veli sono in grado di dar forma al corpo femminile, il velo integrale, però, non lascia intravedere proprio nulla. E trasforma il corpo della donna in una "macchia cieca". Al punto da rendere incomprensibile il fatto che alcune donne accettino di portarlo. Si può tuttavia anche solo immaginare di risolvere un problema di questo genere a colpi di legge, soprattutto quando si sa che di donne col niqab ce ne sono veramente poche? Non è del tutto assurdo pretendere di liberare qualcuno attraverso un divieto? Non sarebbe meglio ascoltare ciò che dicono le donne velate - invece di affermare perentoriamente che non sono mai libere - e offrire loro degli strumenti critici per valutare meglio il peso e le conseguenze delle proprie scelte?
La strada per l´emancipazione è lunga e difficile. Non si può sottovalutare l´impatto della ghettizzazione sociale in cui vivono molte donne. È per questo che si dovrebbe fare attenzione a non passare troppo velocemente dalla logica della "repressione" a quella della "gentile indifferenza". Come se portare un velo integrale fosse sempre il risultato di una decisione libera e matura. Talvolta è una scelta. Altre volte, come è stato mostrato da recenti casi giudiziari in Francia, è il frutto di un´imposizione. La realtà è sempre piena di sfumature e si dovrebbe evitare non solo di strumentalizzare i valori delle lotte femministe, ma anche di banalizzare le difficoltà dell´integrazione.
In un´epoca come la nostra, in cui la questione della laicità va di pari passo con l´aumento non solo degli integralismi religiosi, ma anche dell´intolleranza e del razzismo, forse bisognerebbe interrogarsi di nuovo sul significato dell´espressione "integrazione" e cercare di capire come il rispetto delle differenze non implichi necessariamente una rinuncia ai valori in cui si crede, come l´uguaglianza, la libertà e la pari dignità. Ogni Paese ha certamente un proprio patrimonio culturale specifico, che va di pari passo con la storia della propria unità, con le contraddizioni e le difficoltà che si sono di volta in volta incontrate per imparare a vivere insieme. Ma erigere barriere o promulgare leggi che, nel nome della libertà e della dignità, interferiscono con le scelte dei singoli individui non serve a pacificare una società. Questo tipo di strategie non fa altro che spingere alla radicalità. Invece di contribuire a organizzare le condizioni reali che possono permettere alla libertà femminile di non restare solo un valore astratto.

La Repubblica, 03/08/2011, Michela Marzano

I - Il Burqa
Come è noto il burqa è la forma di velo integrale, completo di retina davanti agli occhi, che viene indossato dalle donne afghane. Esso è stato, insieme alla lotta al terrorismo e alla battaglia per esportare la democrazia in un paese dittatoriale come l'Afghanistan, uno dei motivi per i quali è stata scatenata la guerra che ha fatto decine di migliaia di morti fra la popolazione civile afghana e 3000 caduti tra le truppe alleate, compresa l'Italia. Naturalmente le donne afghane seguitano tranquillamente a portare il burqa: il singolare velaio/sudario è infatti un'usanza che gli afghani hanno importato dall'India, dove il burqa, come segno di particolare distinzione sociale e religiosa, era il segno distintivo delle mogli dei bramini (i sacerdoti induisti). Esso non si è mai diffuso in alcun altro paese di religione musulmana. E' stato calcolato che in Italia, dove i profughi afghani sono talmente pochi che le poche centinaia che vi si trovano, sono civilmente e adeguatamente ospitati sotto una tettoia pericolante della stazione tiburtina di Roma, le donne afghane che indossano i burqa non superano la decina. Particolarmente attiva contro il burqa è stata la progressista e ultra democratica signora Santanchè, che ha in proposito organizzato forti manifestazioni di piazza a Milano quando era candidata alla presidenza del consiglio per conto del partito "La Destra": la signora è una fascista che contende la palma di prima fascista d'Italia alla signora Alessandra Mussolini. Questo dà il segno di quanto ella possa avere a cuore l'integrazione e i diritti di libertà delle donne musulmane;
II - Il Nikab
Anche il nikab, forma di velo meno nota e consistente nella parte terminale di un mantello nero che copre l'intero corpo e la faccia lasciando scoperti solo gli occhi, è stato abolito. Ugualmente raro in Italia come il burqa, esso è diffuso nelle zone desertiche della penisola arabica e nelle campagne della valle del Nilo: esso non fa distinzione tra chi gli indossa; e infatti in Egitto è diffuso e usato anche tra le donne cristiano-copte delle campagne. Nel Magreb e nell'Africa sahariana uno scialle che copre il volto e lascia liberi solo gli occhi è usato dagli uomini tuaregh, i famosi uomini blu. Probabilmente il nikab è da mettere in relazione alla necessità di difendersi dalle frequenti e violente tempeste di sabbia tipiche delle zone desertiche, allo stesso modo che i fazzolettoni neri, che ancora oggi indossano le donne anziane di Grecia, Italia meridionale e Sardegna, sono da mettere in rapporto con il fatto che in quelle regioni il Sole picchia forte;
III - Burqa e Nikab non hanno niente a che fare con le prescrizioni del Corano: nel testo sacro all'Islam si dice soltanto che "La donna abbia cura di difendere il suo onore, il suo decoro e di dare segno visibile che è una donna credente, sposata e libera, perché solo le schiave portano i capelli scoperti". Il Corano raccomanda che il velo consista in uno scialle che copre i capelli e scenda fino a coprire i seni, ma le donne musulmane lascino scoperti il volto e le mani.

Chiarito quindi che Burqa e Nikab con l'Islam in quanto religione non centrano assolutamente niente, è interessante aggiungere che in Italia una legge che li vieta è assolutamente inutile perché già il T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza fa già divieto di coprirsi la faccia in modo tale da rendere irriconoscibile la persona e che le foto che debbono corredare i documenti di identità debbono essere fatti a capo scoperto, lasciando visibile il volto. E' chiaro quindi che l'amore per la libertà e per l'emancipazione delle donne musulmane non c'entra niente con l'ennesima idiozia di alcune forze politiche italiane che con un provvedimento apparentemente laico intende utilizzare come ulteriore pretesto per diffamare la religione islamica.
Chi ha veramente a cuore l'integrazione non solo delle donne ma anche dei lavoratori musulmani residenti in Italia dovrebbe impegnarsi maggiormente a fare leggi che garantiscano la libertà religiosa di chi segue l'Islam ai sensi dell'Articolo 19 della Costituzione: in Italia, invece una forza politica di governo, la Lega, usa la lotto contro i luoghi di culto e di preghiera dei musulmani come argomento forte nelle campagne elettorali, mentre i sindaci privi di quella virtù virile che si chiama "coraggio" hanno persino paura di riconoscere ai musulmani, anche se cittadini italiani, il diritto di avere luoghi di sepoltura per i loro morti. L'integrazione, infine, è garantita allargando la sfera dei diritti civili legati al possesso della cittadinanza, compreso quello di non essere trattati da miserabili ignoranti rozzi in malafede e fascisti come una banda di terroristi assassini e che disprezzano le       donne. Purtroppo abbiamo la quasi certezza che se tutto questo avvenisse come avviene in Norvegia e nei paesi scandinavi in genere, salterebbe fuori qualche signore di pura razza ariana che si metterebbe a sparare e ad ammazzare quanti si battono per l'applicazione dei principi di uguaglianza, libertà e fratellanza tra gli uomini.

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