Parte dalla Siria la rivolta del Ramadan "Ogni notte in piazza contro il
regime"
Un mese di respiro per i regimi, che approfitteranno della fiacchezza dei cittadini a digiuno per soffocare ancor più le rivolte? O i 30 giorni che imprimeranno un tale impeto alle proteste da portare al loro trionfo? I più ottimisti pare siano gli attivisti della Siria. Dove il mantra ripetuto da settimane è lo stesso da Hama a Dara´a: «Sarà venerdì tutti i giorni durante il Ramadan». Ma anche in Egitto, Giordania, Bahrein, Yemen le opposizioni promettono di trasformare il mese sacro dell´Islam, che inizia domani, in un calvario quotidiano per i loro governanti. Con proteste non più settimanali, dopo la tradizionale preghiera del venerdì. Ma con manifestazioni ogni giorno. Anzi ogni notte, all´uscita dalle moschee: cruciali luoghi di ritrovo per i cortei anti-governativi da sette mesi che per quattro settimane saranno affollati più che mai.
Se ad agosto la primavera araba si preannuncia dunque più calda, rovente sarà di certo in Siria. Dove gli attivisti hanno annunciato da giorni sulla pagina Facebook "Syrian revolution 2011" che la protesta si sposterà nelle ore notturne. Quando, dopo la cena che rompe il digiuno osservato dall´alba al tramonto, le moschee saranno gremite per la preghiera del "tarawih". Notti bianche dunque. Che le forze di sicurezza del presidente Bashar Assad potrebbero non affrontare con l´umore alto. Visto che, invece di trascorrerle in famiglia tra cibo e soap-opera come tradizione vuole, saranno a dare la caccia ai manifestanti. Per giunta in un´oscurità che renderà il lavoro più difficile. Con 10 mila moschee nel Paese, il regime sa bene che la protesta potrebbe non solo diventare quotidiana, ma allargarsi a nuove città e ceti. Un rischio tanto più probabile se le autorità proveranno a impedire l´ingresso nelle moschee. Non a caso l´establishment alawita è nervoso: e negli ultimi giorni arresti e sparizioni sarebbero aumentati, superando i 3.000 casi da marzo secondo gli attivisti.
Ma non è solo per Assad che l´arrivo del mese sacro, come dice Blake Hounshell di Foreign Policy, «è una cattiva notizia». L´analista yemenita Ahmad Saif prevede nuovi tumulti anche a Sana´a. Del resto un manifesto tra gli accampati che chiedono un cambio al potere avverte: «Il Ramadan arriva e le nostre tende sono ancora qui». In allarme sono anche i governi di Amman, Riad e Cairo. Che, nel timore che l´inflazione tipica da Ramadan possa aggiungere altro risentimento popolare, hanno adottato misure per tenere a bada i prezzi degli alimenti. Tutto da vedere è poi l´effetto-Ramadan sulla Libia. Dove se i ribelli digiuneranno difficilmente avranno la forza di avanzare fino a Tripoli. E dove amor di patria e osservanza religiosa rischiano di far spargere ancor più sangue. Visto che tra loro c´è chi dice che «il Ramadan è un buon periodo per diventare martiri».
Se ad agosto la primavera araba si preannuncia dunque più calda, rovente sarà di certo in Siria. Dove gli attivisti hanno annunciato da giorni sulla pagina Facebook "Syrian revolution 2011" che la protesta si sposterà nelle ore notturne. Quando, dopo la cena che rompe il digiuno osservato dall´alba al tramonto, le moschee saranno gremite per la preghiera del "tarawih". Notti bianche dunque. Che le forze di sicurezza del presidente Bashar Assad potrebbero non affrontare con l´umore alto. Visto che, invece di trascorrerle in famiglia tra cibo e soap-opera come tradizione vuole, saranno a dare la caccia ai manifestanti. Per giunta in un´oscurità che renderà il lavoro più difficile. Con 10 mila moschee nel Paese, il regime sa bene che la protesta potrebbe non solo diventare quotidiana, ma allargarsi a nuove città e ceti. Un rischio tanto più probabile se le autorità proveranno a impedire l´ingresso nelle moschee. Non a caso l´establishment alawita è nervoso: e negli ultimi giorni arresti e sparizioni sarebbero aumentati, superando i 3.000 casi da marzo secondo gli attivisti.
Ma non è solo per Assad che l´arrivo del mese sacro, come dice Blake Hounshell di Foreign Policy, «è una cattiva notizia». L´analista yemenita Ahmad Saif prevede nuovi tumulti anche a Sana´a. Del resto un manifesto tra gli accampati che chiedono un cambio al potere avverte: «Il Ramadan arriva e le nostre tende sono ancora qui». In allarme sono anche i governi di Amman, Riad e Cairo. Che, nel timore che l´inflazione tipica da Ramadan possa aggiungere altro risentimento popolare, hanno adottato misure per tenere a bada i prezzi degli alimenti. Tutto da vedere è poi l´effetto-Ramadan sulla Libia. Dove se i ribelli digiuneranno difficilmente avranno la forza di avanzare fino a Tripoli. E dove amor di patria e osservanza religiosa rischiano di far spargere ancor più sangue. Visto che tra loro c´è chi dice che «il Ramadan è un buon periodo per diventare martiri».
La Repubblica, 31/07/2011, Valeria Fraschetti
Qui, l´eco della strage di Hama giunge per vie indirette, ma è ben eloquente, quasi tangibile. La intercetti, per esempio, negli sguardi terrorizzati di chi ha un parente in Siria. «Mio figlio studia ingegneria all´Università di Damasco, e dice che adesso ha paura perfino di mettersi in viaggio per tornare a casa», dice Talal, un uomo dai baffi ispidi e i capelli lanosi, che chiede di non trascrivere il suo cognome. Ci invita a casa, e accende la tv. I canali israeliani mostrano ininterrottamente i video più cruenti dell´attacco di ieri contro la folla di manifestanti che protesta contro il regime di Damasco. Come sempre sono immagini mosse, perché girate con i cellulari. Sono le sole, poiché per i giornalisti la Siria è terra vietata. Stavolta tuttavia, oltre a cecchini appostati sui tetti delle case, contro i manifestanti l´esercito siriano ha usato l´artiglieria pesante, ha aperto il fuoco con i cannoni dei carri armati. E li vedi i tank che sparano sulla folla, falcidiando vite. Le senti le grosse mitragliatrici con il loro suono che è quasi un rimbombo, sordo e metallico.
Sempre via telefono, da Hama, assediata dall´esercito siriano da più di un mese, arrivano le prime testimonianze: «All´alba ho cominciato a sentire distintamente il rumore dei bombardamenti. Hanno attaccato da quattro direzioni, sparando a casaccio. Il numero delle vittime è alto, ci sono cadaveri in strada non ancora rimossi. I morti sono almeno un centinaio. E i feriti sono numerosissimi, tra cui molte donne e bambini», racconta un abitante di questa città che conta circa 800mila persone e che si trova 270 chilometri a nord di Damasco. «I carri armati sparano quattro colpi al minuto e i principali quartieri della città sono ormai senza luce né acqua», dice un medico, aggiungendo che l´ospedale dove lavora è stato circondato dai blindati.
Nel pomeriggio, dopo ore di bombardamenti, i cittadini di Hama si sono barricati in casa, con gruppi di giovani che hanno approntato barricate usando tutto quello che trovavano, anche materassi, a difesa dei propri quartieri. «I ragazzi stanno tentando di proteggere le loro famiglie, perché temono che le forze di sicurezza e polizia segreta vadano casa per casa, a prenderli uno per uno», sostiene un altro testimone.
L´attacco di ieri è ancora più atroce perché sferrato alla vigilia del mese sacro per i musulmani. Ma il Ramadan non metterà fine alle proteste contro il presidente Bashar Al Assad. Attivisti e oppositori hanno anzi fatto sapere che la rivolta procederà senza sosta, nonostante le difficoltà del digiuno e delle infernali temperature estive. «Stiamo organizzando dei sit-in notturni, oltre a cortei che partiranno dopo l´iftar, il pasto che rompe il digiuno», spiega l´attivista Bassem Khaddoun. «Una cosa è certa: stavolta non finirà come nel 1982». Allora, sempre Hama fu teatro di una sanguinosa repressione condotta da Hafes Al Assad, il padre dell´attuale presidente. Per sedare la rivolta della maggioranza sunnita della città contro l´élite alawita a cui appartengono gli Assad, fu scatenata una durissima offensiva in cui rimasero uccise ventimila persone.
Ieri, le forze governative hanno seminato morte anche altrove: cinque persone sono state uccise a Homs, tre nella provincia nord-orientale di Idlib, ventuno a Deir Ezzor, sei a Harak, nel sud, e una a Al Bukamal. I tank siriani sono entrati in azione anche in periferia di Damasco, a Moadamiyya, e le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni a Daraya, un altro quartiere della capitale dove un migliaio di persone erano scese in piazza per dimostrare sostegno alle città bombardate. Nel sobborgo di Harasta, almeno una quarantina di manifestanti sono rimasti feriti dopo che la polizia ha lanciato bombe imbottite di chiodi per disperdere una protesta. Ad Hama, intanto, dove molti feriti moriranno nelle prossime ore o nei prossimi giorni per le pallottole e gli obici sparati dai soldati siriani, il bilancio delle vittime cresce di ora in ora. L´ultimo bollettino fornito dalle associazioni umanitarie parla di 136 morti, il bilancio di una delle giornate più cruente da quando è iniziata la protesta il 15 marzo. Tragicomica, l´agenzia ufficiale siriana Sana addossa la responsabilità degli scontri «a gruppi armati», e parla soltanto della morte di due militari nell´incendio di posti di polizia.
Arrivano intanto altre testimonianze. Atroci come le precedenti. C´è quella di Shamir, soldato siriano che ha deciso di disertare quando gli è stato ordinato di sparare sulla folla disarmata. Dice Shamir: «Chi si rifiuta di obbedire e di aprire il fuoco sui civili viene a sua volta mitragliato da un altro fronte di soldati più in retrovia». Come lui, 57 soldati di Assad, compresi tre ufficiali, sono passati a sostenere i manifestanti a Deir Ezzor.
Unanime è stata la condanna dell´Occidente: Francia, Gran Bretagna e Italia hanno immediatamente stigmatizzato la sanguinosa repressione. Quanto a Barack Obama, ha espresso «orrore» per le violenze in Siria. «È giunta l´ora di isolare Bashar Al Assad», ha detto il presidente americano.
Siria, carneficina ad Hama tank e razzi sulla folla "I morti sono più di cento"
Majdal e-shams (confine tra siria e israele) - Tace la collina delle grida. Tace dopo l´ultima strage compiuta alla vigilia del Ramadan dalla tirannia di Damasco. Siamo lontani dalla città martire di Hama, dove l´apparato opaco e arrogante delle forze di sicurezza siriane ha giustiziato ieri più di un centinaio di oppositori disarmati usando i cannoni e le mitragliatrici pesanti. Ma da Majdal e-Shams il confine con la Siria è a un tiro di schioppo, lo scorgi da ogni spazio aperto. Fino all´avvento dei cellulari e di Internet, dalla vicina collina delle grida, le famiglie di drusi che nel 1967 furono divise dall´occupazione israeliana comunicavano con chi era rimasto dall´altra parte delle alture del Golan usando un megafono.Qui, l´eco della strage di Hama giunge per vie indirette, ma è ben eloquente, quasi tangibile. La intercetti, per esempio, negli sguardi terrorizzati di chi ha un parente in Siria. «Mio figlio studia ingegneria all´Università di Damasco, e dice che adesso ha paura perfino di mettersi in viaggio per tornare a casa», dice Talal, un uomo dai baffi ispidi e i capelli lanosi, che chiede di non trascrivere il suo cognome. Ci invita a casa, e accende la tv. I canali israeliani mostrano ininterrottamente i video più cruenti dell´attacco di ieri contro la folla di manifestanti che protesta contro il regime di Damasco. Come sempre sono immagini mosse, perché girate con i cellulari. Sono le sole, poiché per i giornalisti la Siria è terra vietata. Stavolta tuttavia, oltre a cecchini appostati sui tetti delle case, contro i manifestanti l´esercito siriano ha usato l´artiglieria pesante, ha aperto il fuoco con i cannoni dei carri armati. E li vedi i tank che sparano sulla folla, falcidiando vite. Le senti le grosse mitragliatrici con il loro suono che è quasi un rimbombo, sordo e metallico.
Sempre via telefono, da Hama, assediata dall´esercito siriano da più di un mese, arrivano le prime testimonianze: «All´alba ho cominciato a sentire distintamente il rumore dei bombardamenti. Hanno attaccato da quattro direzioni, sparando a casaccio. Il numero delle vittime è alto, ci sono cadaveri in strada non ancora rimossi. I morti sono almeno un centinaio. E i feriti sono numerosissimi, tra cui molte donne e bambini», racconta un abitante di questa città che conta circa 800mila persone e che si trova 270 chilometri a nord di Damasco. «I carri armati sparano quattro colpi al minuto e i principali quartieri della città sono ormai senza luce né acqua», dice un medico, aggiungendo che l´ospedale dove lavora è stato circondato dai blindati.
Nel pomeriggio, dopo ore di bombardamenti, i cittadini di Hama si sono barricati in casa, con gruppi di giovani che hanno approntato barricate usando tutto quello che trovavano, anche materassi, a difesa dei propri quartieri. «I ragazzi stanno tentando di proteggere le loro famiglie, perché temono che le forze di sicurezza e polizia segreta vadano casa per casa, a prenderli uno per uno», sostiene un altro testimone.
L´attacco di ieri è ancora più atroce perché sferrato alla vigilia del mese sacro per i musulmani. Ma il Ramadan non metterà fine alle proteste contro il presidente Bashar Al Assad. Attivisti e oppositori hanno anzi fatto sapere che la rivolta procederà senza sosta, nonostante le difficoltà del digiuno e delle infernali temperature estive. «Stiamo organizzando dei sit-in notturni, oltre a cortei che partiranno dopo l´iftar, il pasto che rompe il digiuno», spiega l´attivista Bassem Khaddoun. «Una cosa è certa: stavolta non finirà come nel 1982». Allora, sempre Hama fu teatro di una sanguinosa repressione condotta da Hafes Al Assad, il padre dell´attuale presidente. Per sedare la rivolta della maggioranza sunnita della città contro l´élite alawita a cui appartengono gli Assad, fu scatenata una durissima offensiva in cui rimasero uccise ventimila persone.
Ieri, le forze governative hanno seminato morte anche altrove: cinque persone sono state uccise a Homs, tre nella provincia nord-orientale di Idlib, ventuno a Deir Ezzor, sei a Harak, nel sud, e una a Al Bukamal. I tank siriani sono entrati in azione anche in periferia di Damasco, a Moadamiyya, e le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni a Daraya, un altro quartiere della capitale dove un migliaio di persone erano scese in piazza per dimostrare sostegno alle città bombardate. Nel sobborgo di Harasta, almeno una quarantina di manifestanti sono rimasti feriti dopo che la polizia ha lanciato bombe imbottite di chiodi per disperdere una protesta. Ad Hama, intanto, dove molti feriti moriranno nelle prossime ore o nei prossimi giorni per le pallottole e gli obici sparati dai soldati siriani, il bilancio delle vittime cresce di ora in ora. L´ultimo bollettino fornito dalle associazioni umanitarie parla di 136 morti, il bilancio di una delle giornate più cruente da quando è iniziata la protesta il 15 marzo. Tragicomica, l´agenzia ufficiale siriana Sana addossa la responsabilità degli scontri «a gruppi armati», e parla soltanto della morte di due militari nell´incendio di posti di polizia.
Arrivano intanto altre testimonianze. Atroci come le precedenti. C´è quella di Shamir, soldato siriano che ha deciso di disertare quando gli è stato ordinato di sparare sulla folla disarmata. Dice Shamir: «Chi si rifiuta di obbedire e di aprire il fuoco sui civili viene a sua volta mitragliato da un altro fronte di soldati più in retrovia». Come lui, 57 soldati di Assad, compresi tre ufficiali, sono passati a sostenere i manifestanti a Deir Ezzor.
Unanime è stata la condanna dell´Occidente: Francia, Gran Bretagna e Italia hanno immediatamente stigmatizzato la sanguinosa repressione. Quanto a Barack Obama, ha espresso «orrore» per le violenze in Siria. «È giunta l´ora di isolare Bashar Al Assad», ha detto il presidente americano.
La Repubblica, 01/08/2011, Pietro Del Re
«Verranno a prenderci uno per uno»
«Due miei amici sono stati uccisi oggi. L' ho sentito dagli altoparlanti della moschea, che annunciano i nomi dei morti». Parla un giovane raggiunto al telefono di casa, ad Hama, nel pomeriggio di ieri. Dice di avere 27 anni, di essere un ingegnere informatico, nato e cresciuto ad Hama. «Per favore non scrivere il mio nome». «I miei amici sono morti cercando di difendere la città. Uno di loro si chiama Ahmad Nasser, lavora alla caffetteria dell' ospedale. Si trovava in un quartiere nel nord di Hama quando i carri armati tentavano di entrare. Aveva 17-18 anni: è un bambino». Parla di loro un po' al presente, come fossero ancora vivi, e un po' al passato. «L' altro si chiama Kamal Shemali, fa l' imbianchino, ha più o meno la mia età e ha già due figli maschi. Ieri ero stato a casa sua a prendere un caffè. Mi aveva confessato di essere pronto a morire per difendere la città. Suo cugino mi ha confermato che è stato ucciso da una cannonata. Negli anni 80 la gente fu uccisa in casa, stavolta sono in strada a difendere Hama». Le notizie che giungevano ieri dalla città erano confuse, frammentarie e non verificabili, perché il governo siriano ha bandito dal Paese i giornalisti stranieri. Parlando ai media per telefono, diffondendo su YouTube e i social media appelli e video, gli abitanti hanno spiegato di essere stati svegliati all' alba dal suono assordante delle cannonate, cui sono seguite le sparatorie, mentre i carri armati da quattro direzioni tentavano di entrare in città. I residenti negano le notizie diffuse dalla tv siriana sulla presenza di bande armate di criminali. «Abbiamo pietre, coltelli, qualche spada, bastoni - dice il giovane informatico -. C' è qualcuno che sa come fare i molotov, e tra i tanti abitanti magari ne troverai uno che ha una pistola o un fucile da caccia, ma vuole usarlo per proteggere la propria famiglia». Una donna velata da un niqab nero, da cui emergono solo gli occhi, appare in un video diffuso online: «Siamo tutti bersagli, uomini e donne. Ho appena visto una donna colpita mentre stava pacificamente seduta in casa. I bombardamenti sono pesanti e indiscriminati». «Per strada ci sono solo gruppi di ragazzi che tentano di difendere il quartiere, le case e i familiari, alzando barricate con tutto quello che trovano», ha detto un testimone anonimo all' Ansa . «Si evita di uscire, di andare a piedi o di spostarsi in macchina. Da ogni angolo ti possono sparare addosso, lo sappiamo. È tutto chiuso, le scuole, i negozi, tutto». Il giovane informatico è rimasto a casa con i genitori. «Il mio dovere è di proteggere loro, e per farlo ho solo il mio coltello». Gli amici in varie parti della città gli hanno detto che a nord l' avanzata dei carri armati sarebbe stata bloccata dalle defezioni, mentre «a est sono arrivati a un ponte a un chilometro da casa mia». «Urgente, donazioni di sangue tipo O+ e O- necessarie all' ospedale Hourani»: appelli come questo circolavano ieri anche su Internet. «Un mio amico ha tentato di andare a donare il sangue - racconta il giovane - ma è tornato indietro con l' auto perforata dai proiettili». Circolano liste provvisorie dei «martiri», alcuni dei quali identificati attraverso i video con messaggi su Twitter come: «Questo è Ahmed Farhoud di Hama, ucciso da sgherri del governo» oppure «Il martire-bambino Ahmad Murad Al-Masri». Ci sono vittime anche in altri luoghi: ieri circolava la foto di una bambina avvolta in un lenzuolo bianco: «Layal Askar, uccisa ad Al Harak, Deraa, in Siria. Morta per un attacco di cuore dopo che un missile aveva colpito il villaggio». Ad Hama tutto questo non è nuovo. Tutti hanno parenti o amici uccisi o incarcerati nel 1982. Il giovane informatico ricorda uno zio del padre: «Era un dottore e un politico molto rispettato. L' esercito arrivò e, tra i primi, prese gli uomini più amati e rispettabili. Era un oculista, quindi lo accecarono, poi lo bruciarono vivo. Legarono il corpo ad un furgone militare e lo trascinarono per i villaggi... Finora non ho sentito che siano entrati nelle case. Ma appena avranno il controllo, lo faranno. E verranno a prenderci uno per uno, me incluso». Istantanee di una rivolta Negli anni 80 la gente fu uccisa in casa, ora sono in strada a difendere Hama null Uno è morto nel nord di Hama quando i tank tentavano di entrare Siamo tutti bersagli (...). Da ogni angolo ti possono sparare, lo sappiamo.Corriere della Sera, 01/08/2011, Viviana Mazza
«Un intervento armato come quello in Libia sarebbe una catastrofe»
WASHINGTON - La Siria è intoccabile? Vincent Cannistraro ritiene di sì. Ma intoccabile non soltanto per l' America e l' Europa. «Intervenire significherebbe sconvolgere i delicati equilibri del Medio Oriente e del Golfo Persico, e probabilmente anche scatenare una sanguinosa guerra regionale. Sarebbe una tragedia ancora più grave di quella in corso». L' ex direttore dell' antiterrorismo della Cia, ex consigliere della Casa Bianca che negli anni 80 lavorò in Italia, non esclude che il presidente siriano possa cadere. L' America e l' Europa sono intervenute militarmente in Libia. Perché non in Siria? «Troppo pericoloso. La Siria confina con l' Iraq, il Libano e Israele, che verrebbe coinvolto in un intervento occidentale. E la Libia insegna che interferire in una guerra civile può essere controproducente. L' Europa e l' America speravano di indurre Assad alla ragione con la politica, con la diplomazia e con le sanzioni. Si sono sbagliate. Ma non devono abbandonare questa strada, è l' unica che può dare frutti. Devono mobilitare la comunità internazionale contro questi bagni di sangue». L' Iran non è presente in Siria? «Mi risulta che consiglieri politici e militari iraniani aiutano il regime nella repressione, perché l' opposizione ad Assad si è trasformata in una rivolta armata. Ma non penso che, se la situazione a Damasco peggiorasse, l' Iran manderà le truppe regolari o i pasdaran. L' Occidente e i Paesi dell' area hanno di certo diffidato l' Iran, isolato in Medio Oriente come nel Golfo Persico, dal compiere mosse avventate». Perché Assad è indebolito? «Non solo dalla graduale diffusione della rivolta. Ma anche dalla straordinaria cautela di Hezbollah in Libano nel discuterne pubblicamente. Quando scoppiarono le rivolte in Tunisia, Egitto e Libia, Hezbollah le definì un risveglio musulmano. Ora tace. Teme due cose: perdere la protezione di Damasco e diventare teatro di un' altra guerra tra siriani e israeliani. E sa che se fornisse aiuti ad Assad perderebbe l' appoggio della maggioranza dei musulmani». Che sbocco potrebbe avere la crisi? «È difficile da prevedere perché l' opposizione non è organizzata e l' entità delle defezioni tra le forze armate non ci è nota. Se le pressioni e le sanzioni fallissero, l' amministrazione Obama preferirebbe che la rivolta divenisse un movimento di massa come in Tunisia e in Egitto, senza sfociare in guerra civile. Ma molto dipenderà dai militari. Qualcuno tenterà un golpe? Oppure imporrà l' ordine con le armi come pretende Assad? Neppure i servizi segreti americani hanno ancora una risposta». L' Iran accetterebbe di perdere la Siria? «Se intervenisse militarmente in Siria le conseguenze sarebbero gravi. Il Consiglio di sicurezza dell' Onu non starebbe a guardare, anche se io non credo che darebbe mandato all' Europa e all' America di bombardarlo. L' Iran non è così stabile. Ed è nel mirino occidentale per il suo programma di riarmo atomico. Non può gettarsi in avventure all' estero».Corriere della Sera, 01/08/2011, Ennio Caretto
Il paladino dei diritti umani "Questo regime è cieco il massacro non ci fermerà"
«Avevo vent´anni quando l´artiglieria spianò la mia città, Hama, nel 1982. Ho ancora le immagini di quel massacro negli occhi. Oggi, vedo che il regime ha imparato niente: i tempi sono cambiati, i cannoni non faranno tacere le voci di chi reclama democrazia, diritti umani, libertà». Anwar Al Bunni, 52 anni, "principe" dei difensori dei diritti umani in Siria, avvocato pluripremiato all´estero per il suo attivismo, parla al telefono da Damasco. Riemerso dal carcere due mesi fa, dopo una condanna a cinque anni, ritrova la Siria in fiamme, ma anche un Paese cambiato: «Prima eravamo in pochi, isolati, a sfidare il regime. Ora il popolo intero condivide le nostre richieste».A che prezzo, avvocato Al Bunni? Hama è di nuovo insanguinata. La storia si ripete?
«Hama ha un profondo valore simbolico, per quel che accadde trent´anni fa. Le autorità distrussero il vecchio centro. Doveva servire da lezione per l´intero Paese: chiunque avesse osato alzare la testa, avrebbe patito la stessa sorte. Così è stato, per decenni».
E adesso?
«Adesso c´è che la gente, tutta la gente, è unita nel desiderio di libertà. Non si torna più indietro. Il regime, però, è fermo al passato: è cieco di fronte alla realtà. Crede di potere aggiustare le cose ora esercitando pressione, ora intervenendo con le armi. Per pura follia, pensa di risolvere la questione in un solo giorno, con l´esercito, alla vigilia del Ramadan, impedendo che la ribellione divampi nel mese sacro».
Con che risultati, secondo lei?
«Che otterrà niente. Per un mese, da giugno, Hama è vissuta in relativa libertà. Non importa se moriranno 100 o più persone: Hama non obbedirà più. Il governo non potrà ripetere i massacri del passato».
Come si esce dallo stallo? Lei crede nell´apertura di un dialogo nazionale?
«Non si dialoga col coltello alla gola. Ho rifiutato l´invito al tavolo allestito dal governo. Finché il sangue scorre per le strade, finché le riforme sono un pretesto per guadagnare tempo, non si può parlare. La soluzione è nelle mani delle autorità: dell´esercito, del potere».
Lei vuol dire che il regime può ancora riformarsi?«Il presidente Assad può trasformare il regime in ventiquattro ore, se lo vuole: può aprire le porte del potere alla democrazia. Noi, infatti, non vogliamo una soluzione all´egiziana né alla tunisina: lì sono cambiate le autorità, ma la struttura del regime è intatta. Finché questo accadrà, in Siria, i ribelli continueranno a riempire le piazze. E se finora molti siriani sono rimasti in casa, nel mese di Ramadan tutto può cambiare».
La Repubblica, 01/08/2011, Alix Van Buren
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