domenica 28 agosto 2011

Libia - 28 Agosto 2011


Esecuzioni sommarie e fosse comuni per le strade di Tripoli città senza legge

TRIPOLI - È una lotta senza quartiere quella che si combatte ancora per le strade di Tripoli. A una settimana dalla presa della capitale, la città è in gran parte "liberata" ma alcune sacche di gheddafiani resistono ad oltranza, rifiutando qualsiasi offerta di resa. Come spesso succede, il crepuscolo di un tiranno porta con sé ferocie inaudite. Nei quartieri già liberati cresce la paura per le esecuzioni sommarie. Gli spari in aria per festeggiare la rivoluzione sono stati sostituiti da raffiche secche e mirate contro le automobili che paiono sospette. Ai check point che controllano ogni incrocio della capitale i towar, i ribelli, si sono fatti più guardinghi. Alzano ancora due dita in segno di vittoria ma pretendono che gli automobilisti si fermino e aprano il cofano. Nel quartiere di Dhebi, nato negli anni Settanta, ieri hanno riaperto i primi negozi, una gioielleria e un calzolaio, ma pochi giorni fa in quelle stesse strade al mattino sono stati trovati quattro cadaveri. «Uccisi da squadre di civili, più pericolose dei militari – spiega Ibrahim, 50 anni –, fanatici che ammazzano chiunque incontrano». Che la pietà a Tripoli sia morta lo conferma anche la terribile scoperta fatta ieri dai rivoluzionari del Consiglio nazionale transitorio in un magazzino di una caserma della famigerata 32esima Brigata comandata da Khamis, uno dei figli di Gheddafi: cinquantatré cadaveri, ammassati uno sull´altro, molti civili, e insorti catturati negli scontri per il controllo della capitale. Un´esecuzione di massa. I soldati del raìs prima di lasciare la posizione hanno appiccato il fuoco al magazzino e finito a raffiche di mitragliatore alle spalle chi cercava di salvarsi arrampicandosi sul tetto. I rivoluzionari possono vantarsi di aver completamente conquistato Tripoli ma di certo in città ci sono ancora zone in mano ai gheddafiani, cecchini appostati sui tetti e squadre della morte a caccia di prede. A Tojoura, uno dei quartieri della capitale, gli abitanti stavano improvvisando una fossa comune per i corpi di ventidue africani, probabilmente mercenari al soldo di Gheddafi.
Nelle aule di una scuola elementare, trasformata in fretta e furia in prigione, ci sono 375 soldati lealisti catturati dagli insorti durante i combattimenti. Aspettano in silenzio di sapere cosa ne sarà di loro. Alcuni sono appena adolescenti, leggono il Corano o fissano il pavimento, le teste rasate per evitare le pulci.
Dagli schermi di Free Libya si continua a ripetere che la prima emergenza è ora assicurare ordine e sicurezza a Tripoli e al resto del paese con la creazione di un nuovo esercito e di una nuova polizia. Il Consiglio nazionale transitorio sta pensando di chiedere ai paesi arabi di inviare in Libia agenti di polizia che aiutino i ribelli a garantire la protezione della città.
Il fronte vero e proprio di battaglia si sta spostando verso la Sirte. I ribelli ieri giuravano di aver ripreso Bin Jawad. I combattimenti continuano anche sul fronte occidentale. Nelle città di Jmril e Ajilat, a pochi chilometri dalla frontiera con la Tunisia, sarebbero asserragliati contingenti di soldati del regime, scacciati dalle posizioni sulle montagne e rimasti intrappolate tra il mare, il confine e le zone libere. «Non si possono arrendere – spiega Nasir Nawut, un ribelle – molti getterebbero le armi ma i loro ufficiali sono pronti ad ucciderli in caso di diserzione». Ieri Ras Ajdir, il valico con la frontiera tunisina ancora in mano ai gheddafiani, sarebbe finalmente caduto in mano ai ribelli. Anche la raffineria di Ras Lanuf, sulla costa verso Bengasi, sarebbe stata nuovamente conquistata dai rivoluzionari che negli ultimi giorni l´hanno presa e perduta diverse volte, combattendo metro per metro.
A Tripoli, gli abitanti hanno paura. Alcuni quartieri si stanno organizzando per garantire un minimo di sicurezza. A Dhebi lo hanno fatto ieri dopo la scoperta dei quattro cadaveri e gli appelli della popolazione. «Ci sono troppe armi in circolazione - spiega Ibrahim che con altri compagni ha appena formato un Comitato di salute pubblica – dobbiamo prima di tutte censirle e poi formare delle squadre di sorveglianza che proteggano le nostre case». A Ghiran ci hanno provato ma finora senza successo. «Venerdì qualcuno ha parlato in moschea dopo la preghiera di questa possibilità – spiegano nel quartiere – ma ci sono ancora troppa paura e diffidenza». In compenso nel rione sono stati disarmati tutti quelli che sono sospettati di simpatie verso il regime morente. «Anche se si tratta di persone che non hanno mai fatto del male è meglio togliere loro le armi – dicono gli insorti – spaventati da eventuali rappresaglie potrebbero mettersi a sparare a casaccio».
C´è poi ancora un problema che però non è poco conto: convincere i ribelli a smetterla con le raffiche sparate in aria per festeggiare la vittoria. «Credo che molti dei feriti che arrivano negli ospedali dicendo di essere stati feriti dai cecchini siano invece vittime dei proiettili di ricaduta – sottolinea Medhi Gana, appena rientrato in Libia dalla Gran Bretagna – bisognerebbe ricordare a quanti sparano in aria che un colpo di ricaduta ha una penetrazione nel corpo umano di almeno quindici centimetri». Bisognerebbe farlo in fretta dato che mancano quattro giorni al primo settembre quando la fine del Ramadan, tradizionalmente festeggiata con sparatorie, coinciderà con il ricordo della presa del potere di Gheddafi nel 1969. Un momento che a Tripoli tutti aspettano con ansia ma anche con preoccupazione per quello che potrebbe accadere con tutte le armi che circolano in città.

Meo Ponte


Senza luce né gas, con il mitra sotto il divano

TRIPOLI - Alle 12 Aisha, 63 anni, è già sveglia e legge il Corano. Nella sua casa al 180 del quartiere Ghiran c´è ancora silenzio. Sono gli ultimi giorni del Ramadan e figli e nipoti che dall´inizio della rivoluzione si sono trasferiti da lei dormono ancora.
La famiglia
Dall´inizio della rivolta a casa di Aisha vivono i tre figli maschi (Shaban, 37 anni, Ahmed, 25 anni e Youssef, 22 anni), le due figlie (Asma, 30 anni e Omessaad, 34) e i figli sposati: Abdullah, 40 anni, Mohammed, 36 anni, e Rukia con il marito e 2 bimbi. In più Hadia, la cugina. In tutto 16 persone.
La mattina
Ahmed si alza verso l´una, deve controllare i motori delle auto di famiglia. Una, un pick up Toyota "liberato" da poco, è nel garage della famiglia di fronte, sospettata di essere legata al regime. «Lo sappiamo - dice Ahmed - ma non sono pericolosi». Anche il controllo degli Ak47 nascosti dietro il divano è compito di Ahmed. «Ne abbiamo cinque. Uno è cinese, è più nuovo ma meno buono di quelli russi» sottolinea.
La benzina e il cibo
Abdullah controlla le scorte di benzina e gas. Prima di febbraio ha fatto lunghe code ai distributori. «Dormivo lì e mi facevo dare il cambio da mio fratello» ricorda. Così ha accumulato un bel po´ di galloni raccolti in taniche sistemate in garage. «Siamo stati previdenti: 20 litri costavano tre dinari, ora 120». Le bombole di gas sono salite da 2 a 150 dinari l´una: «Però abbiamo fatto scorta anche di quelle». Youssef va al supermercato per comprare carne se ce n´è, datteri, quello che si trova. «La carne non è aumentata grazie all´assenza di corrente, costa 25 dinari al chilo - spiega Youssef - non potendola conservare in frigorifero sono costretti a venderla subito».
Le ragazze
Asma e le sorelle badano ai bimbi e pensano al pane. «Lo facciamo nel nostro forno - spiega Asma, che ha perso il lavoro in banca - abbiamo messo da parte sacchi di farina. Eravamo abituati a fare scorte di cibo. Abbiamo vissuto per anni con la tessera annonaria. In più i panettieri sono chiusi: erano in gran parte erano egiziani e marocchini: sono fuggiti all´inizio della rivoluzione».
La preparazione del cibo
Verso le 16,30 inizia la preparazione dell´iftar, la cena serale: le brick, frittate con uova e formaggio e il latte e le mandorle che precedono l´Isha, l´ultima preghiera. «Il problema è l´energia elettrica. Quando se ne va è una dramma, non siamo riusciti a trovare un generatore», dice Omessaad. Arrivano gli amici, Hadia ascolta le notizie e commenta: «Dicono che Gheddafi sia a Sirte o che sia ad Algeri. Io penso che si sia fatto una plastica facciale, sono mesi che non si fa vedere…».
La cena
Quando il sole tramonta Aisha e la sua famiglia possono finalmente mangiare e soprattutto bere. «Il metabolismo si adatta ma con questo caldo la sete è terribile» dice Aisha il cui terrore più grande, ancor più della guerra, è che qualcuno in casa si ammali. «Negli ospedali manca tutto. La gente ha raccolto l´appello del Cnt ed ha donato il sangue. È andata anche a fare le pulizie. Ma mancano le medicine e soprattutto i medici e gli infermieri. Nei mesi scorsi sono morte quasi tutte le persone che avevano bisogno di assistenza quotidiana, come i pazienti in dialisi». Un cognato di Hadia passa per dire che il Cnt ha dirottato a Tripoli una petroliera diretta a Bengasi e promette di dare benzina gratis a tutti. «Anche questa è la rivoluzione» sottolinea Hadia.
La notte
Dopo la cena e l´ultima preghiera si parla. «Senza luce né corrente abbiamo imparato a parlare molto: del nostro futuro, di quello che faremo dopo quaranta anni di Gheddafi. Ogni discorso finisce sempre con la stessa speranza: che lui sia catturato al più presto e processato in Libia - dice Medhi, il fratello di Hadia - mi piacerebbe vedere com´è davvero, senza i capelli tinti e le solite mascherate. Ecco, vorrei vederlo andare in giro come una persona normale, senza più privilegi. Credo però che l´uccideranno i suoi per nascondere i loro crimini e farne un capro espiatorio…».

Meo Ponte



"Il raìs su un convoglio nel deserto" l´Algeria nega: da qui non è passato

BENGASI - Dopo averlo avvistato a Sirte, sua città natale, poi in Algeria a bordo di un convoglio blindato, le ultimissime voci riguardo al covo dove avrebbe trovato rifugio Muammar Gheddafi indicano lo Zimbabwe di Robert Mugabe, anche lui un sanguinario dittatore in carica da diversi decenni. Il Colonnello sarebbe da quattro giorni suo ospite a Harare, dopo aver lasciato la Libia su un aereo militare messo a disposizione dal presidente africano. A sentire fonti dell´opposizione al padre padrone dell´ex Rhodesia, il raìs si troverebbe in una residenza nel sobborgo di Gunninghil, circondato dalle celebri "amazzoni", le guardie del corpo femminili con cui da sempre condisce la teatrale e buffonesca scenografia del suo regime.
Altre voci, all´alba di ieri, lo avevano segnalato in Algeria. Stavolta è stata l´agenzia egiziana Mena a parlare di un convoglio di sei Mercedes blindate che avrebbero attraversato nella notte tra venerdì e sabato il confine tra Libia e Algeria. Secondo quando riportava la Mena, le auto erano scortate da un gruppo armato di nomadi del deserto, fedeli all´ex leader libico. Ma il governo algerino ha smentito "categoricamente" un passaggio nel paese di veicoli blindati provenienti dalla Libia. L´Algeria è l´unica nazione dell´area a non aver ancora riconosciuto la legittimità del Consiglio nazionale di transizione, adducendo il pretestuoso motivo che la Libia deve prima far pulizia degli elementi di Al Qaeda infiltrati al suo interno.
Nel pomeriggio di ieri è stato lo stesso presidente del Comitato nazionale di transizione, Mustafa Abdel Jalil, ad ammettere che Gheddafi è riuscito a far perdere le sue tracce. Jalil ha poi spiegato che il comando militare degli insorti sta negoziando con le truppe lealiste per convincere Sirte alla resa.
Sempre ieri, gli insorti hanno conquistato il villaggio di Jmayl, luogo d´origine del primo ministro di Gheddafi, Baghdadi al Mahmoudi, consolidando la loro posizione nell´area a Ovest di Tripoli. Dopo cinque giorni di stallo, un centinaio di combattenti è finalmente entrato nel piccolo centro a bordo di pick-up. L´emittente Al Jazeera ha mostrato le immagini di uno shabab che cancellava sulle mura di Jmayl la scritta: "Solo Dio e Muammar".
I combattenti di Jadu e Zintan, affiancati da quelli di Misurata, hanno invece lanciato un attacco in forze verso Salah Dein, dove c´è un´importante base militare segnalata come l´ultimo rifugio di Khamis Gheddafi, il figlio del Colonnello al comando della 32sima brigata delle forze speciali. Dopo violenti combattimenti, gli insorti hanno anche preso il controllo del posto di confine di Ras al Jadir, alla frontiera tra Libia e Tunisia.

Pietro Del Re



Lingotti d´oro, dollari e diamanti Gheddafi in fuga con il suo tesoro

Dov´è? Muhammar Gheddafi è svanito con il seguito e i numerosi figli per il momento senza lasciare traccia. Le fonti di intelligence occidentali lo danno quasi certamente nella zona di Sirte, sua città natale, il suo feudo, dove i Ghaddafa - la tribù originaria del colonnello - ha da quarant´anni potere di vita e di morte. Verso Sirte si stanno dirigendo colonne di camion, di pick up con le mitragliatrici sul cassone, sgangherate motociclette cariche di ribelli che vanno ad affrontare - sperano - l´ultima battaglia contro il tiranno e farla finita con lui e il suo clan una volta per tutte.
I ribelli del Cnt non dispongono di informazioni certe sull´ex raìs, se era falsa la pista che portava in Algeria, resta dubitativa quella che porta a Sirte. Da non scartare quella che invece punta a Sud, verso il deserto - si viaggia di notte per sfuggire ai satelliti e si sta fermi di giorno - per raggiungere quella zona franca sub-sahariana dove i confini fra gli Stati sono labili, di sterminata lunghezza e mal controllati. Ciad e Sudan potrebbero essere la meta, dopo che il Niger ha deciso ieri di riconoscere i ribelli del Cnt come rappresentante del popolo libico.
A Khartum, nella capitale dove governa l´amico Bashir - quello che il tribunale internazionale vorrebbe processare per crimini contro l´umanità per le stragi in Darfur - Gheddafi ha molti interessi, compreso un meraviglioso hotel sulle rive del Nilo, e godrebbe di ampia protezione. Senza contare i finanziamenti garantiti alle milizie arabe del Sudan in lotta contro i ribelli del Darfur. E poi Gheddafi ha storici legami con varie tribù e gruppi ribelli del Sahara, ha fomentato e cercato di risolvere le rivolte in questa parte dell´Africa soltanto per espandere la sua influenza, lì può vantare degli amici. La coordinata africana nasce dai solidi legami instaurati da Gheddafi con il Continente Nero. Oltre a sostenere il 15 per cento dei costi dell´Unione Africana, Tripoli investe da un decennio in tutta l´Africa sub sahariana spendendo milioni e milioni di dollari in costosi progetti in Mali e Ciad e lanciando mirabolanti investimenti in Liberia, Sudafrica, Madagascar e gli appoggi alla dissestata economia dello Zimbabwe di Robert Mugabe.
Il gruppo in cerca di scampo dovrebbe essere ben numeroso, perché il Colonnello se ne è scappato da Tripoli con il suo tesoro, in contanti naturalmente. Si dice che l´ex raìs tenesse sempre pronti alcuni miliardi di dollari fra oro e contanti proprio per questa necessità: la fuga e le sue prime necessità prima di riorganizzarsi. L´oro e le valigie piene di contanti pesano, sono ingombranti, trasportare il tutto non è semplice. Ma potrebbe essere solo una soluzione momentanea, arrivato in un rifugio relativamente sicuro per lui, il Colonnello potrebbe mettere le mani sul suo «vero» tesoro. Dato per perso quello che tutti conoscono con la rete di investimenti ufficiali libici in Italia, Malta, Gran Bretagna e in decine di altri Paesi delle due company per questo create - La Lybian Investment Authority (Lia) e la Lybian Arab Foreign Investment Company (Lafic) - già ampiamente tracciati e congelati dopo l´inizio della rivolta di febbraio nelle Banche europee e americane, Gheddafi dispone di un altro tesoro: quello parcheggiato in paradisi fiscali irraggiungibili che il Colonnello ha «stornato» dalle rimesse per la vendita di greggio e gas.
Si parla - ma siamo sempre nel campo delle ipotesi degli specialisti dell´intelligence - di un portafoglio di quasi 100 miliardi di dollari. Conti cifrati, depositi in contanti, cassette di sicurezza piene di dollari e diamanti, tutto intestato a persone fisiche o società fittizie, mediatori e uomini di fiducia profumatamente pagati. Se il Colonnello poteva pagare tre milioni di dollari l´anno un team di professori di Harvard come consulenti per l´immagine, figurarsi se non ha una rete «brasseurs d´affaires» in grado di far arrivare questo denaro praticamente ovunque. E poi sono decine i paradisi fiscali che non aderiscono alla lotta contro il riciclaggio di denaro varato dall´Ocse nel 1999, dall´isole Cook nel Pacifico, alle Samoa, dalle isole Marshall alle Vanuatu, solo per restare in quell´area. Grenadine, Monserrat, Saint Kitts e Nevis nel Mar Caraibico, dove può essere parcheggiato con sicurezza il «tesoro».
Poi, visto che Gheddafi non si è mai fidato di nessuno, invece di depositare le ingenti riserve aurifere in Svizzera o in Inghilterra, come fanno molti Paesi, aveva accumulato in Libia 144 tonnellate di oro, pari a 6.5 miliardi di dollari in lingotti, nella sua esclusiva disponibilità. Quest´immensa ricchezza, tra le 25 riserve aurifere massime al mondo stando al Fondo Monetario Internazionale, si dice che sia stata nascosta vicino alla frontiera con il Ciad. Qui i lingotti possono essere facilmente scambiati per armi, per pagare i mercenari africani, le milizie personali dei membri della sua famiglia e magari fomentare una rivolta nella nuova Libia che sta nascendo.



Fabio Scuto

Nessun commento:

Posta un commento