mercoledì 3 agosto 2011

SIRIA, 2-3 AGOSTO 2011


Siria, secondo giorno di cannonate

GERUSALEMME - Sessantasei anni dalla nascita delle forze armate siriane, ventinove dal massacro di Hama voluto dal padre Hafez, un giorno dal nuovo assalto. Il presidente Bashar Assad ha elogiato le truppe «patriottiche» in un messaggio pubblicato dalla rivista militare L' esercito del popolo . Il discorso era già scritto, ma le parole arrivano dopo il bombardamento con l' artiglieria, dopo i cecchini sui tetti che centrano i manifestanti, dopo i quasi novanta morti nella città sotto assedio. Gli ufficiali hanno dato l' ordine di sparare anche ieri all' alba, mentre la gente tornava dalle moschee per la prima preghiera del mattino, il mese sacro di Ramadan è iniziato domenica con il sorgere della luna. «I cospiratori vogliono generare disordini per frammentare il Paese - scrive il leader -. Il popolo è più forte di questi complotti e lo ha dimostrato. I nostri militari incarnano la dignità e l' orgoglio della nazione». Il regime ripete che l' intervento dell' esercito è necessario per colpire le bande armate e permettere agli 800 mila abitanti di tornare alla vita normale. «Nessuno può lasciare la città», racconta al telefono la gente di Hama. «I soldati e le milizie della famiglia Assad bersagliano con le mitragliatrici chi prova a muoversi». Ieri sarebbero state uccise altre tre persone e una a Deir ez Zor, sul fiume Eufrate, verso il confine con l' Iraq. Nella notte, i carrarmati hanno bombardato di nuovo i quartieri residenziali. «Un colpo ogni dieci secondi», dice un testimone all' agenzia Reuters . I Fratelli musulmani accusano il regime di «pulizia etnica contro i sunniti». Nel 1982 il capostipite Hafez Assad aveva demolito gran parte di Hama e le frenesie ribelli degli islamisti: sotto le macerie sarebbero morte tra le dieci e le ventimila persone. Il ricordo di quella strage ha terrorizzato la maggioranza dei siriani, che per decenni non hanno osato affrontare il potere degli alauiti, la setta a cui appartengono gli Assad. Fino alla metà di marzo, quando è cominciata la rivolta che non retrocede. Il massacro alla vigilia del Ramadan ha spinto Abdullah Gül, il presidente turco e tra i fondatori del partito islamico Akp, a intervenire. «Le immagini che abbiamo visto sono raccapriccianti. Non possiamo accettare questa atmosfera sanguinaria all' inizio del periodo che dovrebbe essere pacifico e rasserenante per tutti». Ahmet Davutoglu, il ministro degli Esteri, avverte: «La crisi può diventare internazionale». Il potente vicino sunnita aveva già messo in discussione l' alleanza strategica con Damasco, quando almeno diecimila profughi avevano attraversato la frontiera per trovare rifugio in Turchia. William Hague, ministro degli Esteri britannico, chiede agli occidentali di aumentare la pressione sul governo siriano, ma esclude l' intervento militare. L' ipotesi di un attacco viene respinta anche da Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato. L' Unione Europea ha inserito altri cinque esponenti del regime nella lista di persone colpite da sanzioni, in totale sono trentacinque, a partire da Bashar e dal fratello minore Maher, che coordina le operazioni contro i manifestanti. Il Consiglio di sicurezza dell' Onu si è riunito nella notte, dopo la richiesta della Germania e di Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano. Berlino ha appena passato la presidenza di turno all' India, che è tra i Paesi (assieme a Russia, Cina, Brasile e Sudafrica) contrari a votare una risoluzione di condanna della repressione. Cinque mesi di scontri Strage Secondo gli attivisti dei diritti umani almeno 130 persone sono morte in Siria nella repressione di domenica, uno dei giorni più sanguinosi da marzo, quando è cominciata la protesta contro il regime di Bashar Assad Vittime Oltre 1.600 civili sono stati uccisi in cinque mesi di scontri. Circa 12 mila persone sono state arrestate Ramadan Il mese sacro all' Islam, cominciato ieri con i quotidiani appuntamenti in moschea, aumenta le occasioni di protesta e di repressione.


Corriere della Sera, 03/08/2011, Davide Frattini




Il popolo chiede al mondo di condannare il regime non di attaccarlo con le armi
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA - Nata a Damasco e residente nel Regno Unito, Rime Allaf è scrittrice e analista per le questioni mediorientali di Chatham House, uno dei think tank più influenti. Qual è la situazione in Siria? «Sappiamo che le forze armate sono pronte ad aprire il fuoco in tutte le aree più problematiche, a cominciare dalla città di Daraa. Questa è la strategia del regime: reprimere in fretta la rivoluzione. Ma il popolo non si ferma. Anche la notte prima del Ramadan la gente ha pregato nelle moschee, poi si è riversata nelle piazze. Penso che alla fine la brutalità di Assad sia controproducente per il suo stesso governo: più lui usa la violenza, più i siriani si arrabbiano e accettano la sfida». Perché la rivolta dopo anni di silenzio? «Ci sono due ragioni. La prima è l' esempio della Tunisia e dell' Egitto: ciò che è accaduto in quei due Paesi dimostra che è possibile ribellarsi al terrore. La seconda ragione, ed è la più importante ma anche quella che molti dimenticano perché si tratta di un fatto accaduto 5 mesi fa, è che il regime ha preso e torturato 15 studenti a Daraa, bambini, ragazzini fra i 10 e i 14 anni. Arrestati in marzo dagli agenti della sicurezza e picchiati barbaramente. Una tragedia intollerabile. Di fronte all' arroganza del regime la gente è insorta». Gli Stati Uniti e l' Europa hanno tollerato per tanto tempo. «Non vi è dubbio alcuno. Sono caduti nella trappola propagandistica che a guidare la rivolta fossero i gruppi musulmani integralisti. Una falsità. Poi, quando si sono accorti che la pressione spontanea del popolo cresceva, che le manifestazioni venivano soffocate nel sangue, hanno cominciato a preoccuparsi e a capire che appoggiare Assad non è utile agli equilibri nel Medio Oriente». Londra e Parigi sono state le due capitali più risolute nel volere l' intervento militare in Libia. Perché non in Siria? «Perché la Siria è al centro di una complessa ragnatela di interessi e di problematiche che coinvolgono l' intero mondo arabo e l' intera area del Medio Oriente. La Libia è relativamente più isolata. La Siria ha svolto un ruolo, positivo se vogliamo, in questioni delicate come la guerra in Iraq, come i conflitti in Libano, così come coi palestinesi. È corretto dire che la Siria è stata parte importante nelle relazioni internazionali per affrontare le crisi in Medio Oriente. Ha acquistato crediti presentandosi con la veste di un governo stabile, nascondendo il suo vero volto. Adesso Washington, Londra e Parigi si stanno rendendo conto che la permanenza di Assad è pericolosa e stanno riconsiderando le loro posizioni». Possibile un intervento armato? «Assolutamente no, sarebbe una catastrofe per la Siria. Le grandi potenze devono appoggiare l' opposizione ricordando che è in atto una rivoluzione pacifica e che una soluzione di tipo libico non sarebbe accettata. Il popolo siriano vuole la condanna del regime, vuole che sia isolato nella comunità internazionale ma è contrario alla guerra». E allora qual è la via d' uscita? «Europa e Stati Uniti devono essere più risoluti. Condanna e isolamento sono le armi da usare». Soluzione per via diplomatica? «No, non è la comunità internazionale che fa cadere il regime. È compito del popolo siriano, con l' appoggio delle potenze mondiali, che, ad esempio, possono richiamare in patria i loro ambasciatori. Non vi sono altre strade». La posizione dei leader arabi? «Sono terrorizzati dall' idea di vedere un' altra rivoluzione che mette in pericolo le loro dittature. Ma tanto gli Usa quanto l' Europa possono tranquillizzarli. È loro compito convincerli che la caduta di Assad è positiva per la stabilità di tutta l' area». 


Corriere della Sera, 03/08/2011, Fabio Cavalera





Siria, i tank sparano ancora "Nuove sanzioni per Assad"

MAJDAL EL SHAMS (Confine tra Siria e Israele) - Li hanno seppelliti nei giardini pubblici, i morti di Hama, perché erano troppi e perché anche ieri i cannoni di Damasco non hanno smesso di bombardare la città, mirando a casaccio, perfino nelle vicinanze del cimitero e nel quartiere residenziale di Dawar Bilal, solo per terrorizzare la popolazione. «Ogni dieci secondi cade una bomba» ha riferito un testimone alla Reuters.
Così, sordo all´unanime condanna internazionale per l´eccidio di domenica scorsa, che ha provocato 136 morti e più di mille feriti, il presidente siriano Bashar El Assad ha portato avanti la sua sanguinaria offensiva contro gli oppositori del regime. I suoi carri armati hanno ormai occupato tutto il nord del Paese e investito una decina di città, fino al confine con l´Iraq. Sul loro cammino i blindati incontrano sacche di resistenza sempre più numerose, così come sempre più numerosi sono i soldati dell´esercito filogovernativo che disertano. Ma nel primo giorno del Ramadan il bilancio delle vittime è ancora salito: altre sei vittime a Hama nelle ultime 24 ore, due a Deir al-Zour e una ad Abu Kemal.
Stanotte, intanto, come avevano suggerito Italia e Germania, il Consiglio di Sicurezza dell´Onu si è riunito per discutere della crisi in Siria. Finora ogni tentativo di denunciare la repressione di Damasco al Palazzo di Vetro era stata vanificata dall´opposizione di Russia e Cina, Paesi con diritto di veto. Ma all´indomani della strage di Hama, Mosca ha cambiato posizione e chiesto al regime di Assad, tradizionale alleato, di porre fine «immediatamente all´uso della forza contro i civili».
Al Consiglio di Sicurezza, il responsabile della politica Estera dell´Unione europea, Catherine Ashton, ha chiesto che «assuma una posizione chiara sulla necessità di mettere fine alla violenza», spiegando che Bruxelles sta varando un nuovo round di sanzioni contro il regime siriano e altri cinque membri dell´entourage del presidente: misure che prevedono il divieto di concessione dei visti e il congelamento dei beni. Amnesty International ha invece invitato i Quindici dell´Onu di imporre un embargo d´armi sulla Siria e di chiedere l´intervento della Corte penale internazionale dell´Aja per possibili crimini contro l´umanità.
Due giorni fa, per voce del suo ministro degli Esteri William Hague, Londra era stata la prima a ipotizzare un intervento militare per fermare la cruenta repressione in Siria. Hague aveva coraggiosamente sostenuto che questa soluzione non rimanesse soltanto «una remota possibilità», precisando che basterebbe il via libera dell´Onu, proprio com´è accaduto con la risoluzione 1973 sulla Libia. Immediata la risposta delle Nato: per il suo segretario generale Anders Fogh Rasmussen, a differenza della Libia in Siria non ci sono le condizioni per un intervento armato dell´Alleanza. «In Libia non solo conduciamo un´operazione su un chiaro mandato delle Nazioni Unite, ma abbiamo anche il sostegno dei Paesi vicini. Queste sono due condizioni che non sussistono in Siria anche se ovviamente condanno le violenze nel Paese», ha detto Rasmussen, il quale avrebbe potuto aggiungere che l´esercito siriano può contare su 400mila uomini, 5000 carri armati, 500 caccia bombardieri e una enorme quantità di razzi.
Nel frattempo, sul fronte interno è arrivato il macabro elogio del presidente siriano alle sue truppe per aver «sconfitto il nemico». Assad ha poi dichiarato che l´esercito ha dimostrato fedeltà al popolo e che la Siria presenterà al mondo «il suo modello di libertà, democrazia e pluralismo politico». Tutto ciò mentre si fa sempre più critica la situazione dei due ospedali principali di Hama. Dice un medico, che chiede l´anonimato per motivi di sicurezza: «L´esercito controlla gli ingressi degli ospedali principali e non permette ai feriti e ai donatori di sangue di entrarvi, e noi abbiamo un enorme bisogno di sangue. Due miei colleghi sono stati arrestati stamane accusati di collaborare con i manifestanti, senza alcun motivo». Intanto, nella città martire comincia anche a scarseggiare il cibo, perché le forze di sicurezza hanno saccheggiato e distrutto numerosi negozi di generi alimentari. Ma per ora il solo Paese che ha deciso di ritirare il proprio ambasciatore in Siria è stata l´Ucraina.

La Repubblica, 03/08/2011, Pietro Del Re




Siria: Italia richiama ambasciatore a Damasco

L’Italia ha richiamato il proprio ambasciatore in Siria a seguito “dell’orrendo peggioramento della repressione” che si è registrato nell’ultimo fine settimana, “che ha esacerbato ulteriormente la situazione”. Lo ha annunciato il sottosegretario agli Affari Esteri, Stefania Craxi, nel corso dell’informativa urgente alla Camera. In particolare, il ministro Frattini, ha riferito il Sottosegretario, “ha deciso di richiamare il nostro ambasciatore per consultazioni, al fine di dare un forte segnale di riprovazione per l’inaccettabile repressione” attuata dal regime siriano.
La Craxi ha sottolineato che il presidente Bashir Al-Assad, è “incapace di gestire efficacemente” la situazione, limitandosi all’uso della violenza e senza mettere mano alle riforme. Ma, anzi, ha detto il sottosegretario, il presidente siriano si è “limitato a fare enunciazioni declaratorie” su ipotetiche riforme e, ha aggiunto, le “parziali liberalizzazioni non hanno intaccato il monopolio del suo partito”. Nell’ultimo fine settimana, ha continuato il Sottosegretario, c’è stato un “orrendo peggioramento della repressione che ha esacerbato la situazione”. E, ha indicato, “è verosimile che il numero delle vittime sia elevato e destinato a crescere ulteriormente”. Il governo italiano è “profondamente sconvolto da questi terribili atti di repressione, perpetrati dalle autorità siriane nel corso degli ultimi giorni ad Hama e in altre città del Paese. La violenta repressione nei confronti di manifestanti pacifici – ha continuato il Sottosegretario – deve essere abbandonata immediatamente”. Anche perché “puntando le armi contro il suo popolo, la leadership siriana ha messo in dubbio propria legittimità”. Nel frattempo, ha spiegato, “l’Ue ha iniziato a intraprendere contatti con elementi dell’opposizione siriana” perché la “comunità internazionale non può rimanere indifferente nei confronti dei loro sacrifici”. Secondo la Craxi, ad ogni modo, “al momento pare possibile ritenere che la crisi siriana non segua il corso di quella libica”. Ma, ha avvertito, “non è pensabile che la protesta venga schiacciata nel sangue”. Dunque, ha concluso, si tratta di convincere Damasco a “fermare la repressione armata prima che oltrepassi la soglia dell’irreparabile”.

La Repubblica, 03/08/2011, Umberto Stabile

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