giovedì 25 agosto 2011

MENTRE LA GENTE MUORE LA STAMPA OCCIDENTALE NON MANCA DI GAREGGIARE IN SCEMENZE

Dalla grande quantità di articoli che abbiamo pubblicato, abbiamo accuratamente evitato di dare spazio a quelli scritti da super esperti o da pseudo eredi della letteratura di avventure di fine 800', non solo e non tanto per rispettare i veri protagonisti di una guerra civile, nella quale muoiono sia i seguaci di Gheddafi sia gli insorti che ne vogliono la fine, ma anche per pagare un tributo di riconoscenza a quei giornalisti seri e scrupolosi, che spesso a rischio della vita, cercano di darci un'informazione il più possibile obiettiva e aderente alla realtà: cosa, quest'ultima, non facile se si considera che la vicenda libica somiglia ogni giorno di più a un paradiso di bugie.
Vogliamo tuttavia dar conto di alcuni illustri autori che hanno brillato per la loro leggerezza e in qualche caso per la loro faziosa fantasia, che non ha mancato di indugiare su alcune note di colore francamente fuori luogo.
I - Citiamo per primo un mezzo busto televisivo del quale non abbiamo annotato le generalità per carità di patria. Questo signore ha spiegato con punto ai telespettatori che non c'è nulla da temere sul dopo rivoluzione libica perché tra i rivoltosi si sono visti pochissimi combattenti levare al cielo l'invocazione "Allahu Akbar!", segno evidente di una perverse attitudine islamica da "Fratelli Musulmani". Naturalmente quel signore ignorava che l'espressione non significa "Dio è Grande!" ma piuttosto che "Dio è il PIU' Grande". Può sembrare una sottigliezza, ma se si considera che la maggioranza dei ribelli libici intensificava le proprie azioni uscendo dalla moschea dopo il venerdì di preghiera, si può pensare che gridare a un nemico più armato e più pagato che "Dio è il PIU' Grande" sta a significare che di fronte a Lui, un miserabile dittatore sanguinario non è assolutamente nulla ed è destinato, prima o poi, a una fine inesorabile. Questo concetto è difficile da comprendere da parte di chi è abituato a leggere nei vecchi libri di storia patria che i soldati italiani erano costretti, avendo alle spalle i carabinieri italiani pronti ad ammazzarli ad assaltare le trincee nemiche gridando "Savoia!".
II - Non possiamo omettere di segnalare le annotazioni paronamico-urbanistiche dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun che ha accolto la grande tristezza per la città del rais, tanto che, se non fosse stato lo sfondo del mare azzurro (e il cielo dov'era??) sarebbe parso di trovarsi in un film in bianco e nero.
Sulla base delle informazioni che a suo tempo mi dava mio zio, ragioniere dell'ambasciata di Tripoli, negli anni 60' la capitale libica superava di poco i 200 mila abitanti, di cui 80 mila residenti nei quartieri arabi e i restanti nei più moderni edifici costruiti durante il dominio coloniale italiano, in genere somiglianti all'edilizia delle città vittorie della pianura pontina, che rifuggivano dallo stile "secondo impero" del lungo mare algerino edificato dai francesi.
Attualmente Tripoli conta più di 2 milioni di abitanti e c'è quindi da presumere che la sua crescita urbanistica è avvenuta nella stessa forma caotica che hanno conosciuto la maggior parte delle città italiane, e non solo italiane, e certamente non vi hanno operato architetti di chiarissima fama. Chissà se Mestre è più o meno triste della Tripoli che ha visto Ben Jelloun?
La testimonianza del nostro grande scrittore marocchino si conclude con una frase significativa:
"Ma Tripoli, e soprattutto i siti archeologici di questo paese, quali Sabratha, Leptis Magna, Cirene, Barca, ecc.ecc, tutte assai ben conservate grazie al talento degli archeologici italiani e francesi, faranno della Libia nel prossimo decennio una delle mete turistiche più ambite"
Certamente i citati archeologi devono essere stati finanziati da progetti pagati dal governo libico presieduto dal terribile dittatore Gheddafi. Chissà perché gli stessi archeologi non hanno avuto i mezzi per evitare l'indecente condizione in cui si trovano siti archeologici come Pompei, Poseidonia, il Foro Romano, Spina, l'antica Etruria, ecc.ecc?
III - Trasuda, una riga si e una no, dagli articoli che abbiamo omesso, la grande preoccupazione su quel che avverrà in Libia dopo la fine di Gheddafi. Il fantasma che si aggira nelle menti e nelle penne di tali autori, gli stessi che a suo tempo non si ponevano la domanda su quale potesse essere la condizione dei libici sotto gli artigli della "Tigre del Deserto", è l'estremismo islamico, imbottito di Fratelli Musulmani, di Alqeadisti, di Jihadisti e di fondamentalisti di ogni tipo. Costoro, e i loro simili sparsi per l'Europa e per il mondo, sembrano voler dimenticare che la Libia è un paese dove la quasi totalità della popolazione, sedentaria o nomade, abitante nelle città, nelle oasi e nei grandi deserti, segue con grande fervore la religione rivelata dal Profeta Muhammad, e che la parte araba dei libici discende da due delle più antiche genealogie del mondo arabo, provenienti già nell'XVIII secolo direttamente dall'Arabia. Forse per aspirare alla gloriosa, pacifica, progredita e perfetta democrazia occidentale questi selvaggi figli del deserto dovrebbero smetterla di essere musulmani e di credere in Dio.

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