sabato 20 agosto 2011

LIBIA


La morsa dei ribelli su Tripoli
«Pronti per la battaglia finale»

ZAWIYA - Lo stringersi progressivo dell'assedio di Tripoli passa per queste strade ingombre di detriti, scheletri ferrosi, sbarramenti di sabbia e carcasse d'auto bruciate. Una decina di chilometri prima di Zawiya, scendendo dalle montagne di Zintan (il cuore della catena di Nafusa), sulla provinciale s'immette una stradina tortuosa che in 60 chilometri porta alla capitale. È la speranza di fuga per chi si trova a Tripoli. «Scappiamo per questa via poiché le strade principali ormai sono interrotte. I soldati di Gheddafi ci mettono paura, dicono che i ribelli rubano e ammazzano. In verità non vorrebbero vedere la città svuotarsi. Ma come fare altrimenti? Cominciano a scarseggiare i generi di prima necessità. L'elettricità arriva sempre più a singhiozzo. Una bombola di gas da cucina sei mesi fa costava due dinari e mezzo, ora 250. E la benzina ormai è quasi introvabile», sostiene Yousef Baruni, 28 anni, impiegato di banca, dal volante di un'utilitaria stracolma di bambini, donne velate e materassi.
Ieri mattina alle 10.30 scendendo dalle montagne che le forze della rivoluzione controllano da almeno tre mesi, ci siamo imbattuti nel nuovo scenario che prepara la battaglia finale per Tripoli. Almeno 40 chilometri di costa a ovest della capitale sono saldamente in mano ai ribelli. Nonostante le smentite dei portavoce di Gheddafi, possiamo confermare che la grande raffineria di Zawiya, l'unica rimasta in mano alla dittatura (anche se da un paio di mesi non funzionava), è controllata dalla guerriglia. Ma c'è molto, molto di più. Non solo la via per la Tunisia è chiusa. Da Misurata è ripresa l'offensiva verso la cittadina di Zlitan, che pare caduta ieri pomeriggio. I ribelli segnalano 70 morti: 30 dei loro e 40 del dittatore. Erano mesi che il morale delle forze della «Rivoluzione del 17 febbraio» non era tanto euforico. L'inizio dell'estate aveva visto lo stallo e addirittura la ripresa dell'offensiva da parte di Gheddafi. Persino dai comandi Nato crescevano le spinte per cercare un compromesso con il Colonnello. Ora non più. La televisione americana Nbc l'altra sera citava fonti del Pentagono che davano forza alle voci diffuse dai media legati al Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, per cui Gheddafi e i suoi fedelissimi starebbero valutando una fuga in aereo. Una delle tesi più diffuse è che il Colonnello possa accettare l'offerta del presidente venezuelano Hugo Chávez per l'esilio a Caracas, un aereo speciale sarebbe già pronto all'aeroporto della città tunisina di Djerba. L'annuncio della tv di Stato libica della defezione di Abdel Salam Jallud, storico amico e compagno di golpe di Gheddafi, nonché suo ex numero 2, è stata confermata in serata da un video girato a Zintan ormai liberata.
Tra le forze combattenti delle montagne di Nafusa le voci di un finale «indolore» della crisi con fuga del Colonnello sono però prese con grande cautela. Non a caso gli uomini che hanno appena conquistato la costa occidentale, rovesciando le sorti del conflitto, sono considerati il meglio della rivoluzione. Primi per valore vengono loro, secondi i rivoluzionari di Misurata, che per tre mesi hanno sostenuto un assedio pesantissimo, in coda i partigiani di Bengasi. «Non ci fidiamo troppo di questi combattenti della Cirenaica. Parlano tanto e combattono poco. I fatti dicono che Gheddafi è ancora forte. Le sue tribù più fedeli a Sirte e Bani Walid restano con lui. Ma se riusciremo a prendere la capitale la guerra sarà vinta. Li accerchieremo e attenderemo che si arrendano», diceva ieri un comandante a un posto di blocco di Zintan.
Ci si prepara dunque alla grande battaglia finale per Tripoli. E l'eventualità che Gheddafi decida di morire combattendo, trascinando con sé migliaia di libici, resta tragicamente reale. I posti di blocco s'intensificano mano a mano che ci si avvicina alla litoranea. Attorno a Zawiya sono uno al chilometro. Il prossimo scontro sarà quello per il controllo di Zuwara, l'ultima roccaforte dei pro-Gheddafi prima del confine tunisino. «Poi ci concentreremo tutti su Tripoli», dicono ai posti di blocco. La strategia è semplice. Aprire tutte le vie di comunicazione, facilitare la copertura aerea della Nato e cercare di non disperdere le forze su più fronti.
Il comandante dei circa 300 ribelli che hanno catturato la raffineria si chiama Mustafa Al Arussi, 35 anni, residente a Zawiya. Magro, forte, fisico da marine, sembra incarnare la filosofia che guida le nuove truppe d'assalto rivoluzionarie. La sua divisa mimetica è immacolata, gli stivaletti leggeri da deserto gli calzano a pennello. Nulla a che vedere con le armate Brancaleone, vestite in modo pittoresco, anarchiche nelle loro gerarchie, dominate dal caos, che si erano battute tra Bengasi e Ras Lanuf nei primi mesi. Al Arussi vieta ai suoi uomini di sparare in aria per festeggiare la vittoria. «I proiettili vanno conservati per le prossime battaglie», ripete. E racconta che tre giorni fa la raffineria era controllata da circa 200 nemici. «Li abbiamo accerchiati. Loro si sono difesi a colpi di mortaio. Poi i loro ufficiali, saranno stati una ventina, hanno cercato di fuggire verso Tripoli utilizzando gommoni ormeggiati qui nel porto della raffineria. La Nato ci dice che poi li ha colpiti dall'aria», spiega. Non manca il pericolo cecchini. Solo nel tardo pomeriggio vengono uccisi o catturati anche gli ultimi che si trovavano nei pressi del vecchio ospedale e soprattutto a Piazza dei Martiri, il centro della città che in marzo ha visto il massacro dei partigiani della rivoluzione a colpi di tank.
Per verificare la solidità del fronte viaggiamo lungo la costa sino a Sabratha. Qui tre giorni fa erano segnalati concentramenti di forze speciali filo-Gheddafi, specie tra le rovine del gigantesco sito archeologico. «Ora sono scappati. Ma hanno minato la zona. E stiamo recuperando tonnellate di munizioni che avevano nascosto tra i resti della città fenicia convinti che la Nato non li avrebbe colpiti», spiega Isham Faghi, 32 anni, una delle sentinelle. Alle sei di sera, tornando verso le alture di Zintan, incontriamo ancora profughi sulle strade. Riprova che sono in tanti a temere un epilogo tragico nella capitale. Tanto che l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) starebbe organizzando una partenza in massa per i lavoratori stranieri (in maggioranza egiziani) che si trovano ancora a Tripoli.



Lorenzo Cremonesi, 20 Agosto


Tripoli assediata dagli insorti Gheddafi si prepara alla fuga
«Gheddafi è al suo ultimo quarto d´ora»: lo dice il ministro dell´Interno tunisino Habib Essid: è un uomo informato e non sembra coinvolto nelle manovre di propaganda della Nato. Come d´improvviso, la guerra di Libia sembra prendere una piega molto più decisa, tutta contraria agli interessi del colonnello. I segnali raccolti da media internazionali e da fonti diplomatiche (fra cui ambasciatori italiani) raccontano di un´avanzata militare dei ribelli sempre confusa, ma ormai molto pericolosa per il colonnello. E soprattutto rimbalzano ormai mille voci sulla trattativa per la partenza di Gheddafi: destinazione la vicina Tunisia oppure (molto più probabile) il Venezuela dell´amico Hugo Chavez.
Il primo elemento, quello militare, vede i ribelli avanzare ancora in maniera apparentemente caotica. «Gli insorti sono ancora molto poco coordinati, ma il problema per Gheddafi è che Tripoli ormai è isolata, assediata», dice un diplomatico italiano. «Zawiya, sede di una raffineria che secondo noi non funzionava già da settimane, è di nuovo percorsa dai ribelli, e questo significa che la strada verso la Tunisia è interrotta in molti punti, e molto pericolosa per i gheddafiani». Proprio Zawiya è stata teatro di un fatto apparentemente minore, ma invece decisivo: giovedì pomeriggio un elicottero Apache inglese avrebbe ucciso durante un´incursione un gruppo di libici fra cui il fratello del portavoce del regime, Moussa Ibrahim. Quando Ibrahim ha avuto la notizia era seduto a un tavolo dell´Hotel Rixos, l´albergo di Tripoli dove da mesi sono stati concentrati i giornalisti stranieri. Ibrahim è saltato in piedi palando al cellulare, poi è fuggito fuori urlando in lacrime, ed è rientrato per rinchiudersi in camera con la moglie tedesca e il figlioletto di pochi mesi.
Dopo 5 mesi di attacchi incessanti, tutti i capi e capetti del regime gheddafiano in un modo o nell´altro sono stati colpiti e scossi dalla violenza della guerra. Ancora ieri notte, per l´ennesima volta, la Nato ha bombardato pesantemente la caserma di Bab El Azizia, la residenza di Gheddafi ormai sicuramente vuota e inutile perché ridotta a un cumulo di macerie. Altre bombe sulla casa di Abdullah El Senussi, il capo dei servizi segreti che è anche il primo responsabile della repressione contro i civili: anche lui sicuramente non alloggia più lì. «Ma sono bombardamenti che hanno un effetto psicologico incredibile», dice una fonte che ha contatti con la gente che vive a Tripoli, «ormai anche i più resistenti attorno a Gheddafi vacillano, e chi può fugge». Assieme a Zawiya, città-martire liberata e abbandonata molte volte dai ribelli, altri combattimenti avrebbero liberato Zlitan assieme alla città archeologica di Sabrata e ad alcuni villaggi a sud della capitale.
Una manovra di avvicinamento a Tripoli che ieri ha convinto il ministro degli Esteri Franco Frattini a fare un appello pubblico ai cittadini della capitale, invitandoli a ribellarsi a Gheddafi, di fatto a prendere le armi e scendere in piazza contro il colonnello. Lui, il raìs, intanto avrebbe iniziato seriamente a considerare la fuga: lo dicono non solo la tv americana Nbc, imbeccata da fonti anonime del Pentagono, ma anche la tv russa e l´agenzia Nuova Cina. Per la Nbc, Gheddafi starebbe negoziando un rifugio per se stesso e la famiglia in Tunisia. Ma è più probabile che la Tunisia possa essere solo il luogo di passaggio verso un´altra destinazione: i media russi e cinesi tornano a parlare con insistenza di Venezuela, un Paese capace di garantire protezione al colonnello anche in caso di pressioni americane. Di sicuro il governo post-rivoluzionario tunisino è però informato di molte delle trattative che avvengono proprio sul suo territorio, soprattutto nell´isola di Djerba. E per questo il ministro Essid ha fatto pubblicamente la sua previsione: «Ci prepariamo a gestire nuovi afflussi di profughi, Gheddafi è al suo ultimo quarto d´ora».

Vincenzo Nigro, La Repubblica

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