martedì 30 agosto 2011


Gheddafi, una famiglia in fuga "La moglie e tre figli in Algeria"

TRIPOLI - Ora è ufficiale il convoglio di sei Mercedes con i vetri oscurati che, sfrecciando da Tripoli, ha attraversato il confine con l´Algeria portava al sicuro la famiglia di Gheddafi. Ieri il governo algerino ha infatti ammesso che Sofia, la moglie del raìs e tre dei suoi figli, Aisha, Mohammed e Hannibal, sono da qualche giorno ad Algeri. Il via libera al transito dei familiari del Colonnello sarebbe stato accordato «per motivi umanitari» perché Aisha, soprannominata la Claudia Schiffer del mondo arabo, avrebbe appena partorito. Quanto a Khamis il figlio di appena 29 anni che, al comando della famigerata 32ma brigata, si sarebbe macchiato nei giorni della liberazione di Tripoli di orrendi massacri, sarebbe stato ucciso dai colpi sparati da un elicottero della Nato. Addirittura sepolto a Zlitan, dicono i ribelli.
Misteriosa resta invece la sorte del Colonnello che secondo il suo portavoce Moussa Ibrahim sarebbe ancora in Libia. Secondo il Consiglio Nazionale Transitorio Gheddafi sarebbe asserragliato con le sue truppe a Bani Walid, a centro chilometri da Tripoli, tra Misurata e Sirte, la sua città natale. Ed è in quella zona che si sta concentrando lo sforzo dei towar per quella che dovrebbe essere l´ultima battaglia. Anche dopo la liberazione a Tripoli sono in molti ad avere ancora paura. «Temono un ritorno di Gheddafi» spiega Haida Gana, l´insegnante che per la rivoluzione cuce i tricolori di Free Libia. In città si vocifera di una «quinta colonna» che non sarebbe ancora entrata in azione. «Gente legata al regime, che spera ancora di poter ribaltare la situazione». Gheddafi, al sicuro nel suo ultimo rifugio nonostante la taglia messa sulla sua testa di un milione e 600mila dollari, dal canto suo ha fatto sapere di essere disposto a trattare con i rivoluzionari per un governo di transizione. La risposta del Consiglio Nazionale Transitorio è stata però immediata: «Nessun accordo prima dell´arresto».
L´attenzione si concentra quindi sulla battaglia per Sirte. Annunciata da giorni come uno scontro epocale, forse il più violento di tutta la rivolta libica, è stata più volte rinviata. Il Consiglio nazionale transitorio ha fatto affluire nella zona le sue migliori brigate e le armi più pesanti, gli aerei della Nato anche ieri hanno pesantemente bombardato le postazione gheddafiane, gli specialisti delle Sas inglesi stanno preparando i towar a quello che dovrebbe l´assalto finale. In realtà accanto a questi febbrili preparativi il Consiglio Nazionale Transitorio ha affiancata un´intensa attività diplomatica con i capi delle tribù della zona. «Vogliamo evitare un massacro - spiegano i rappresentanti dei rivoluzionari a Tripoli - Sirte non è un villaggio, è una città densamente popolata, non possiamo rischiare di fare vittime innocenti…».
In compenso si combatte ancora nella zona del confine tunisino, sotto la città di Zuwara: lì sono rimasti bloccati i contingenti ancora fedeli a Gheddafi dopo essere stati scacciati dalle loro postazioni sulle montagne. «Sono stretti tra il mare, il confine e le nostre brigate ma non vogliono arrendersi, preferiscono lottare sino alla morte» spiegano i towar.
Sempre ieri, infine, parlando in un incontro a Doha, nel Qatar, con i rappresentanti dei Paesi che hanno sostenuto l´insurrezione libica, il leader del Consiglio di Bengasi, Mustafa Abdel Jalil, ha chiesto alla Nato di continuare ad appoggiare il movimento. «Perché - ha spiegato - Gheddafi è ancora una minaccia per la Libia e per il mondo intero».


Meo Ponte



Protetti dall´amico Bouteflika con il sogno di tornare in patria

TRIPOLI - Alla fine, la via d´uscita per il clan Gheddafi è l´Algeria: non il lontanissimo Venezuela, non lo Zimbabwe dove forse è difficile adattarsi. Meglio la fuga nel deserto di un Paese islamico, magari coltivando il sogno di un ritorno in patria, che un esilio anche dorato in una città lontana, nel mezzo di una cultura troppo diversa, con l´incubo che un giorno bussi alla porta un sicario o scenda dal cielo una squadra di forze speciali occidentali con le manette pronte. Il governo di Abdelaziz Bouteflika è "quasi amico": ha accettato il rischio di far arrabbiare i ribelli del Consiglio nazionale transitorio - che ieri hanno definito la decisione di Algeri «un atto di aggressione» - e sin all´inizio si era opposto alla no-fly zone richiesta dall´Occidente e all´intervento Nato. Ancora adesso rifiuta di riconoscere come interlocutore il Cnt «finché questo non prenderà l´impegno di combattere Al Qaeda», perché secondo fonti governative algerine, membri della rete terroristica si sarebbero uniti agli insorti libici.
Insomma, come il vecchio regime di Tripoli, anche Algeri si sente minacciata dai gruppi salafiti e qaedisti e deve affrontare le stesse tensioni: una prima base di intesa nasce da qui. Da tempo, poi, gli analisti segnalavano che sui posti di confine sahariani, con Algeria, Ciad e Niger, le forze lealiste avevano sempre investito uomini e armamenti, senz´altro in previsione di giornate come queste.
L´Algeria è vicina, è piena di zone fuori dal controllo centrale, dove per la famiglia Gheddafi è facile trovare le complicità necessarie per sfuggire alle ricerche dei nuovi governanti libici e della comunità internazionale. A prendere la strada del paese vicino, finora, sono stati la moglie del colonnello, Safia, i due figli Hannibal e Mohammed, e la figlia Aisha, che sarebbe incinta: una gravidanza difficile, ormai giunta quasi a termine, che avrebbe impedito all´aggressiva giovane di comparire a fianco del padre durante queste giornate di scontro.
Se è vero che Muhammar Gheddafi, il suo delfino Seif Al Islam e il fratello Saadi sono rimasti in patria, a Bani Walid, un centinaio di chilometri a Sud-est di Tripoli, è facile immaginare che abbiano solo rimandato l´uscita dalla Libia. Bani Walid, non lontano da Misurata, è un bastione della tribù Warfalla, ancora fedele al vecchio regime e ostile al Cnt. I tre erano con tutta probabilità a bordo di mezzi blindati nel convoglio di 60-80 auto avvistato sabato scorso in fuga da Sirte.
Secondo i ribelli, già nelle scorse settimane Gheddafi aveva chiesto ai paesi vicini - Egitto, Marocco, Tunisia e appunto Algeria - di ospitare la sua famiglia, non lui direttamente. Non è ben chiaro come mai il colonnello si sia fermato su territorio libico: le sorti dello scontro non sembrano più in discussione. Forse il raìs, sostenuto dalle tribù tuareg di cui ancora gode l´appoggio, vuole organizzare un´ultima difesa per prendere tempo, necessario magari a costruire presupposti adeguati per una semi-latitanza che si annuncia lunga e difficile, anche per chi dispone di risorse immense. Il governo algerino per ora ha accolto la famiglia Gheddafi per «ragioni umanitarie», legate alla gravidanza di Aisha. Ma difficilmente potrebbe resistere alle pressioni internazionali, visto che sull´ex dittatore e su Seif pendono i mandati di cattura internazionali del Tribunale dell´Aja. Nel clan Gheddafi, poi, c´è anche un posto vuoto: il figlio Khamis, capo della famigerata 32esima Brigata, forse il più odiato dalla popolazione, sarebbe rimasto ucciso nel suo fuoristrada Toyota distrutto con un missile da un elicottero Apache britannico. La notizia viene da Skynews: è l´ennesima segnalazione della sua morte, stavolta però potrebbe essere quella buona.


Giampaolo Cadalanu

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